"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

19 lug 2023

BACK TO THE '70s: LA 'RIVOLUZIONE SUPERSONICA' DI ARJEN!

 


Quella che stiamo attraversando è una fase storica complessa e inquietante. Le nostre certezze si sgretolano, la cornice di sicurezza che noi, cittadini dell’opulento mondo occidentale, ci eravamo costruita si sta sfaldando. A colpi come di maglio battente: con la pandemia che ha stravolto le nostre vite & la conseguente crisi economica prima; con la guerra in Ucraina e il nuovo pericolo nucleare dopo…e poi siccità alternate ad alluvioni devastanti, continui cambi di governo che 'sgovernano'. Ma soprattutto con i Manowar che continuano a sfornare EP imbarazzanti e, last but not least, gli Iron Maiden che nel nuovo tour non suonano “Hallowed Be Thy Name”.

Insomma, un povero metallaro europeo di mezza età a che santo deve votarsi per ritrovare un po’ di salda terraferma?

Personalmente, al Lucassen. Il mio porto sicuro.

E così il 19 maggio scorso, giorno di uscita dell’ultimo progetto del lungagnone di Hilversum, mi procuro questo “Golden Age of Music” e comincio a iniettarmelo nelle meningi in loop. Aaahh, che relax! La piacevolezza di ritrovare ciò che ti aspetti, la sicurezza di una confortante prevedibilità!

Arjen, a distanza di 3 anni dal mezzo passo falso (almeno per il sottoscritto) di “Transitus”, improvvisa via whatsapp (sic!) una band per un progetto che, inizialmente, doveva essere soltanto coveristico. Assolda un paio di giuovini musicisti orange (il chitarrista Timo Somers, classe ’91, e il drummer dei Vanderberg Koen Herfst) mentre alle tastiere, ovviamente, si affida a Joost Van Den Broek, senza il quale il Nostro ormai non va più neppure al cesso (con tutta probabilità, in vecchiaia, lo assolderà come proprio badante).

Ma l’asso-da-novanta del progetto è rappresentato dal vocalist, J.J. Cuijpers che i fan degli Ayreon avevano già potuto apprezzare negli ultimi DVD live pubblicati. Cuijpers, vicino per timbrica a R.J. Dio, è un mezzo fenomeno e infatti, oltre a essere da un decennio il cantante dei Praying Mantis, vecchie glorie della NWOBHM, collabora con un’altra marea di band che se lo contendono come guest (Blind Guardian e Grave Digger compresi).

Allora, andiamo alla ‘ciccia’: già dai primi ascolti emerge, con piacere, un indurimento del sound rispetto alla ‘leggerezza’ di “Transitus”. Nulla di nuovo, per carità (e, come detto sopra, neppure volevamo qualcosa di nuovo!): siamo sempre dalle parti, ‘indurite’, della sacra triade Deep Purple/Rainbow/Uriah Heep e lo stesso concept celebra, leopardianamente, le “magnifiche sorti e progressive” dell’Homus Settantianus Rockeggiantes e quanto da costui prodotto (ehm, scusate il latino maccheronico…). I riferimenti sono chiari: T. Rex, Bowie e compagnia glammeggiante, Purple&Zeppelin e tutte le altre band autrici della supersonic revolution del titolo (la title track recita programmaticamente: This is the golden age of music / the dawning of our life / the supersonic revolution / aboard this magic flight!).

L’approccio, come già nell'ultimo Star One, può apparire scanzonato perché se c’è una cosa che traspare chiaramente dai solchi del disco e dalle foto e video reperibili è che i cinque olandesi se la sono spassata un mondo nel comporre, eseguire e registrare il materiale di GAoM. E questo mood lo trasmettono mirabilmente all’ascoltatore. Del resto, basta guardare la copertina per capirlo: cinque glammers abbigliati come 50 anni fa con l’espressione in viso di un bambino che ha appena ricevuto il suo lecca-lecca preferito.

Attenzione però: si cazzeggia fino a un certo punto perché allo spirito (auto) ironico che permea il progetto, con tanto di autocelebrazione nella conclusiva “Come to Mock, Stayed to Rock” (con un testo che manco i Twisted Sister negli anni ottanta) vanno abbinati ovviamente la professionalità e il perfezionismo del Lucassen che confeziona il tutto, a livello di arrangiamenti e suoni, in modo impeccabile (la produzione è davvero da ‘10’). E il gruppo gira che è una meraviglia con una nota di merito, in una proposta hammond/moog-centrica, per il solito Van Den Broek, ormai una certezza, compositiva ed esecutiva, capace di raggiungere, come musicista, uno status di livello internazionale.

Al netto di brani più smaccatamente derivativi e tesi ad omaggiare le band succitate (“Burn It Down”, ad esempio, è al limite del plagio dei Purple) il disco, nonostante il running time non limitato (siamo poco sotto l'ora), fila via liscio come l’olio. E invoglia a farlo ripartire…

Insomma, come ha dichiarato al termine del lavoro lo stesso Arjen: Job done. Have fun.

E noi, hard-die fans dello spilungone olandese, ne abbiamo avuto molto, di fun

Voto: 7,5

Canzone top: “The Glamattack”

Momento top: la sezione strumentale centrale di “Odyssey”

Canzone flop: nessuna

Etichetta: Music Theories Rec. / Mascot Rec.

Dati: 11 canzoni, 55’

A cura di Morningrise