"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

17 giu 2022

INCINERATION FEST - parte seconda: gli Emperor...

 


Eccoci dunque al momento tanto atteso. Chi ha avuto pazienza, si è letto tutto quello che abbiamo dovuto sopportare: l’Incineration Fest, la fauna umana, le esibizioni degli altri gruppi. Una giornata impegnativa, indubbiamente, che si presta finalmente a raggiungere il suo culmine, anzi, la sua ragion d’essere. 

7 maggio 2022, ore 9:28pm. Filosofiche luci verdi rischiarano il palcoscenico, un tendone gigante con una grande 'E' ci sovrasta: gli Emperor stanno per manifestarsi agli occhi di noi comuni mortali. Qualche pronostico: è lecito aspettarsi l’esecuzione quasi completa di “Anthems of the Welkin at Dusk” e due o tre brani da “In the Nightside Ecliplse”, che ci sta più che bene. Gli Emperor sono Leggenda, non mettono piede in studio di registrazione da venti anni, ma hanno il buon cuore di donarsi ai loro fan con rare comparsate dal vivo e mini-tour. E’ dal 2006 che non tornavano a Londra ed è bello essere qui presenti ad assistere ad una loro apparizione. Come dice un tizio davanti a me rivolgendosi a due ragazze: ho visto gli Emperor tutte le volte che ho potuto, questa è la quarta volta. Perché sono qui? Perché con gli Emperor è sempre come la prima volta... 

Non siamo tantissimi, a dire il vero, forse l’alto costo del biglietto ha trattenuto molti dal presentarsi all’evento, oppure, più semplicemente, molti duri e puri hanno preferito sderenarsi le orecchie con gruppi inutili per svariate ore ed adesso preferiscono leccarsi le ferite nelle retrovie. Beninteso, una discreta folla è accalcata sotto il palco, ma in seconda fascia non si sta male: la visuale è buona e il rischio di pogo molesto è scongiurato. Alle nostre spalle le “tribune” son quasi piene e un po’ invidio quei saggi signori che hanno deciso di guardarsi lo spettacolo da seduti. Del resto la giornata non è stata semplice, è dalle 4:30 e mezzo circa che sono a giro per Camden Town, in piedi o seduto per terra, sorseggiando birre nell’oscurità, con gente oscura, ascoltando musica oscura. 

Il concerto finalmente inizia, il boato del pubblico precede l'ingresso della band. L’intro è quello di “In the Nightside Ecplise”, le luci si son fatte blu e già mi prende un infarto…vuoi vedere che attaccano con “Into the Infinity of Thoughts"?. Sarebbe qualcosa di meraviglioso, ma invece ad attaccare è qualcos’altro. I suoni, come tutti i set precedenti, partono confusi per migliorare progressivamente, ci metto un po’ a riconoscere “In the Wordless Chamber”, unico estratto da quello che fu il canto del cigno della band, ossia “Prometheus: The Discipline of Fire & Demise”. Il brano non è indispensabile, ma se serve per equalizzare i suoni, allora ben venga! All’inizio a prevalere è lo svolazzare delle tastiere e il drumming precisissimo di Trym (e non ci stupiamo). La voce di Ihsahn paradossalmente rende bene nel marasma di questi primi minuti (e qui invece ci stupiamo perché su disco spesso viene fagocitata dagli altri strumenti). L'apertura è tiratissima e dovremo aspettare il rallentamento centrale con il break sinfonico per tirare il fiato: questa porzione orchestrale, che ricorda certe finezze degli Arcturus, svela l’eleganza del sound degli Emperor e possiamo anche notare i primi tocchi di chitarra solista di Ihsahn. 

Soffermiamoci un attimo sulla sua figura: occhiali, barba curata, capelli pettinati all’indietro, camicia stirata, occhio vigile, Ihshan è il Robert Fripp del Black Metal, un alieno sul pianeta del metal estremo, ed è cosi che vorrei tutti gli artisti dediti al black metal che hanno superato i quaranta. Di contro Samoth sfoggia una lunghissima chioma, folta barba ed una mise più consona alla musica suonata. Lo sguardo è spento, ma non di meno la sua figura emana un grande carisma: egli è importante quanto Ihsahn, costituendo la controparte brutale e sporca della geniale alchimia di cui si compone la musica degli Emperor. Da segnalare la presenza di due session-man, un bassista ed un tastierista, ad accompagnare il trio. Sono visibili anche due batterie, una enorme e l'altra di dimensioni ridotte, ma non do molto peso a questo dettaglio: probabilmente Trym, dall’alto della sua perizia, abbisognerà di due strumenti diversi a seconda del brano eseguito, ma forse questa è una finezza eccessiva che nemmeno i più sofisticati gruppi prog si permettono. Più probabile invece che quella batteria appartenesse ad altri gruppi e che sia stata lasciata per comodità lì in un angolo. Sinceramente mi importa anche una sega. 

