Proseguiamo con l'analisi
dei testi degli MGLA, facendo un passo indietro da "Groza" ai primi EP,
in cui si riscontra che le immagini predominano sui concetti diretti, e
non mancano agganci con gli spunti dell'anticrisitanità.
Il monoteismo è un
“inganno spirituale” per gli MGLA, come per gli altri teologi
black. La loro rappresentazione del Dio unico, che tutto livella, è
quella della morte. Siamo uguali, e liberi da ogni perturbazione
generata da differenze e tensioni, solo in due situazioni: da morti,
e da credenti.
L'uomo
nasce Colosso e il mondo è il suo giardino, un Eden terreno, spontaneo. Il
Dio unico lo avvolge con venti stagnanti (un
ossìmoro riuscitissimo), e si erge come monumento di un
salmo muto (altro
ossimoro). A cantare le lodi di Dio è un feto in decomposizione dentro il
ventre della Terra, che coincide sia con l'uomo morto che con il figlio di Dio
neonato. La nascita di Dio, con la resurrezione, è
l'uccisione del culto dell'uomo, che se ne muore dentro il ventre della Terra
generatrice. La vita potenziale che sempre può rinnovarsi è uccisa
dall'applicazione della dottrina monoteistica, che si leva come inno sordo
all'assenza di scopo terreno.
I Giardini appassiti e Il Colosso morto
avvolto dai venti viscidi della stagnazione
come un monumento al salmo muto
emesso da un feto decomposto dentro il ventre della Terra
Si auspica quindi l'avvento di un nuovo Dio, un anti-Dio,
forgiato dalle mani dell'uomo, che trasformi di nuovo l'uomo in fango, nel suo
elemento primigenio. Fango fertile al posto di diamante sterile. Perché l'uomo
è, in natura -e questa è la sua grandezza, tutta terrena- una “punta di terra
consapevole” (conscious, erected mud): si
erge sulla terra, ma è fatto di terra, ma vivo di consapevolezza di sé. La
consapevolezza non è trascendente, non rende la terra qualcosa di diverso, ma
la consacra a sé stessa: terra consapevole del proprio ciclo, del proprio
limite, e paga delle proprie aspirazioni.
In un altro passo si contrappongono i due stati, quello sottoposto a Dio e quello
della libertà umana, come due “nulla”. Il “nulla” divino è la verità che si
nasconde dietro l'ologramma spirituale, ingannevole immagine di un tutto ricco
ed eterno, che è indefinito e fasullo. Dietro sta l'annientamento di ogni
parola, e il tradimento di ogni sogno.
Arrivare oltre la rete dell'inganno spirituale
che il genere umano per millenni ha tessuto
e fronteggiare la più terribile delle verità
Ogni singolo sogno....distrutto, caplestato e perduto
Ogni singola parola....messa sotto silenzio, senza ritorno
Scendiamo ! Torniamo indietro al primitivo, orrido e
meraviglioso
Nulla
Ed ecco invece la ricostruzione dell'uomo, che da quel
nulla parte. Ma lo rende nuovamente fecondo: anziché essere una verità nascosta
dalla bugia della fede, diviene una piano su cui ergersi nuovamente verso un
obiettivo terreno. La terra,
resa sterile in rapporto ad una fecondità solo divina e trascendente, torna matrice di vita se la
prospettiva cambia e diviene terrena. Il “nulla primario” non è una
solitudine, ma una base, la Terra brulla su cui iniziare la propria crescita.
La rottura del velo uniforme è simboleggiata anche dalle
ferite auto-inflitte. Metaforicamente, l'apertura delle ferite crea uno iato,
una differenza tra due punti, che rende individuo di nuovo l'uomo, sia per il
dolore, che per la creazione di un'apertura contrapposta alla pelle integra.
Attraverso queste “porte” (il “portale della carne”) fuoriesce il sangue
infestato dai serpenti della luce.
La ferita tradisce il “richiamo della creazione continua”,
cioè quel principio per cui tutto è creato da Dio, ma è come se non nascesse né
morisse mai individualmente. Mentre nel “caso della lama del rasoio” dal blob
amorfo della fede si torna ad un “pattern”, ad una trama: da una staticità
assoluta si torna ad un movimento, un gioco di pieni e vuoti, di altezze e di
distanze, insomma tutto ciò che definisce ed esalta l'esistenza terrena. Se
peccato e pentimento sono due momenti che si annullano a vicenda, in un ciclo
continuo (la creazione continua dell'uomo sottoposto a Dio), la ferita
autoinflitta in questo caso simboleggia invece l'idea di una iniziativa che non
è rinnegata come peccato, e chiusa tramite il pentimento.
Ovviamente, una metafora più diretta della ferita è lo
sforzo, il dolore che serve per
determinare uno strappo tra le certezze illusorie e l'identità autentica di cui
l'uomo ha imparato a dubitare. In ogni caso, l'uomo torna attraverso una
ferita, un'immagine che si riallaccia sia alla biologia del parto, sia al
percorso di vita che si attua attraverso alcuni passaggi dolorosi, di presa di
coscienza, di lutto, e di esperienza della fine delle verità umane. Porte che
non sono da chiudere attraverso frettolose negazioni e riconciliazioni, come
quella del pentimento, ma da lasciar
cicatrizzare perché acquisiscano e mantengano un senso umano, e un valore di
memoria e monito.
Dio, per gli MGLA, è un chirurgo
plastico che riempie le persone di siliconi spirituali, con il risultato di
farli sembrare veri e giusti, ma sempre più grotteschi mano a mano che
invecchiano.
A cura del Dottore