"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

22 ott 2025

VIAGGIO NEL DUNGEON SYNTH: ERANG

Nella terra delle cinque stagioni – Erang, “Within the Land of My Imagination I am the Only God” (2014) 

Sono affezionato a “Within the Land of My Imagination I am the Only God”. Questo album fu il primo “flash” di dungeon synth moderno ad entrarmi nel campo visivo. E pensare che all'epoca ero fermamente convinto che il dungeon synth fosse un genere futile e velleitario, un'inutile propagazione di ideucce da quattro soldi di qualche black metallaro degli anni novanta... 

Si era nel pieno della pandemia, in quel periodo stavo scrivendo molto sull’atmospheric black metal e ad un certo punto, per via degli algoritmi di YouTube, partì la riproduzione automatica di suddetto album. Oltre ad una copertina fantasy molto naive, a colpirmi fu il titolo, altrettanto naive: nel regno della mia immaginazione io sono l’unico Dio. 

 Quanto suonava Mortiis questa cosa! Il Mortiis paroliere di “Cosmic Keys of Time and Creation” e di “I am the Black Wizards”, il Mortiis fantasioso creatore di mondi immaginari con i suoi album solisti. E ho pensato, scuotendo la testa e con un sorriso di sufficienza sulle labbra, quanto nel corso degli anni il dungeon synth fosse rimasto uguale a se stesso e come niente fosse cambiato dagli anni novanta al 2014, anno di pubblicazione dell’album in questione. 

Dicevo questo conoscendo poco o niente del dungeon synth, ignorando che l’autore di quell’album fosse uno dei più importanti esponenti contemporanei di questo genere. E dunque, giunto il fatidico momento di parlare dell'imprescindibile Erang, sebbene vi siano molti lavori eccellenti nella sua nutrita discografia (e i primi di essi abbiano anche un valore storico maggiore), ho deciso di tributare quel lontano incontro fortuito (forse la ragione per cui alla fine mi sono messo a scrivere questa rassegna!) eleggendo proprio “Within the Land of My Imagination I am the Only God” come opera per rappresentare l’estro di questo artista così determinante per le sorti del dungeon synth recente. 

Erang, classe 1982, musicista francese attivo dal 2012, è senz’altro da indicare fra gli artisti più influenti ai fini della rinascita delle sonorità dungeon synth nel corso degli anni dieci del nuovo millennio. Ma non solo: contrariamente a molti altri suoi contemporanei che hanno ricalcalto pedissequamente le orme degli “avi”, egli ha saputo dare forma, sostanza e continuità a questo fenomeno revivalistico attraverso contributi personali capaci di modernizzare il linguaggio stesso del dungeon synth. 

Non si è fatto mancare nemmeno una immagine iconica: familiarissima ai cultori del genere la sua grottesca maschera a forma di teschio (una via di mezzo fra il face-painting del black metal e il volto stilizzato del protagonista di “Nightmare before Christmas” di burtoniana memoria). Una scelta, questa, volta a rendere ancora più suggestiva e misteriosa la sua proposta, visto che, a suo dire, svelare la sua identità avrebbe tolto fascino alla sua creazione artistica. Una musica che ha come unica missione quella di far fantasticare l’ascoltatore ed estraniarlo dalla realtà. Obiettivo pienamente riuscito, sempre ovviamente che si abbia un minimo di cuore ed immaginazione. 

Concetto fondamentale nella sua visione artistica è quello della nostalgia, da intendere come uno sguardo struggente rivolto ai luoghi, alla gente ed agli eventi del SUO passato. Una visione artistica, dunque, che odora di intimità e che trae ispirazione dalla letteratura fantasy (gli immancabili “Il Signore degli Anelli”, “Lo Hobbit”, “Il Silmarillion”, i romanzi di Stephen King), dalla cinematografia fantasy (“Willow”, “Conan”, “Dark Crystal” ecc.) e non (John Carpenter, David Lynch) e da video-giochi e giochi di ruolo della sua gioventù (Zelda, Secret Of Mana ecc.). 

