"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

16 dic 2025

2025: LA CLASSIFICA DI FINE ANNO DI METAL MIRROR!




Dopo 10 anni in cui, mirabilmente, il nostro Lost in Moments si è fatto carico delle classifiche metalmirroriane di fine anno, ecco che nel 2025, 11° giro di calendario per il nostro Blog, si cambia e, umilmente, sarà il vostro Morningrise a redigerla, provando a non far rimpiangere il nostro Fondatore.

Ebbene, questa top ten non sarà frutto di sole mie scelte ma, al contrario, prodotto di un brainstorming di Redazione che è stato tanto fecondo quanto, a tratti, aspro. Perché, si sa, ognuno di noi ha propri gusti, simpatie e “pallini”. Ed ecco perché, com’è nostra abitudine, a venirci in soccorso è stata la metodologia: linee guida che ci hanno ispirato nella scelta dei 10 titoli da inserire.

Certo, abbiamo, come sempre, cercato di privilegiare la qualità, il valore intrinseco dell’opera in sé; che fosse davvero meritoria, quanto più ‘oggettivamente’ possibile, di entrare tra gli “eletti”. Ma ciò che ci ha spinto a questa faticosa selezione sono stati anche altri due fattori: da un lato, il desiderio di far emergere "perle" underground, di nicchia, diciamo, ma che fossero espressione anch’esse di una qualità consistente e di originale fermento creativo (elementi che, a volte, a livello mainstream si fa più fatica a trovare); e dall’altro provare a individuare linee di sviluppo, tendenze e gusti contemporanei: non tanto con l’assillo di individuare la next big thing ma con quel gusto ‘sociologico’ di ricerca e analisi, quasi da entomologi del mondo metallico. Insomma, individuare band che siano portatrici (sempre con qualità, capacità e gusto compositivo, questo sia chiaro!) di intercettare quanto di ‘nuovo’ il metal contemporaneo è in grado di realizzare.

Lo diciamo subito: la cernita è stata oltremodo faticosa e foriera di laceranti sensi di colpa e continui ripensamenti, in un lavoro di taglia&cuci, metti&togli a tratti estenuante. Perchè il Mare Magnum del Metallo, come è sua precipua caratteristica, ha offerto in abbondanza, in quest'annata, ottimi dischi e per tutti i palati.

Alla fine, il redde rationem ha portato in dote le seguenti scelte. Non abbiatene a male. Che già ne abbiamo a male noi stessi…

10) ORBIT CULTURE – “Death Above Life”: Niklas Karlsson è un ragazzo classe ’93. E si sente. Nel senso che il Nostro, creati gli Orbit Culture dieci anni fa, oltre ad essere cresciuto a pane&Gojira, ha saputo evidentemente interiorizzare, da appassionato ascoltatore e dotato musicista, tutto ciò che il metal estremo ha saputo offrire di meglio nelle ultime tre decadi: il groove dei fratellini Duplantier in primis, sì, ma anche quello thrash/deathcore dei Lamb of God; il metalcore degli In Flames (in certi passaggi omaggiati con riverenza), poi, è un altro evidente riferimento fino ad arrivare addirittura ad un quasi-plagio dei connazionali Amon Amarth nell’epica “The Storm” (toh, guarda caso faranno da supporto nel tour che i vichinghi di Stoccolma hanno programmato nel 2026 in giro per l’Europa). Completa la ricetta un’aura pervasiva di sporcature industrial che chiamano in causa Fear Factory e gli imprescindibili, in materia, Strapping Young Lad. Insomma, se già nel 2023 il loro “Descent” aveva impressionato fan e addetti e ai lavori, questo “Death Above Life”, sotto egida Century Media che se li è subito accaparrati, farà altrettanto felici pletore di metallari in quanto, questo è certo, gli Orbit Culture piacciono, e molto, ai metalheads di ogni età perché sono freschi, potenti, abrasivi. Violenti ma con quell’accessibilità dettata dai ritornelli in clean che si stampano subito in testa, ruffiani, con uno spiccato flavour linkinparkiano tale che non vedi l’ora di urlarli a squarciagola dal vivo! Il metal contemporaneo passa, anche, da loro.

