Nel 1982 Lucio Battisti
abbandonava volontariamente la carriera di innumerevoli successi per una nuova
concezione di musica, un'idea che non avrà eredi nella musica italiana; ma
altri loschi figuri in terra norvegese hanno allo stesso modo radicalmente mutato
il loro genere. Nel 1998 usciva "Themes from William Blake's The Marriage
of Heaven and Hell" degli Ulver, mentre 16 anni prima vide la luce tra lo
stupore generale: "E già" di Battisti.
Così lontani, così vicini.
La virata di Battisti verso un techno-pop
freddo, con testi così diversi da quelli composti con Mogol, stupì pubblico e
critica. Il cambio sperimentale dei norvegesi Ulver forse ancora di più riuscì
a spiazzare i fans del mondo metallico che, abituato a lanciarsi nelle foreste
con i lupi, si trova improvvisamente lontano dal folclore, dalla natura ferina,
ma soprattutto catapultato dentro un mondo elettronico.
L'ultimo periodo di Battisti
resta un enigma ingigantito dalla riservatezza di Lucio, ma anche il germe che
ha covato nella pancia degli Ulver è restato ignoto ai più fino all'uscita del
doppio album dedicato all'opera di Blake.
Se nella prima parte della sua
carriera Battisti ha sposato la tradizione melodica della musica italiana,
successivamente ha provato a rompere tutto ciò che lo aveva reso famoso. Almeno
fino al 1994 ha sfidato il mercato con una libertà creativa assoluta,
provocatoria, ironica e grazie alla notorietà del personaggio ha potuto
mantenere una purezza nel prodotto voluto senza che l'industria discografica
potesse intervenire.
Così gli Ulver nella prima parte
della loro carriera, che comprende il primo terzetto di album, ha chiamato a
raccolta tutti i lupi, ha acceso un falò e ha cantato le gesta della foresta.
Ha sfidato i mostri sacri del black metal riuscendo a realizzare album che
restano nella storia della musica estrema, da "Bergtatt - Et Eeventyr i 5
Capitler" fino a "Nattens
Madrigal", passando per il meraviglioso intermezzo bucolico di
"Kveldssanger". Improvvisamente decidono di cambiare tutto, proprio
come Lucio: restano inflessibili e sperimentano nuovi mondi musicali così
lontani da ciò a cui avevano abituato il loro pubblico.
Sembra che questi artisti vogliano chiudere tutto quello che apparteneva al loro mondo precedente: Battisti chiarisce di non volerne più sapere di Mogol; gli Ulver si presentano come se uscissero da un film di Tarantino; Lucio si dedica soprattutto da "Don Giovanni" in poi alla metropoli e alla tecnologia spersonalizzata, come i testi di Kristoffer Rygg (cioè Garm) nel trip hop di "Perdition City".
Battisti abbandona la chitarra
acustica per prediligere una fredda timbrica elettronica prodotta dalle
tastiere, diventa quasi "one man band" (se non fosse per la presenza
di Greg Walsh) e segue le orme di Cabaret Voltaire, Brian Eno e Robert
Fripp.
Gli Ulver invece prendono a
modello i Massive Attack, Portishead e tutto quel mondo elettronico fumoso e
metropolitano; i lupi diventano animali di città con giacca e cravatta per un
pubblico spettrale.
C'è in entrambi una precisa
rarefazione del suono, una volontà di spaesamento, di uscire dalla tradizione e
mettere i germi di una libertà compositiva che arrivi ad un apice dato da
"Hegel" (1994) per Battisti e "Shadows of the Sun" (2007)
per gli Ulver.
"Hegel" è un disco maturo
dove le intuizioni di questo periodo diventano complete, giri di basso
ripetitivi in una musica ludica con spirito freddo: è il cubismo di Lucio.
"Shadows of the Sun" è
un disco rarefatto, colto, elegante e primitivo al contempo, riassume le idee
di questo periodo dei norvegesi: è l'orizzonte degli Ulver.