I
MIGLIORI DIECI ALBUM NON-METAL FATTI DA BAND/ARTISTI METAL
8° CLASSIFICATO: “THE SMELL OF RAIN”
Dall’appassionato
cantautorato di Steve Von Till, anima dei Neurosis, allo shoegaze sognante dei
francesi Alcest, passando dal fluido rock psichedelico messo in campo dagli
Opeth: fino a questo momento la nostra rassegna dei dieci migliori albumnon-metal fatti da band/artisti metal ci ha fatto conoscere ballate
acustiche, sonorità soft e melodie cangianti. Ma non-metal non
significa solo atmosfere crepuscolari e malinconiche, una voce pulita ed una
chitarra più o meno acustica. Ce lo spiega Havard Elefsen, in arte Mortiis:
con l’ex bassista degli Emperor entriamo in discoteca e scuotiamo un po’
il culo. Sì, proprio Mortiis, quel bislacco personaggio dal naso aquilino e le
orecchie a punta che sembra uscire da un incubo di Clive Barker (e già,
non proprio la quintessenza del truzzo danzante!). Con Mortiis, invero,
assistiamo ad una delle parabole artistiche più assurde che la Musica Tutta
abbia mai conosciuto.
Pensateci
bene: in quale altro universo, se non nel vulcanico mondo del metal, poteva
capitare una cosa del genere? Signore e signori, ecco a voi la storia di
Havard Elefsen, in arte Mortiis.
Il
quindicenne Havard Elefsen, giovane bassista norvegese, agli albori della
decade novantiana militava nientemeno che in una delle più grandi band
black metal di sempre: gli Emperor. Ma attenzione: non troveremo
traccia del suo plettro nel mitico “In the Nightside Eclipse” (nel quale
suonerà il suo successore Tchort), perché qualche tempo prima (nel 1993
per l’esattezza), terrorizzato dalle vicende sanguinarie dell’Inner Circle,
decise di togliersi dalle palle e cambiare aria, trasmigrando nella confinante
Svezia. Voci di corridoio vogliono che sia scappato per via delle ritorsioni
temute per aver spifferato alla polizia dettagli che poi avrebbero incastrato
il suo compagno di band Faust, nel frattempo arrestato per aver ucciso a
sangue freddo un omosessuale (mi ricordo ancora l’intervista del batterista,
già dietro alle sbarre, in cui giurava impietosa vendetta nei confronti di
quell’infame dell’ex collega). Il bassista dette una versione diversa
della vicenda, affermando di essersi trasferito in terra svedese per amore,
visto che là viveva la sua fidanzata. C’è addirittura chi sostiene che si sia sottoposto
ad un’operazione di chirurgia plastica per allungarsi orecchie e naso al fine
di non farsi riconoscere (punto di vista alquanto opinabile, dato che sarebbe
stato proprio un coglione a ridursi in quello stato ed al tempo stesso non
cambiare il nome d’arte; non considerando, inoltre, il fatto che in generale
conciarsi come un pagliaccio non è il miglior modo per passere inosservati…).
Gossip
a parte, il buon Mortiis ebbe modo di partecipare solo alle sessioni dell’EP
“Emperor”, debutto discografico della band, edito nel 1993 in uno split con
gli Enslaved. Il suo lascito artistico però, più che fra le corde del
basso (poca roba nell’economia del suono degli Emperor e in genere di qualsiasi
band dedita al black-metal), è da rinvenire nei versi che ha scritto per due
brani formidabili quali “Cosmic Keys to My Creations and Time” e “I
Am the Black Wizards” (grandissimo titolo!). In entrambi i testi (per i
quali il bassista viene accreditato come co-autore insieme al cantante Ihsahn)
possiamo già cogliere in embrione quella che poi sarà la missione artistica del
piccolo/grande Mortiis: creare mondi.
