Ed eccoci giunti alla terza e ultima puntata della nostra carrellata sugli album più interessanti del 2023. L'ultima decina comprenderà i dischi rilasciati tra la fine dell'estate e l'autunno scorso. Corredati dalle consuete conclusioni.
10_KVELERTAK – “Endling” (08/09). Questi signori sono parecchio famosi in madrepatria (la Norvegia, tanto per cambiare) e in passato hanno aperto tour per Ghost (vabbeh…) e, uditeudite, Metallica. Questo loro quinto full lenght è di una freschezza che colpisce dal primo ascolto, composto da un mash-up dove si trovano elementi di black ‘n’ roll, semplice hard rock, indie e un approccio DIY di estrazione HC-punk. Vi pare improponibile? Beh, non tutti i brani sono ‘a fuoco’, un po’ di “scompostezza” c’è nel calderone ma, lontano dall’essere un limite, è anzi la forza di questo sestetto (tre chitarre per loro!) che imbroccano una potenziale hit dopo l’altra capaci di stampartisi nelle meningi e gridare: I’m having fun!
09_EXPLOSIONS IN THE SKY – “End” (15/09). In un
filone ultra-inflazionato da tempo, come il post-rock, gli EITS, con
l’esperienza e il bagaglio dei Grandi del Genere, riescono a dire qualcosa di
nuovo mettendo da parte, per la maggior parte di questo “End”, le canoniche
soluzioni (alternanza di pieni e vuoti, esplosioni elettriche, crescendo
vorticosi) per rimanere su un delicato intimismo, attraversato dall’inizio alla
fine da un’elettronica minimalista che rimane sottotraccia e che, mai
invadente, si configura come la vera marcia in più di questo album. E poi
“Loved Ones” è un brano che soltanto dei Maestri possono comporre…
08_TESSERACT – “War of Being”
(15/09). Un disco figlio di questo tempo, moderno senza essere modernista. Che
cresce ad ogni ascolto, difficile da descrivere. Ma che proietta i TesseracT
(ancor più degli ottimi cugini Periphery) verso l’olimpo di una sorta di neo-neoprog
che recupera, per superarle, le lezioni destrutturanti dei Tool e quelle matematico-djentose dei Meshuggah e le
ingloba in un sound personalissimo, colonna sonora di oscuri paesaggi distopici.
Nella sua glacialità, una proposta capace di scavarti dentro come se la mano di
un robot guidato dall’A.I. ti bucasse lo sterno alla ricerca del cuore.
Trovandolo…
07_MARTHE – “Further in Evil”
(20/10). E su, inseriamo anche un po’ di Metallo Italico! Marziona
Silvani (bolognese, in arte Marzia), già Horror Vacui e Giuda, è una
polistrumentista capace che, dopo un EP nel 2019, arriva al debutto sulla lunga
distanza con il progetto Marthe. E
lo fa nientepopodimenoche sotto
l’egida della Southern Lord di Greg Anderson dei Sunn O)))! Quasi tre
quarti d’ora di un metal che poggia su riff ottantiani di stampo heavy/doom
calati nell’atmosfera tipica della tradizione dark italiana (con tanto di
campane a morto ad introdurre la title track). E non mancano rimandi ad un
grezzo black atmosferico che puzza di cantine norvegesi. Marziona bercia
litanie malsane sopra questo suggestivo miscuglio, arrivando a sfornare brani
di grande impatto emotivo (“Victimized”, “To Ruined Altars”). Rivelazione! (?)
06_MYRKUR – “Spine” (20/10). Nello stesso giorno di uscita dei Marthe, quasi a far da contraltare alla nostrana one-female band,
ecco tornare sulle scene Amalie Bruun che, dopo la maternità avvenuta nel 2019,
ha riversato in musica tutta una serie di pensieri & emozioni anche,
evidentemente, collegate a questo evento. Due album e un EP in 3 anni e questo
“Spine” trova un prezioso equilibrio tra la dimensione ormai congeniale alla
Nostra (un ‘nordic folk’ ombroso e autunnale) e quella di un cantautorato che
si muove con gran agio tra il dream e
l’indie pop. Riuscendo a sfornare
melodie eteree sferzate dai suoi retaggi post-black (“Valkyriernes Sang”, la
coda di “Devin in Detail”). La ninna-nanna finale di “Menneskebarn” è il perfetto
commiato che ci rimanda al prossimo incontro con mamma-Amalie!
05_WAYFARER – “American Gothic” (27/10).
“As the century turns / Everything goes cold / I reach for a faded tale / Of
a nation once told”. Dalle lande del Colorado, i Wayfarer, con un evidente
rigetto della modernità, continuano la loro (ri)scoperta delle radici
americane. Radici, McCharty-anamente parlando, intrise di sangue e
violenza in un contesto di una Natura tanto imponente quanto indifferente alle
umane sorti. Ormai distanziatisi dal primevo atmospheric black, i Nostri
prediligono melodiche cavalcate post-black (quella di “The Cattle Thief” è da
brividi…) ed arpeggi distorti di rara evocatività (vedasi la conclusiva “False
Constellation”) che rimandano a un folk-western che odora di sudore, polvere e
isolate stazioni ferroviarie di fine ottocento. L’american dream viene qui spogliato di ogni sacralità e dichiarato
morto. Anzi, per i Wayfarer
non è mai nato (“The dream not died / it had never lived”). La
terra delle opportunità è solo un camposanto con migliaia di tombe…(“Within
in the land of opportunity / A thousand tombs await”).