Insomma, una vastità di influenze che si rispecchia in uno stile di composizione libero e capace di fluttuare all'interno di un range espressivo sospeso fra vecchia scuola (devotamente tributata) ed atmosfere più radiose e distese, senza disdegnare soluzioni inedite che spaziano dalla musica etnica al prog, dall’elettronica all’impiego di percussioni e strumenti acustici. E, in certi scampoli di discografia, si setacciano persino stilemi veracemente black metal. Tutto questo in un tripudio di suoni fieramente sintetici e dal sapore vintage, come è ovvio che sia. 

Altro aspetto fondamentale da sottolinerare è il fatto che, in seno a questo rifiorire a macchia di leopardo di queste sonorità (laddove molti suoi colleghi di inizio anni dieci sono - artisticamente - campati giusto il tempo per dare alla luce uno o due (capo)lavori), Erang si è imposto con un discorso ben più strutturato che ha poggiato le sue basi su un mondo immaginario inventato di sana pianta: The Land of Five Seasons. Mondo che è stato certosinamente costruito tramite una autentica valanga di opere articolate in cicli degni delle leggendarie saghe fantasy a cui il Nostro si rifà senza esitazione. 

Basti pensare che solamente fra il 2012 e il 2015 sono stati rilasciati dieci lavori a nome Erang. Suddette release rappresentano i primi tre cicli della saga sopra menzionata. “Tome I”, “Tome II”, “Tome III” e “Tome IV”, pubblicati fra il 2012 e il 2013, componevano la “First Age” of the Land of the Five Seasons. Seguivano a stretto giro i tre capitoli della “Second Age”: “Another World, Another Time” (2013), “Casting the Ancient Spell Again” (2014) e “Within the Land of My Imagination I am the Only God” (2014). 

Ecco, ci fermiamo qua, al settimo lavoro in nemmeno tre anni, che noi vediamo come un esempio illuminante atto a raccontare la vastità dell’universo sonoro di Erang: un’opera dalla durata monstre di oltre un’ora e che si compone di diciassette tracce che, come quadretti appena abbozzati, vanno a rappresentare le diverse sfaccettature di un caleidoscopio sonoro tanto contemplativo quanto variegato e dinamico. 

Come si diceva sopra, sebbene si sia abbandonato l’approccio lo-fi che ha caratterizzato le prime produzioni dungeon synth, la vecchia scuola non viene affatto rinnegata, ma anzi continua a nutrire molti passaggi del disco. E così, ben miscelate ed alternate fra loro, troviamo due anime nell’arte di Erang: una volta a sperimentare sonorità inedite ed un altra, invece, che torna periodicamente laddove tutto era partito. 

Di questa seconda categoria fanno parte le prime tracce del platter, pervase da un approccio più orchestrato e volto a ricreare seducenti mondi di fantasia. L’openerThe Erangers”, per esempio, è il biglietto da visita ideale per questo viaggio: un caloroso clavicembalo si intreccia a solenni tastiere, flauti bucolici e muggiti morriconiani, ricalcando le orme di act storici quali Secret Stairways e Solanum, che già negli anni novanta tentavano nuovo vie in un dungeon synth nato sotto la cappa oscura del folclore mediavale. Includiamo nel medesimo gruppo anche quei brani che ricorrono al tocco delicato di una chitarra acustica (“Autumn Lullaby” e “A Bard Without Beard”, fra le altre). 

Non mancheranno momenti più tesi e dal passo marziale dove la vecchia scuola si impone più prepotentemente che mai. Mi riferisco alla bellissima “Do Dragons Dream of Frozen Lakes” (che titolo!) o a passaggi più spigolosi ed orientati ad evocare il lato più oscuro del dungeon synth. In certi casi a rinforzare i temi epici della tastiere troviamo anche basso e batteria, a conferma che anche in questo filone di brani a prevalere è un approccio volto ad integrare più strati sonori. Ne è un mirabile esempio la burzumianaThe Execuction of the Drunken Tyrant”. Molto evocativi i titoli, si sarà capito, i quali il più delle volte vanno ad anticipare le atmosfere del singolo brano (come accade in modo esemplare in “The Underwater Kingdom’s Coral Palace” dal suono tanto maestoso quanto liquido come può essere un paesaggio subacqueo). 