Non
manca l’immaginazione al ragazzo, che ama spaziare nella vastità creatrice
della sua mente e ritrarre paesaggi maestosi che non sarebbe fuori luogo
accostare alla famigerata Terra di Mezzo di tolkienana memoria:
elfi, orchi, maghi (neri!) popolano questi mondi sanguinari in cui battaglie
cruente e sortilegi sono gli elementi fondanti. Un’indole solitaria e
visionaria che lo porterà di fatto a gestire un progetto tutto suo che prenderà
il nome proprio dal suo stesso pseudonimo Mortiis (verrà poi svelato in
un’intervista che la genesi di questo nome fu dovuto all’ignoranza del
musicista stesso che probabilmente non andava troppo bene in latino,
considerato il fatto che la parola mortiis non esiste e non è altro che
una storpiatura della lingua latina).
Fatto
sta che il progetto Mortiis nasce come una one-man-band dedita ad un dark-ambient
medievaleggiante, a dirla tutta un po’ prolisso. Per un po’ di tempo, tuttavia,
sarà questo il medium artistico tramite il quale il Nostro preferirà
esprimersi: è sempre del 1993 il suo esordio discografico da solista “Fodt
Til a Herske”, a cui seguiranno diversi lavori più o meno simili, via via
affiancati da altri progetti più o meno simili (Fata Morgana, Cintecele
Dravolui e Vond).
Il
nome Mortiis, pertanto, verrà associato per diversi anni ad una musica
evocativa, ma sostanzialmente piatta. Il culmine di questo percorso (definita dall’artista
stesso Era I) sarà “The Stargate” del 1999 (vi ricordate
l’esilarante copertina con Mortiis ritratto in versione alata?), nel quale si
introducevano nuovi elementi, come chitarre acustiche e voci femminili (per
l’esattezza quella di Sarah Jezebel Deva, già collaboratrice di lunga
data con i Cradle of Filth). Tutt’altra musica, invece, con l’album di
rottura “The Smell of Rain”, del 2001, unico rappresentante dell’Era
II (già con il successivo “The Grudge”, del 2004, verrà
inaugurata l’Era III, in cui il progetto diverrà una band vera e
propria).
Ma
cosa succede nella fatidica Era II? Una delle metamorfosi più assurde
che si siano mai verificate nella storia della musica recente. La virata
musicale è sconcertante, tanto che della passata produzione artistica di
Mortiis non rinveniamo praticamente nulla: da elfo evocatore di mondi
fantastici, Mortiis si mette a fare elettronica, e quella più truzza che
possiamo concepire. Il Nostro canta, suona la chitarra, il basso, le tastiere,
sta dietro all’attività di programming e cura la produzione in prima
persona: la musica di cui è autore diviene una sorta di pop/rock meticcio a
metà strada fra industrial rock, techno piaciona e synth-pop
dal sapore vintage. In essa troviamo stralci di Nine Inch Nails, Marylin
Manson, Moby, Enigma, New Order, primi Depeche Mode,
persino Glenn Danzig (artista per altro citato fra le maggiori
influenze, e si sente).
Il
risultato è una pacchianata allucinante (a partire dal titolo – ma che diavolo
è “La puzza della pioggia”?!?), ma rende meglio di molte altre prove di
metallari illuminati passati repentinamente alla causa dell’electro-pop.
Abbiamo citato nell’anteprima il triste esempio dei Paradise Lost, che
proprio non ci sono piaciuti in “Host”, ma potremmo menzionare anche le prove
fallimentari di Sundown (progetto a quattro mani diviso fra Mathias
Lodmalm dei Cemetary e Johnny Hagel dei Tiamat) o certe derive
electro poco riuscite degli stessi Tiamat e dei Moonspell.
Mortiis, a non sapere né leggere né scrivere, realizza un prodotto intrigante
che fu salutato (dai pochi che se accorsero) come un lavoro fresco ed
elettrizzante.
