Lo dico subito a scanso di equivoci: adoro “Renewal”. E adoro anche “Outcast” ed “Endorama”, che con "Renewal" compongono un controverso trittico di opere che ha svelato, nel corso degli anni novanta, le qualità autoriali di Mille Petrozza e le propensioni al cambiamento, fino ad allora insospettabili, di una band della vecchia scuola come i Kreator.
Cambiamento: era questo il tema di cui volevamo dibattere. Qui il problema non è l’album in sé (quel “Renewal” tanto bistrattato all’uscita e poi rivalutato successivamente), perché il senso di questa rassegna non è trattare gli album più brutti del metal, ma quegli album che hanno costituito un punto di “rottura” nel percorso di talune band. In questo caso, più che di una fase di definizione identitaria specifica per i Kreator stessi, sarebbe più lecito parlare delle crisi di un genere intero: il thrash metal agli inizi degli anni novanta.
Anno 1992: lo tsunami del grunge si era appena abbattuto sul mondo del rock (erano dell’anno precedente “Nevermind” dei Nirvana e “Ten” dei Pearl Jam); certi filoni che erano andati forte nella decade precedente, come il glam o l’hair metal, iniziarono a vivere il loro declino, mentre le sonorità alternative stavano già contaminando il metal.
Nel 1992, giusto per dare un’idea, uscivano “Psalm 69: The Way to Succeded and the Way to Suck Eggs” dei Ministry, che sdoganavano definitivamente l’industrial metal, e l’omonimo debutto dei Rage Against the Machine, che addirittura flirtavano con il rap (ah, eresia!). Ma il 1992, soprattutto, era stato l’anno di uscita di “Vulgar Display of Power”, la bomba sganciata dai Pantera che avrebbe definitivamente cambiato i connotati del thrash metal ed innescato l’esplosione, negli anni appena successivi, del groove metal (poi seguito a stretto giro dal nu-metal).
In tutto questo i tedeschi Kreator, che all’epoca vantavano uno status di grande rispetto per aver dato alle stampe cinque album che avevano fatto la storia del metal estremo, dimostrarono di essere in grado di intercettare certi stimoli prima di altri. A mio avviso affrontarono una fase di cambiamento epocale in lieve anticipo, probabilmente per reali esigenze artistiche, evitando la condotta fallimentare di molti altri loro colleghi che ignorarono cocciutamente la realtà per molto tempo per poi risvegliarsi un brutto giorno in un mondo totalmente diverso ed ostile, guardarsi allo specchio e chiedersi: “E adesso che cazzo facciamo?”. Per molti di loro questo risveglio tardivo costò lo scioglimento, non senza qualche patetico tentativo di salvataggio fuori tempo massimo.
Questo “risveglio” i Kreator l’ebbero con “Renewal” (che significa non a caso rinnovamento), anche se poi il titolo dell’album si legava a tutt’altro tema e non certo alle sorti del thrash metal ottantiano: l’intento, semmai, era di osservare gli scenari politici e sociali che la fine della Guerra Fredda, sancita simbolicamente dalla caduta del muro di Berlino, aveva da poco dischiuso.
Per certi aspetti potremmo dire che già con il precedente “Coma of Souls” si era palesata una certa consapevolezza di come stavano cambiando le cose: lo stesso Petrozza, nelle interviste dell’epoca, si mostrava conscio che il thrash metal era stato oramai scalzato dalla sua posizione di avamposto estremo del metal dal neonato death-metal (correva l’anno 1990). E infatti “Coma of Souls” decideva di abbandonare una competizione persa in partenza, decelerando nei tempi ed emergendo come l’album più meditato e cupo della carriera dei tedeschi fino a quel momento, con un brano come “Terror Zone” a svelare un nuovo volto, più melodico, della band.
Sono quella cupezza e quell’alone decadente che pervaderanno per intero “Renewal”, a cui si aggiungeranno quegli orpelli di musica industriale che costituiranno la pietra dello scandalo. Poca roba a guardar bene: fatta eccezione della breve strumentale “Realitatskontrolle”, un minuto e ventidue secondi di soli sample industriali, la componente elettronica era parte davvero minoritaria nell’economia dell’album, che semmai risultava penalizzato da una mixaggio totalmente sballato, con batteria e voce in evidenza e chitarre ovunque sacrificate.
Dal punto di vista compositivo l’album si mostrava invece estremamente valido, con tracce dalla veste più moderna e dalla vocazione introspettiva (ma nemmeno poi tanto, considerato che diversi brani continuavano a correre e in ogni caso il medium espressivo del thrash non era stato affatto rinnegato). Soprattutto si imponeva una visione artistica estremamente a fuoco, con atmosfere glaciali che rispecchiavano alla perfezione la profondità dei testi.
Insomma: "Renewal", il suo insuccesso, le scarse vendite, le critiche piovute da tutti i fronti sono la dimostrazione di come all’epoca nel metal fosse difficile farsi accettare se portatori di un cambiamento che deviasse dal tracciato tipico che era stato indicato nella decade precedente (il thrash, per forza, doveva evolversi in senso tecnico, non abbandonando in nessun modo la sua comfort zone, come avevano professato i Metallica in “...And Justice for All” e i Megadeth in “Rust in Peace” - e come stavano facendo anche i più estremi Sepultura, che in quegli anni raggiungevano il top della forma con “Arise”).
Non mi spingerei a giudicare troppo severamente il popolo dei metallari del periodo: più che miopi, erano figli di un ferreo establishment culturale che aveva fino ad allora offerto solo solide certezze e dove il tema del cambiamento non era ancora gestibile con quella disinvoltura che sarebbe stata possibile solo qualche anno dopo.
E’ un peccato tuttavia pensare che certe band abbiano dovuto frenare le proprie ambizioni per accontentare un mercato poco recettivo e curioso di novità. E che persino qualcuno ci ha lasciato le penne: vengono in mente i Coroner, i quali si sciolsero all’indomani del flop commerciale di “Grin” (1993), a parere di chi scrive uno degli album metal più geniali di sempre e che, guarda caso, presentava forti analogie con “Renewal”.
Ai Kreator andò meglio, ma sarebbero stati costretti ad operare una brusca marcia indietro verso il lidi del thrash veloce ed oltranzista con il mediocre “Cause for Conflict” (1995), per poi nuovamente ricredersi e riproporre successivamente le idee abbozzate in "Renewal” in anni in cui l’accresciuta apertura mentale dei loro fan lo avrebbe concesso senza troppi traumi...