"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

31 ago 2022

VIAGGIO NEL FUNERAL DOOM: COMATOSE VIGIL



Ventunesima puntata – Comatose Vigil: “Not a Gleam of Hope” (2005) 
 
Altro giro, altra girandola di emozioni. Abbiamo racchiuso nella prima decina di nomi gli “Essenziali”, coloro a cui dobbiamo l’esistenza del funeral doom. Non che la seconda decina di nomi sia stata da meno, anzi, a guardar bene molti di quei gruppi avrebbero avuto il diritto di presenziare nella prima sezione, ma del resto non ci può essere spazio per tutti. Giunti alla terza tranche, il nostro lettore continuerà ad incontrare lavori di alto livello, perché nel funeral doom la miglior band non è poi cosi diversa dalla peggiore: questo perché le maglie stringenti del genere impongono percorsi obbligati che richiedono alle band un grande rigore che di solito si va ad associare ad un necessario virtuosismo nel maneggiare, in modo credibile, certe sonorità estreme. La verità è che mano a mano che ci si cala negli abissi melmosi del funeral doom, si impara a guardar nel buio e ci si rende conto di dettagli ed elementi distintivi che con il tempo divengono grossi quanto case. 
 
Del resto se siete arrivati a questo punto, credo che siate pronti ad ogni tipo di sfida, inutile dilungarsi in ulteriori discorsi. I prossimi dieci titoli riguarderanno altre solide realtà del funeral doom, forse meno innovative od originali di quelle che abbiamo trattato fino ad oggi, ma che indubbiamente hanno la loro ragion d'essere. Band, dunque, che non si discostano più di tanto dai cliché tipici del genere, ma che hanno da offrire personalità e dunque ulteriori sfumature ad un discorso che, più si procede, e più sembra inesauribile. I primi che incontriamo sono i Comatose Vigil: si salvi chi può! 
 
E’ convinzione del sottoscritto che, nel funeral doom, siano più temibili le band vere e proprie che le one-man band. Nelle one-man band, dopo tutto, c’è solo un tizio che insegue la sua urgenza comunicativa, che "se la suona e se la canta", architettando dalla A alla Z la sua musica. Ciò significa che costui, o costei si concentra principalmente sulla chitarra, tutt'al più si arrangia anche alle tastiere, fa il possibile dietro al microfono ed al basso, e lascia il resto del lavoro ad una drum-machine. Ma soprattutto una one-man band lavora molto a livello di produzione e probabilmente esegue i pezzi solo per registrarli, senza provarli oltremodo. Nelle band, invece, ci sono più persone che discutono, decidono, forse litigano su che musica fare. E' strano figurarsi una band funeral doom che prova i propri pezzi: si compone, si prova insieme, si sviluppano le idee, si adotta un metodo, all'occorrenza ci si scontra. Nelle band, in altre parole, ci sono persone. C’è per esempio un bassista, ed un bassista che si limita a suonare il suo strumento in un album di funeral doom, spennellando per ore senza magari essere udito, un po’ mi fa paura. C’è il batterista, ma quando la faccenda si fa lenta, molto lenta, allora pensi che forse caricare al minimo una drum-machine era la cosa più intelligente da fare. 

Se poi un album dura settanta minuti e conta solo quattro brani, come è il caso di "Not a Gleam of Hope", debutto targato 2005 dei Comatose Vigil, allora mi inizio seriamente a preoccupare. 
 
I Comatose Vigil, di stanza a Mosca, suonano un funeral doom assai canonico, nel senso che non si stressano molto a valutare se è il caso di varcare o no i confini del genere, rimanendone chilometri al loro interno. Questo funeral doom non è una variazione sul tema, è il tema stesso, è il tipico funeral doom old school con tastiere, e quando parliamo di tastiere, non si abbia la convinzione che vogliamo riferirci ad una musica che brilla per ariose aperture melodice ed è animata da uno spirito progressivo. I Comatose Vigil ricordano un poco gli Esoteric, ma sono più quadrati, spigolosi, ingessati nei movimenti e per nulla psichedelici. Ricordano anche gli Skepticism per il continuo dialogo di tastiere e chitarra, ma i russi sono più statici dei finlandesi. Ricordano, infine, certi aspetti degli Evoken, ma solo per l’approccio pragmatico con cui i brani vengono costruiti e l’intento, sadico, di voler degradare l’ascoltatore minuto dopo minuto. In parole povere la musica dei Comatose Vigil è una bastonata sulla testa.
 
