“Venite, siori e siore, accorrete!
E’ arrivato il circo in città! Nani, ballerine e acrobati si esibiranno per
voi! Presenta lo spettacolo…DEVIN TOWNSEND!”
Poteva essere questo lo slogan
impresso sulla locandina del grande show allestito dal folle genio canadese per
questa unica data europea volta a celebrare un ventennio (circa) della sua
attività artistica.
Sabato 27 ottobre
2012 infatti, alla Roundhouse Venue
di Londra, andava in scena questo…questo…come chiamarlo? concerto? No, troppo
poco; musical? potrebbe andare se non fosse che anche questo termine è
riduttivo…chiamiamolo allora come lo ha chiamato Devin: CIRCO!
Non staremo a fare recensioni su
questi 130’ minuti di musica (160, nella versione in DVD che comprende i vari
intermezzi, dialoghi e scenette assortite). Se ne parla già diffusamente in
rete, con unanime consenso da parte di tutti i siti specializzati. I voti sono
tutti molto alti, dall’”8” in su.
Noi preferiamo invece chiederci
se “The Retinal Circus” (opera mastodontica che ha necessitato di un anno intero di prove) rende onore e merito alla carriera di un artista sicuramente
tra i più geniali che il nostro genere abbia prodotto negli ultimi decenni.
Ora, affrontare il tema sempre scivoloso dell'autocelebrazione (perchè di questo si tratta, come dimostrano persino le maschere col suo volto rilasciate tra il pubblico) poteva essere fatto in due modi da Devin: o seriamente con un concerto “canonico”, che
ripercorresse la ventina di album in studio che hanno attraversato la sua vita
musicale; oppure con
ironia, senza prendersi troppo sul serio, con spirito dissacrante e volutamente
eccessivo. Devin, manco a dirlo, coerentemente con la sua personalità (molto
sfaccettata), sceglie questa seconda via seppur, a parere di chi scrive, non
percorrendola fino in fondo e ricercando un incrocio improbabile con
l’approccio più “serio e profondo”.
Risultato? Un potpourri di suoni, video, immagini, temi, colori ed espressività
multiformi. Una gioia per occhi&orecchie. Con dei “ma” piuttosto
evidenti che inficiano il prodotto finale.
Dopo un’introduzione di ben 5
minuti ad opera dell’amico di vecchia data Steve
Vai (che appare sul megaschermo alle spalle del palco fungendo da
narratore) comincia un coacervo
delirante fatto di ragazze con chiappe e seni in bella mostra, nani
travestiti con costumi mostruosi, scheletri-ballerini, danzatori e danzatrici camuffati
da gatti, cani, scimmie e altre bestie
assortite; cori composti da cantanti
gospel (con tanto di tunica clericale) sulla cui testa volteggiano acrobati che si arrampicano a 4 metri
d’altezza. Finito qua? Manco per l’anticamera! Abbiamo poi contorsionisti e danzatrici del ventre;
mega-pupazzi alieni (Ziltoid The Omniscient)
che scoprono, telefonando alla moglie rimasta sulla navicella spaziale, di
aspettare un figlio (sic!); mega-vagine
di gomma da cui improbabili ginecologi, coadiuvati da sexy ostetriche con
camici molto succinti, fanno fuoriuscire enormi feti alieni. E molto, molto altro.
Su tutto questo, a dare un senso
unitario ai ben 25 brani in scaletta, c’è la storia di Harold (ed è questo l’aspetto “serio e profondo” di cui
parlavo prima), ragazzo semplice, con una vita normale (amici, famiglia,
studio, ecc.) che, prima di addormentarsi nel suo lettino, si pone mille domande sulla vita e sull’amore, ma soprattutto su
quello che è il tema centrale del pensiero townsendiano: le relazioni umane e la loro complessità. Insomma, le canoniche
domande sulla natura umana. Inutile dire che al termine di questo folle
viaggio, il solito Vai (che interverrà in quasi ogni intermezzo tra un brano e
l’altro) ci darà una risposta (che non spoilerizzo).
Ora: per carità, tutto bello e
tutto divertente. Ma qualcosa non mi convince.
Innanzitutto la scaletta: capisco che la band si è
spremuta, ha suonato per quasi tre ore, ha eseguito brani da ben dieci album
differenti, e fare un sunto completo della discografia del Nostro non sarebbe
stato fattibile. Ma, mio caro Devin, come cazzo si fa a lasciare interamente
fuori “Terria”!!?? Cioè, non vorrei
dire…”Terria”! Il tuo CAPOLAVORO! La summa della tua arte; il disco perfetto, il più bello della tua
carriera, Devin! Quella in cui trova equilibrio tutta la tua personalità,
tutte le tue (s)manie da malato bipolare, tutti i versanti del tuo Io!Una pugnalata
non trovare neppure un brano nella scaletta…
Cerco di passarci sopra e pensare
che probabilmente anche lui sa cosa sia e quanto valga “Terria” e che non
l’abbia quindi voluto buttare in mezzo a questa sorta di Circo Barnum.
Altra critica: il capitolo Strapping Young Lad. Caspita Devin, ho
capito che li hai messi nel cassetto già da parecchi anni, ma tra il pubblico
ho visto più gente con la maglia dei SYL che con quella di Ziltoid…e non è un
caso che il delirio tra la folla sia esploso in particolar modo quando sul
palco è salito al tuo fianco Jed Simon a suonare
“Detox” da “City” e “Love?” da “Alien” (e lo credo bene…). Insomma, seppur i momenti da ricordare,
musicalmente parlando, non manchino (l’incipit esaltante di “Effervescent!/True
north”, le emozioni di “Vampira” e “The greys” e i melodiosi spazi soft di
“Ih-Ah!”, "Wild colonial boy" e “Grace”) credo che una maggior presenza del giovane ragazzotto ben
piantato sarebbe stata gradita a tutti.
E infine passiamo a Lei, la
Dea. Anna Maria, in arte Anneke.
Ormai compagna fedele dei progetti del Nostro dal 2009 (anno di uscita di
“Addicted”), l’olandese più amata dai
metallari di ogni latitudine, ogni cosa che “tocca” la trasforma in oro.
Ogni suo intervento alza la qualità del tutto, i suoi inconfondibili vocalizzi
rapiscono in quel 2012 come fece la sua entrata in scena già dal primo verso di
“Strange Machines” nel 1995.
Ma (a proposito dei “ma”): lei sempre misurata,
sempre compita nei suoi vestiti sobri, sempre smaliziatamente sorridente nella
sua femminilità fine ed affascinante; in mezzo a quel bordello…boh, non ce l’ho
vista tanto! Lungi dall’apparire il bacchettone che proprio non sono, è come
immaginare una Audrey Hepburn che si aggira sul set di un film porno durante la
ripresa di un’orgia. Con la sua classe e presenza scenica, Anneke riesce sempre
a dare l’impressione che sia a suo agio, anche quando Devin limona con il pupazzo di Ziltoid (scena alquanto
stomachevole), o che gli enormi peni di
gomma e le vagine occhiolute (sic!) intorno a lei non ci siano…però, noi le
vediamo e la cosa stride un goccino…
Insomma, per il sottoscritto,
imperituro fan di Devin, è stata una gioia vedere il DVD e celebrare, seppur in
remoto, i suoi 20 anni di musica; mi rimane però un retrogusto, se non
amarognolo, quantomeno di incompiutezza:
la sensazione che si potesse fare, non dico di più, ma di meglio.
Del resto Devin non è un
musicista normale e non potevamo aspettarci uno show “normale”! Prendere o
lasciare…io ovviamente, prendo!
A cura di Morningrise