Rodati i motori, iniziano a sfilare le emozioni. Attacca “Thus Spake the Nightspirit” ad inaugurare la sezione del set dedicata ad “Anthem of the Welkin at Dusk”. “Anthems” è un album geniale, a tratti sembra girare a vuoto, sembra perdersi, ma a tratti tutto torna e questo accade in specifici momenti. Uno di questi è proprio la parte finale di “Thus Spake the Nightspirit”, ove la band rallenta per poi lanciarsi in un impetuoso crescendo con le epiche declamazioni di Ihsahn (“Night spirit, spirit, embrace my soooooul”) e il pubblico in coro ad accompagnarlo: un momento che oserei definire commovente. 

Scrosciano gli applausi e siamo solo all’inizio. Viene il turno della superba “The Loss and Curse of Reverence”, altro tour de force dove le asce di Ihsahn e Samoth e le ritmiche chirurgiche di Trym si intrecciano in modo tortuoso fino al rallentamento al termine del brano  e quell’"again" ripetuto con sublime sofferenza su un tappeto di rancidi arpeggi. 

L’accoppiata “The Acclamation of Bonds” e “With Strenght I Burn” offre un’altra girandola di emozioni. La prima stupisce per la prova dietro alle pelli di Trym, fra cambi di tempo, ripartenze assassine e parti tiratissime. E come non sciogliersi nella porzione finale? Descriverei l’essenza degli Emperor proprio citando quei momenti in cui la batteria si ferma, la chitarra rimane a friggere avvolta nelle tastiere e poi la mano pesante di Samoth aggiunge la seconda chitarra: per un istante tutto rimane sospeso e poi la ripartenza. “With Strenght I Burn”, dal canto suo, è pura poesia, un mid-tempo dominato principalmente dalla voce pulita, quasi un brano epic-metal, con quegli assoli obliqui nel finale che da sempre mi generano sublimi visioni. Ancora lacrime. 

C’è da rimarcare la crescita tecnica di Ihsahn, tutt’altro che approssimativo nell'esecuzione, che grazie alla sua brillante carriera solista ha potuto raffinarsi alle sei corde. E le sue parti chitarristiche dal vivo, lungi dall’essere una fiacca ed imprecisa ripetizione di quanto inciso in studio, semmai vengono a riproporsi impeccabilmente ed in modo anche più elaborato. Indubbiamente la musica degli Emperor dal vivo diviene più intellegibile: è live che certi passaggi, alquanto confusi su disco, si chiariscono nella mente dell’ascoltatore (un certo cambio di tempo, per esempio, associato all’introduzione di uno specifico tema melodico). E vedere Ihsahn a occhi chiusi che si gode la propria musica è la prova di quanto sia genuina e partecipe la sua prestazione. 

Le emozioni messe in campo sono importanti, arriva l’agguerritissima “Curse You All Men!”, irruente opener di “IX Equilibrium”, brano ed album che non mi hanno mai entusiasmato più di tanto ma che il pubblico sembra gradire. Ne approfitto per una importante riflessione: andare a pisciare o no? A regola qui si dovrebbe chiudere la prima parte del set, i Nostri presumibilmente se ne torneranno con un paio di bis, quindi sarebbe cosa saggia e ragionevole tenere a bada la vescica per altri dieci minuti e conservare la buona posizione. Mosso tuttavia da un istinto primordiale, opto per andare a pisciare. E, già che ci sono, prendere un’altra birra, pazienza se vedrò il resto da lontano. Potrebbe essere vista, questa, come una mossa idiota, ma i fatti mi daranno ragione. 

Pensavo di lanciarmi in una incursione lampo in cesso e bar deserti, ma entrambi sono pieni zeppi di gente…scusate, ma sono queste persone consapevoli che stanno suonando gli Emperor?!? Cioè, ma che cazzo ci fate al cesso a sventolare gli uccelli e a cazzeggiare al bar? Torno con la mia bevuta in mano ai confini della mischia, nel frattempo viene trasmesso in filo diffusione il tema di “The Omen (Ave Satani)”, un motivetto abusato che ho spesso sentito, dai Death SS ai Fantomas. Ma ecco che, sorpresa delle sorprese, irrompe il riff poderoso di “Call from the Grave” dei Bathory, che non solo - probabilmente - è il mio brano preferito dei Bathory, ma che a questo punto ci sta come il cacio sui maccheroni. Esibizione impeccabile e pure personalizzata con un grande assolo di Ihsahn nel finale a restaurare quel raggelante giro di organo che infestava uno dei brani più malvagi dell’era proto-black. 

Manco il tempo di riprendere fiato ed ecco che irrompono i Celtic Frost con il maestoso incipit di “Innocence and Wrath”, subito seguito da una sculettante “The Usurper”, e ho le lacrime agli occhi. Gli Emperor ci traghettano con disinvoltura e personalità da “Under the Sign of the Black Mark” a “To Mega Therion” rendendo esplicite quelle che sono le loro influenze. Ma non solo: al di là della bontà della scelta dei brani, è veramente azzeccata la sequenza, con i tempi medi della prima, la pomposità della seconda e il carattere travolgente della terza. Il tutto sembra quasi una riflessione meta-testuale sul metal estremo, ma forse sono solo io nella mia ubriachezza a pensarlo. Avevo deciso di non ubriacarmi con gli Emperor, perché me li volevo godere lucidamente, ma ora che sono ubriaco, sono decisamente contento. Il ritmo di "The Usurper" è irresistibile, mi sembra di essere in discoteca, birra in mano e ganasce bloccate in un riso isterico che si mescola con il pianto. L’esaltazione è tale che mi spingo in avanti sfruttando inaspettati varchi innanzi a me: evidentemente la gente si ritrova bella fiaccata dall’evento nella sua interezza, ed io ringrazio quelli che hanno pogato durante i Bloodbath e che adesso hanno il fiato corto e la voglia di morire in un letto. 