Non so se è una cosa voluta (probabilmente no), ma ritrovo in pieno, in questa musica, il significato del monicker: fare la veglia ad una persona in coma deve essere una esperienza disperante, ci si prende cura di quella persona, si parla, si cerca di comunicare con essa, senza sapere se quella persona ci sta realmente ascoltando o se un giorno uscirà dal coma. Una sensazione di affliggente frustrazione ammorba questa musica, che, volendo rovesciare il punto di vista, si sposa bene anche con le sensazioni di una persona in coma che in qualche modo riesce ad intendere quello che le dice il vegliante, ma che non può né rispondere né reagire. Chissà, forse sto dicendo cazzate, ma spero almeno di aver reso l’idea dell’esperienza che può restituire la musica dei Comatose Vigil: oscurità, pesantezza, asfissia, totale assenza di speranza, se vogliamo andare sul melodrammatico e di traverso parafrasare il titolo del loro debutto. 
 
Hanno avuto vita breve i Comatose Vigil: formatosi nel 2003 hanno poi rilasciato due notevoli full-lenght, il già citato “Not a Gleam of Hope” (2005) e “Fuimus, Non Sumus…” (2011). Si sarebbero sciolti nel 2012 per poi ritornare in vita, senza successo, dal 2014 al 2016. Per la gioia dei fan più affezionati, dalle loro ceneri sarebbero sorti nel 2017 i Comatose Vigil A.K. sotto la ferma guida del solo A.K. iEZOR (voce e batteria), che tuttavia dovette modificare leggermente il monicker in quanto non ricevette il permesso dall-ex compare VIG’iLL (chitarrista), perché, come si diceva prima, capita anche di litigare quando si è in una funeral doom band
 
Proprio sull’asse A.K. iEZOR / VIG’iLL, coadiuvati da Zigr (tastiere) e da altri musicisti che si sono avvicendati nel corso del tempo a basso e batteria, si costruiva l’affossante suono dei Comatose Vigil, che trovava già una matura rappresentazione nell'esordio “Not a Gleam of Hope”. 

Mai titolo fu più azzeccato (“Non un barlume di speranza”): non perché la band la butti sul teatrale o si metta a vomitare la propria disperazione in modo iperbolico. La sensazione, sgradevole, che non vi sia alcuna speranza viene data in modo indiretto, dalla legnosità con cui si muove la band, dalla professionalità e dal cinismo con cui essa si prodiga nella costruzione di brani monolitici che non presentano particolari concessioni all'orecchiabilità. I brani finiscono sistematicamente in vicoli ciechi, sviluppandosi con una metodica ossessività che non è quella poetica del depressive black metal, ma che è il frutto della precisione del burocrate. 
 
Come si fa, dico io, a comporre brani come “Suicide Grotesque” (quasi venti minuti) e “Cataracts” (quasi ventuno)? Non accade quasi nulla di rilevante in queste estenuanti, infinite, suite composte da  riff taglienti che si susseguono senza trovar posa su schemi ritmici lenti e dalle variazioni impercettibili, con il beneplacito delle onnipresenti tastiere che, tuttavia, non "elevano" questa musica, ma si pongono a pari livello con la chitarra, rafforzandone la forza annichilente. La chitarra solista è pressoché inesistente, assoli in senso stretto men che meno. Lo stanco arpeggio che emerge ad un certo punto nel brano di apertura è solo un indizio fuorviante, perché non vi saranno ulteriori variazioni di percorso lungo la strada. Ovviamente il discorso vale anche per l'infaticabile growl di A.K. iEZOR, solo in un paio di frangenti “megafonato” per inasprire ulteriormente l’effetto corrosivo delle corde vocali. 
 
La musica dei Comatose Vigil è sempre uguale a se stessa: in qualsiasi momento addenti un brano, il sapore è lo stesso, ma credo che questa assenza di climax sia scientificamente ricercata, perché saranno i ripetuti ascolti a far emergere l’essenza della poetica della band, fatta di partiture che si ripetono, si perdono, spariscono e ricompaiono dopo svariati minuti. E con intuizioni interessanti disseminate con grande equilibrio compositivo. Si, i Comatose Vigil sono dei maestri del funeral doom, padroneggiano il mestiere e l’ascoltatore attento e paziente se ne renderà conto. 
 
Procedo per sommi capi, non volendo togliere il "gusto per la scoperta" all'ascoltatore (risate in sottofondo...). Dopo il tour de force offerto dai quaranta minuti dei primi due pezzi, ha un effetto straniante l’apertura melodica, quasi mydyingbridiana, di “Mirrors of Despair”, altri diciotto minuti di funeral ortodosso. Da applausi, infine, il pathos creato dalla conclusiva “Gathering of Coma”, una strumentale di undici minuti che continua a giocare con gli incastri di chitarre e tastiere, ma che ci appare più sciolta e scorrevole nel procedere, assumendo quasi fattezze black nella ricorsività struggente delle sei corde. Cori di opera che irrompono all’improvviso sono un’utile variatio che rende ancora più accattivante questa porzione finale di album che, paradossalmente, invoglierà l’ascoltatore a premere nuovamente play nonostante le svariate bestemmie lanciate durante l’ascolto dell’album. 
 
Farsi piacere i Comatose Vigil significa essere dei “puri”, significa che il funeral doom vi piace per davvero. Che stia iniziando a piacere pure a me?