04_FAIDRA – “Militant:
Penitent: Triumphant” (03/11). Dietro il progetto Faidra si cela un figuro
svedese che ha deciso di non rivelare la sua identità. Ma a parlare qui è la
sua musica: 46’ di un toccante melo-black che, facendo sue le lezioni di ricorsività burzumiana e quelle del floklore nordico, si sorregge su
ispiratissimi riff che portano l’ascoltatore in territori di struggente
afflizione: Mourning cuts deep inside / With burning blades of false pride. Sei
brani da prendere come un tutt’uno, compatti e coerenti internamente, per un
disco tra gli highlights blackish del 2023. E che, a parer di chi
scrive, supera i nuovi, pur buonissimi album, dei più blasonati Immortal ("War Against All"), Fen ("Monuments to Absence"), Taake ("Et Hav av Avstand") e Mork ("Dypet"), quattro dischi, comunque, da considerare ed ascoltare attentamente.
03_GREEN LUNG – “This Heathen Land” (03/11).
La Nuclear Blast continua a fare l’asso-piglia-tutto e si
accaparra pure questo five piece
londinese che, giunto al suo 3° full lenght, ci propone un frizzante stoner
rock dai risvolti folk/doom. “The Forest
Church” ci esplode in faccia con il suo refrain irresistibile e i suoi
assoli di chitarra e tastiere. Scott Black, chitarrista e principale
compositore della band, pare essere baciato dalla grazia divina per quanto
riesca ad azzeccare linee melodiche tanto catchy
quanto mai banali che si vanno a intersecare con riff portanti che farebbero
dimenare le chiappe al più ingessato dei rockettary. E anche quando i Nostri
optano per una folk ballad, “Song of the Stones”, il risultato è da lacrime.
Anni settanta sì, ma riveduti e corretti con la sensibilità di giovani
musicisti under 40. Ascolto obbligato. Soprattutto dai Ghost, con la speranza
che gli svedesi prendano appunti…
02_XOTH – “Exogalactic” (03/11). Terzo full lenght, e quindi prova del nove,
per gli Xoth, da Seattle (WA). E banco di prova superato alla grande. Il loro
technical death metal si ibrida, ammorbidendosi e facendosi accessibile, con un
certo thrash vektor-iano, sezioni progressive e persino col melo-death europeo
(in “The Parasitic Orchestra” pare di risentire i Children of Bodom). Per un
risultato tanto indefinibile quanto avvolgente, moderno e ispirato. Se alla
resa sonora abbiniamo l’immaginario sci-fi con una copertina superba, il
cerchio si chiude per un disco che ha aperto il mese di novembre alla grande…
01_NOTHING & FULL OF HELL – “When No Birds Sang” (01/12). Chiudiamo
con dicembre. E chiudiamo con una collaborazione che ha in sè i germi di risultati potenzialmente esaltanti. I pennsylvani Nothing (a
giro da un decennio con il loro shoegaze)
provano a creare una sinergia artistica con i connazionali Full of Hell, campioni del grindcore più noisy e contaminato. Il
risultato è altalenante con brani più riusciti, e in cui le due anime si
fondono in modo abbastanza organico (l’opener “Rose Tinted World” e la
conclusiva Spend the Grace”); e altri dove invece il senso di giustapposizione
forzata è tangibile (“Like Stars in the Firmament”, “Forever Well”). Il lato
sognante dei Nothing prende spesso il sopravvento (“Wild Blue”, la title track),
rendendo più morbido e 'accogliente' l’ascolto dei 33’ del platter che filano
alla grande con momenti di notevole potenza evocativa. Li aspettiamo,
perfezionati e maggiormente compenetrati, su distanze maggiori…
10 sono pochi e 100 troppi, si diceva all'inizio. E 30? ci chiedevamo? Saranno abbastanza? Probabilmente no, non lo sono. Molti di voi noteranno assenze illustri: dai Baroness ("Stone") agli Overkill ("Scorched"); dai Periphery ("Peryphery V: Djent Is Not a Genre") agli In Flames ("Foregone"); dai Ne Obliviscaris ("Exul") ai Primordial ("How It Ends"); dai pluriacclamati Soen ("Memorial") ai Sadus ("The Shadow Inside") fino ad arrivare alle nuove leve ben accolte da pubblico e fan: su tutti gli svedesi Orbit Culture ("Descent") e i teutonici Alkaloid ("Numen").
Ma ci chiamiamo fuori da questo 'gioco al massacro', sapendo che, anche arrivando a 100 album, scontenteremmo in ogni caso i palati di qualcuno. Compresi i nostri. E del resto le esclusioni, come ci insegna Lost In Moments, sono anch'esse parte integrante del gioco.
Il nostro tentativo è stato semplicemente quello di fare una panoramica di questo 2023 mettendo in luce conferme & rivelazioni, vecchietti & giovincelli, sonorità classiche & spericolate sperimentazioni, raccogliendo, come detto in premessa, (quasi) tutti gli input arrivati in Redazione durante l'arco dei 12 mesi appena trascorsi.
Ma ora basta...già incombono le nuove uscite del 2024. E c'è da preparare, magari, un altro brainstorming...
A cura di Morningrise