Avvicinandomi al palco noto anche che la batteria utilizzata adesso è quella piccola, ma davvero gli Emperor avevano bisogno di un kit più ridotto per rendere meglio nei brani più diretti? Ihsahn, bello tronfio, annuncia l’esecuzione di “Wrath of the Tyrants”, dal loro primo demo, brano old school che ben si lega alle cover, e io grido colmo di felicità “ma fate il cazzo che vi pare, oramai mi va bene tuttooo!!”. 

E il bello è che il meglio deve ancora venire: si manifesta il riff iniziale di “I Am the Black Wizards”, un’altra memorabile manciata di minuti. L’esecuzione sembra leggermente più veloce dell’originale, ma va bene, si parla di un brano che sarebbe bello anche se riproposto in versione pizzica. Finale da groppo in gola con il rallentamento, il tema melodico, il fatidico “I am theeeeemm” ripetuto da un Ihsahn supportato vocalmente dal bassista e con il pubblico che gli fa eco con calorosi cori da stadio (e c’è persino chi sventola l’accendino manco fosse una lenta di Vasco Rossi - che romantico il popolo black metal!). Ci si prepara dunque per il gran finale con un altro super classico, quella “Inno a Satana” che ci risucchierà in un vortice caotico di epica elettricità e voci pulite. I suoni a questo punto della serata sono assai confusi e c’è bisogno che la mente intervenga attivamente per unire i puntini e delineare gli sviluppi del brano. Non mi getto in descrizioni perché a questo punto ogni parola è vana, basti dire che il brano rappresenta un momento di grande intensità e non delude certo le aspettative. 

L’orchestrale “Opus a Satana” viene lasciata danzare in sottofondo, mentre la band lascia il palco e….noto un batterista pelato che dona le sue bacchette al pubblico. Ehi, ma Trym non è pelato! Non sarà mica…Faust?!? Successivamente avrò conferma che questi ultimi pezzi li ha suonati proprio l'ex batterista degli Emperor, tanto per rendere ancora più speciale l’evento di questa sera. 

Sono quasi in procinto di avviarmi verso l’uscita, quando, con mia grande sorpresa, vedo la band salire nuovamente sul palco. Trym si siede dietro alla sua batteria chilometrica ed irrompe in tutta la sua potenza “Ye Entracemperium”, e qui devo ammettere che si rasenta l’orgasmo. Il brano di apertura di “Anthems” effettivamente mancava all’appello e proposta adesso è il regalo più grande che gli Emperor potessero farci: sono recettivo, incasso ogni colpo con destrezza, barcollo ma non mollo. Altri brividi correranno lungo la mia schiena durante gli svariati cambi di ambientazione del brano, che sfoggia una complessità di scrittura e di esecuzione superiore ai brani di “In the Nightside Ecplise”, che tuttavia continuo a preferire. 

A proposito, ecco che si palesano le note iniziali di “Cosmic Keys to My Creations and Times” ed a questo punto non credo più di far parte di questo mondo: avete presente quando desiderate che una situazione bellissima non finisca mai e che per davvero non finisce? La fase finale di questo concerto ha proprio questo effetto su di me, sembra non finire mai, emozioni su emozioni, ed adesso rieccoci tuffati nelle magie nordiche e notturne di “In the Nightside Ecplise”, cosa desiderare di più? “The Magesty of the Night Sky”! Eccoci serviti, prontamente eseguita per la gioia di tutti noi. L’interludio sinfonico quasi al termine del brano è uno dei momenti più iconici della mia infanzia musicale: un passaggio che mi ha regalato da giovine visioni sublimi, trasportato in altri luoghi, persino indotto ad immaginarmi un film con quella colonna sonora. Oramai i suoni si fanno davvero impastati, colpa anche delle mie orecchie che sono da buttare, ma il mio fisico ha saputo con orgoglio reggere fino alla fine. Le note di “The Wanderer”, la strumentale che chiudeva Anthems, vengono utilizzate come outro, mentre la band si inchina, ringrazia il pubblico, scatta foto e lascia definitivamente il palco nel bel mezzo della ovazione. 

Anche la riproposizione di questo brano in filodiffusione mi emoziona: gli Emperor sono degli extraterrestri, nella loro breve ma intensa produzione discografica avranno anche fatto cinque cose, ma non si può certo negare che sappiano disporle e riproporle divinamente, quelle cinque cose… Stasera tutto è accaduto, forse anche di più di quanto era lecito sperare, ed ogni parola ulteriore è davvero superflua. E' brutto dirlo, ma ora posso davvero morire...

The end