Quanto all'anima più sperimentale e volta a fuoriuscire dai canoni del genere (come del resto insegnato dal maestro Mortiis, che nella sua carriera ha saputo svoltare in modo credibile anche verso territori pop ed industrial), fra i brani più sorprendenti vi è da citare senz'altro “Through the Windows of Time” che parte quieta per poi impazzire nella seconda metà al passo di percussioni incalzanti (!), riff di chitarra elettrica (!!) e geometrie simil-prog (!!!), a dimostrazione di come le composizioni di Erang possono repentinamente cambiare volto pur nella loro brevità. Altra menzione d'onore va fatta per quella chicca che risponde al nome di “Feu Follet”, allegra marcetta che sembra ispirarsi alla colonna sonora di un videogioco e che, dolce, giocosa, quasi commovente nel richiamare una infanzia spensierata, mostra la sensibilità più squisitamente "francese" del progetto. E come non spendere due parole su “Spiritual Godless Universe” traccia ambient, eterea, arricchita da pattern ritmici dall’andamento trip-hop e dal flavour cosmico, o sulla fuga prog in coda a “Return to the Dark Dungeon”. 

Chiude degnamente le danze “Funeral for Erang”, impreziosita da una bella chitarra arpeggiata, rintocco di campane ed un piglio neo-folk (chi ha detto Sol Invictus?) a rimarcare un legame, tutto sommato naturale, fra dungeon synth e la sensibilità dei cantori apocalittici

Quello che potrebbe sembrare un insieme un po’ frammentato di stili ed influenze gode in realtà di una unità concettuale che tende a far assimilare armoniosamente gli elementi più diversi. Certo, sempre si tratta di dungeon synth, dunque non aspettatevi passaggi virtuosi e chissà quali colpi di scena, ma questo approccio più libero nella composizione ha fatto molto bene al genere, il quale, proprio tramite i lavori di Erang (non solo quelli, ovviamente), troverà linfa vitale per replicarsi in più direzioni nel corso degli anni dieci, sancendo effettivamente una nuova era per il dungeon synth. 

Nel rilancio di queste sonorità, come abbiamo già detto, giocherà un ruolo determinante anche il supporto di internet. Ed Erang, che realizzerà i suoi lavori in formato principalmente digitale, sarà fra i primi ad avvalersi di Bandcamp, canale che diverrà fondamentale per molto altro dungeon synth a venire. 

La personalità aperta e positiva di questo personaggio, in conclusione, farà sì che il Nostro diverrà anche una sorta di aggregatore di esperienze all’interno del circuito mondiale del dungeon synth. Ne è la dimostrazione un lavoro come the “The Kingdom is Ours”, uscito l’anno scorso e che suona come un solenne tributo al dungeon synth ospitando campioni del genere come sua maestà Mortiis, il redivivo Ral dei Depressive Silence e persino l’antesignano Jim Kirkwood, senza trascurare pezzi da novanta della scena contemporanea come Hedge Wizard, Fief, Hole Dweller, Fogweaver, Quest Master:  tutti nomi che incontreremo nel prosieguo della nostra rassegna. 

"The Kingdom is Ours", a dire dell’autore, sembrerebbe sanscire la fine di un ciclo: il Nostro, infatti, parrebbe oggi più interessato a dedicarsi a progetti extra-musicali come la pubblicazione di un libro (una raccolta di racconti fantasy, of course), la realizzazione di un cortometraggio e probabilmente anche di un fumetto. Non ci stupiamo, essendo Erang un artista a tutto tondo e detentore di una visione ampia e priva di pregiudizi. Speriamo solo che questo non comporti la fine della sua dimensione musicale che tanto ha significato per la rinascita del dungeon synth...

 

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