09) IGORRR – “Amen”: Monsieur Gautier Serre: genio o cialtrone? ci eravamo chiesti nella nostra rassegna sul nuovo ‘Nuovo Metal’. Ebbene, non so se la risposta possa essere definitiva ma di certo, dopo questo “Amen”, siamo più propensi per la prima delle due ipotesi. Se il mash-up è ciò che contraddistingue tanta parte del succitato nuovo metal, gli Igorrr ne sono di certo la versione più estrema, ardita, quasi circense. Ciò, principalmente, per la consueta scrittura, basata su uno spericolato cross-over, quando non giustapposizione, tra gli stilemi sonori più disparati: dal death metal all’industrial, dalla break-core al folk balcanico, dal trip hop al grind per arrivare alla musica classica. Il tutto condito dai soliti gorgheggi in scream, growl e versacci assortiti (ad opera di Jb Le Bail, coadiuvato da un paio di dotate ugole femminili). Ma nei tre quarti d’ora scarsi di questa sua nuova fatica ritroviamo maggior misura e messa a fuoco, maggiore consapevolezza e tenuta di scrittura. Le follie di brani irresistibili quali “Daemoni”, “Limbo”, “Infestis” o la sensazionale “Pure Disproportionate Black and White Nihilism”, si acquietano negli ultimi 7 minuti dell’accoppiata “Ètude n° 120” – “Silence” che, come balsamo sulle ferite, chiudono un disco che non può che essere un highlight del metal più d’avanguardia che si possa trovare al giorno d’oggi.

08) LORNA SHORE – “I Feel the Everblack Festering Within Me”: chi ha figli adolescenti, appassionati di metal, lo sa: il deathcore ormai pare essere l’entry level delle giovani generazioni che, per nulla spaventati dall’iper-velocita e iper-violenza sonora, e tantomeno impressionati dall’efferato pig squeal dei loro frontman, si approcciano a questo sottogenere metal con divertimento e adrenalina. Job for a Cowboy, Whitechapel, Suicide Silence, i famigerati Slaughter to Prevail (andate a vedervi i video dei loro terrificanti circle pit e walls of death per rendervene conto) sono ormai monicker che tra i gggiuovinotti van per la maggiore. Ma i campioni rimangono loro: i Lorna Shore del bel maudit Will Ramos. Dopo aver preso le misure con l’EP “…and I Return to Nothingness” e aver fatto il botto con lo splendido “Pain Remains”, ora il quintetto del New Jersey arriva alla consacrazione con il disco della definizione perfetta del loro stile: massime velocità e violenza mixate con una altrettanto spinta “levigatura” sinfonica. Il tutto cesellato da una produzione perfetta, da un delicato lavoro di synth e da un Adam De Micco che sprigiona riff a iosa, intarsiandoli di solos di classic metal. Austin Archey non pare umano dietro al drum kit, mentre il buon Ramos vomita, tra scream, growl e pig squeals (fortunatamente sempre più sporadici), tutto il dolore e il disagio della sua giovane vita, dando luogo a composizioni tanto trascinanti quanto emozionalmente disturbanti: “Oblivion”, “Unbreakable”, Glenwood”, “Death Can Take Me” assurgono già a classici del symph-deathcore. E i 10’ conclusivi di “Forevermore” sono semplicemente quanto di meglio oggi possa offrire il genere. Il futuro è nelle loro mani…

07) DORMANT ORDEAL – “Tooth and Nail”: a giro da quasi 20 anni, questa coppia di ragazzi di Cracovia giunge alla sua quarta fatica in 12 anni. E fa il botto. Versione, se vogliamo, più “abbordabile” del technical-death di Ulcerate e compagnia ‘dissonante’, i Nostri si rifanno, oltre che ai Campioni neozelandesi, ai connazionali Decapitated ma trovano la loro personalissima via alla materia raggiungendo, in mezzo ad un vortice tempestoso di velocità&potenza, vette maestose di drammatico pathos. Le dissonanze sono inserite con maestria e alternate ad armonizzazioni che rendono il tutto dannatamente coinvolgente. La suadente “Horse Eater”, la perfetta “Solvent”, la folle “Dust Crown” o l’epica “Against the Dying of the Light” sono solo alcune delle perle di un album che non conosce cedimenti. Annichilenti!