Il
problema di questi lavori, come già sostenuto in precedenza, è che non vi è in
vero target di pubblico con cui confrontarsi: quando un artista esce dal
metal rischia di perdere i propri fan e di non guadagnarne altri, visto che
farsi conoscere fuori dal confini del metallo non è semplice, nemmeno se si
sfornano lavori eccellenti. Per quei pochi che per congiunture astrali si
trovano nel posto giusto al momento giusto (o, potremmo dire, nel posto
sbagliato al momento sbagliato, e io mi ci sono trovato spesso), imbattersi in
lavori del genere può essere un’esperienza interessante. Da metallaro poco
esperto di elettronica quale ero all’epoca, il tutto mi gustava alquanto. Oggi,
che sono un po’ più scafato sull’argomento, mi sento di confermare che questo
esperimento non è affatto male. Il termine adatto per definirlo è efficace:
i beat elettronici picchiano che è una bellezza e tutte le altre cose
(voce e chitarre comprese) sembrano stare nel posto giusto, sebbene non si
rinunci a qualche pagliacciata ereditata dal passato “gotico” (tipo i cori
operistici della sempre presente Sarah Jezebel Deva).
Probabilmente
l’indole che originariamente spinse il piccolo Havard Elefsen a comprarsi un
basso può essere ancora rinvenuta nell’attenzione dedicata alle basi ritmiche
ed ai bassi, in effetti ben commissionati fra loro. Ma il sound
allestito è comunque corposo e ricco, ricordando quell’elettronica
paesaggistica e dal flavour epico di cui Moby (ruffianerie a parte) è
stato un buon interprete. Le chitarre ritmiche non mancano a dare solidità al
tutto, anche se il loro ruolo è secondario e lontano dalla potenza che esse
potrebbero avere in formazioni come Rammstein o Ministry. La
prova dietro al microfono dell’ex poeta degli Emperor, infine, si amalgama
assai bene con il resto: ampiezza vocale al minimo, voce rigorosamente nasale e
spesso filtrata, ma credibile nel ritrarre scenari di degrado urbano ed acido
intrattenimento. Melodie scontate, certo, ma sempre ben sorrette e trasportate dalle
robuste basi ritmiche, in certi casi al limite della jungle più
scatenata. Insomma, non si capisce bene come, ma il tutto funziona, sebbene si
abbia il sentore di trovarsi in un tragico equilibrio in cui tre zoppi (voce,
melodie, ritmo) si sorreggono a vicenda (ma che invero riescono assai
speditamente a giungere a destinazione).
Cosa
più importante di tutte: zero velleità intellettuali. Mortiis è serio
(perché gestisce il suo cambiamento con grande professionalità), ma non si
prende su serio: porta avanti onestamente la sua metamorfosi artistica,
divertendosi e divertendoci, senza sfondarci le palle con sproloqui e verbosità
di cui fra l’altro non sarebbe stato nemmeno capace. Del resto, che vi sia
dietro a tutto una bella dose di ironia, si capisce dai videoclip che
ritraggono il nostro eroe (sorta di orripilante Marylin Manson elfico de’
noantri), in versione “urban”,
con tanto di giacca di pelle, dreads e braccia tatuate, ma sempre con
quel naso e quelle orecchie da folletto sradicato violentemente dalla sua
foresta e gettato sull’asfalto sconnesso di una metropoli degradata!
Ma
al di là dell’indice di gradimento che può riscuotere un’operazione del genere,
quello che continua a colmarmi di stupore è aver assistito a questa strana
vicenda artistica di cui Mortiis è venuto ad essere protagonista: prima
bassista in una band black metal, poi fautore di un dark-ambient di matrice fantasy,
infine alfiere di un industrial-rock che ambisce a far ballare scoordinati darkettoni
nei club alternativi di tutto il mondo. Ve lo ripeto ancora una volta: avete
visto cose del genere al di fuori del metal?