06) MESSA – “The Spin”: dopo due dischi splendidi, e complessi, come “Feast for Water” e “Close”, i veneti Messa potevano scegliere se continuare a spingersi ancora più avanti sulla via del loro sincretismo sonoro oppure fare un passo indietro verso un sound che fosse più diretto e facilmente intellegibile. “The Spin” sembrerebbe propenderebbe per la seconda opzione ma il condizionale è d’obbligo. Perché gli appena 43’ di durata del disco sono lontani da qualsiasi faciloneria o semplicistico approccio alla materia. Al contrario, denotano messa a fuoco, intenti chiari e attenzione al minimo dettaglio. Nella produzione come nella scrittura. Il trittico iniziale (“Void Meridian”, “At Races”, “Fire on the Roof”) si muove su coordinate in bilico tra dark-doom e stoner, eleganti e cazzute al contempo; ma sarà con la superba “Immolation” (per chi scrive uno dei brani top dell’anno, grazie a una Sara Bianchin da brividi) che tutta la classe dei Messa uscirà fuori, confermata dalla successiva “The Dress”, una cavalcata di 9’ tra svisate jazzy e scoppi elettrici. La ritmata “Reveal” (esaltante in versione live) e la conclusiva “Thicker Blood”, che parte come una ballata e si chiude in una sorprendente coda burzumiana, confermano la bontà di un disco più lineare e diretto dei suoi fratelli più grandi ma altrettanto ammaliante. "Semplicemente", la miglior band italiana in circolazione…(?)

05) BETWEEN THE BURIED AND ME – “The Blue Nowhere”: se i BTBAM pubblicano qualcosa di nuovo, non possono che ricadere in una top 5 ideale. È legge…la loro nuova fatica, dopo i fasti di “Colors II” (2021), mette in mostra nuove coordinate delle loro strabilianti doti compositive in cui la volontà di sperimentare, contaminare e miscelare gli stilemi più disparati (funk, blues, jazz, rock oltre alle immancabili bordate death), ci guidano in un viaggio sonoro dove non ci sono momenti morti. La durata, come sempre corposa (71’), è paradossalmente essenziale: non c’è una nota in più o fuori posto. Tutto è come doveva essere in questo concept che ci porta all’interno di un hotel immaginario nel quale ognuno di noi può regalarsi momenti di introspezione. Il modus componendi è progressivo, chiaramente, ma a questo giro quasi cinematografico, in un profluvio di note, colori e sfumature che avvolge l’ascoltatore e lo trascina con sè. Un must per tutti i progsters più open-minded!  

04) AGRICULTURE – “The Spiritual Sound”: rappresentare anche il fermento e le spinte più vitali dell’underground, si era detto nella nostra introduzione. Ebbene, in Redazione eravamo già stati colpiti, due anni fa, dall’omonimo debut di questi 4 ragazzotti californiani, che a vederli non ci scommetteresti sopra un euro. E invece…

Nel 2025 esce la loro seconda fatica, "The Spiritual Sound", e, devo dire, che la maturazione della band è palpabile. Al primo ascolto, il disco è spiazzante perché, assieme alla chiara influenza dei Deafheaven, che li avvicina alle cose recenti dei britannici Svalbard, i Nostri inseriscono sezioni noisy e avant-garde in stile Liturgy, sempre con quel songwriting sghembo che non si capisce se “ci sono o ci fanno”. Ma, ad un ascolto più attento, si intende meglio che la band sta, con intelligenza e anticonformismo, ricercando una propria via al pluri-inflazionato post-black. E un brano magico come “Micah (5:15 a.m.)” è lì a confermarlo.  Come accaduto per l’esordio, anche qui la grammatica del black(gaze) si fonde con il rock, sia post che alt/indie, nonché con atmosfere folk (da lacrime “Hallelujah”) che portano ad elevatissime vette di estaticità (e questo spiega la disturbante immagine di copertina), laddove non ci si può che commuovere (“Flea”, “Dan’s Love Song”, la conclusiva “The Reply”).

Due indizi fanno una prova. E la sentenza del Giudice non può che essere di assoluta promozione: gli Agriculture sono una band superlativa! Sia messo agli atti…

03) EVERON – “Shells”: faccio fatica a essere obiettivo sugli Everon, band che vide il mio debutto di scribacchino, qui su Metal Mirror: troppo amore mi lega a loro! Li avevo dati per morti e sepolti, visto che era dallo splendido “North” (2008) che non se ne aveva traccia. Ma, nonostante la recente, e improvvisa, morte dello storico batterista Christian Moos, il buon Oliver Phillips ha deciso di portare comunque a compimento il loro inatteso ritorno. Ebbene, “Shells” è oggettivamente un disco che rasenta il capolavoro. Prodotto in modo impeccabile, emoziona dal primo scoppio elettrico dell’opener “No Remorse” fino al conclusivo remake della loro suite più riuscita (“Flesh”, title track dell’omonimo album del 2002). In mezzo, come loro consuetudine, classe ed eleganza a profusione: negli arrangiamenti, negli assoli, nelle sezioni strumentali. E nelle lyrics, mai così profonde e malinconiche come in questo caso. Altra perla che si va ad aggiungere a una discografia impeccabile!

02) CORONER – “Dissonance Theory”: se per gli Everon abbiamo dovuto attendere 16 anni, beh, la sosta dei Coroner è durata il doppio: 32 ne son passati dal capolavoro precedente (“Grin”, 1993)! Tommy Vetterli, dopo aver rimesso in piedi la band 10 anni fa e aver girato sui palchi di mezzo mondo riproponendo il vecchio repertorio, ci regala questa nuova fatica. Ed è subito instant classic! C’è, nei 47’ dell’opera, tutto l’universo-coroner del passato: riff taglienti, batteria chirurgica e fantasiosa (sensazionale il nuovo acquisto Diego Rapacchietti), assoli memorabili (nel senso che si ricordano uno ad uno da quanto son belli!) e potenza a profusione. Ma non è un disco old-school. No, Tommy pare aver recepito tutta la storia del technical thrash passata in queste tre decadi, averla metabolizzata e, infine, distillata a noi fan con la sua inimitabile mano autoriale: asciutto, teso, intenso, con una produzione mai sopra le righe e che mette in rilievo ogni strumento e i raffinatissimi arrangiamenti. “Sacrificial Lamb”, “Simmetry”, “The Law”, “Transparent Eye” (e il resto della tracklist) si mangiano il 95% del tech-thrash del Terzo Millennio, mentre la chiusura, con tanto di hammond, di “Prolonging” sta lì, come la quiete dopo la tempesta. Rimarcando una superiorità, concettuale e compositiva, disarmante. Bentornati, Coroner!

01) PSYCHONAUT – “World Maker”: Brutus, Amenra, Hippotraktor, Oathbreaker…le Fiandre si stanno ormai da anni affermando come il fulcro mondiale di tutta la galassia post-HC/post-metal che muove dagli insegnamenti dei Padrini putativi Neurosis. Dopo aver fatto il botto col precedente “Violete Consensus Reality” (2022, altro top album di quell’annata), il collettivo di Mechelen, capitanato da Stefan De Graef, ci regala un album di una bellezza disarmante: costituito da brani di lunghezza media, che tendono a seguire un percorso sonoro concettuale in un contesto dove il tutto è esponenzialmente più della somma delle sue parti, “World Maker”, facendo fede al proprio titolo, configura un viaggio che è tanto interiore quanto materico. I riff, fisici e melodici ma al contempo psicotropi e vorticosi, paiono davvero creare mondi nuovi verso cui viaggiare. "You Are The Sky", "And You Came With Searing Light' (la mia preferita!), l’epica "Endless Erosion", la blues-eggiante “…Everything Else is Just the Weather” (come se i Pink Floyd si fossero messi a fare post-metal) sembrano tutte create dalle mani di un Dio che, con amore e ispirazione, dona a noi Umani nuove realtà. E poi c’è lei, “Stargazer” una canzone che vale una carriera e che è il sigillo, in carta bollata, che certifica la grandezza degli Psychonaut, ormai da considerare a pieno titolo sul podio del post-metal mondiale, assieme a Cult of Luna e The Ocean (che, guardacaso, li producono tramite la loro Pelagic Rec.).

Primo posto stra-meritato!

Menzione onorevoleAMENRA – “De Toorn / With Fang and Claw”: non siamo usi, nelle nostre classifiche di fine anno ai “+1et similia ma facciamo volentieri un’eccezione alla regola e inseriamo questa coppia di EP (usciti però anche in compilation per un totale di quasi 40’ di musica). Non potevamo, infatti, esimerci dal trattare gli Amenra che, come accaduto nel precedente “De Doorn” (2021) e nei vari capitoli di “Mass” (I – VI), continuano imperterriti a strappare le carni dell’ascoltatore adattando ai loro morbosi fini spirituali gli stilemi post-HC/sludge/post-metal. Tra atmosfere rarefatte, sezioni ritualistiche di rara intensità, esplosioni elettriche annichilenti, il quintetto capitanato da Colin van Eeckhout continua a livelli altissimi il suo percorso di ricerca sonora dove le emozioni più intime, trasposte in musica (e anche live...), assurgono a paradigma universale del Dolore dell'Uomo. Immensi...

A cura di Morningrise

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