"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

13 gen 2024

MM'S BRAINSTORMING - The Most Interesting of 2023 (1/3: INVERNO-PRIMAVERA)

 

10 sono pochi ma 100 sono troppi…eh si, quanta ragione ha il nostro Lost in Moments!

Premesso che l’insindacabile classifica del nostro fondatore non si tocca, dobbiamo ammettere che, mai come in questo 2023, in Redazione sono fioccate idee e proposte per inserirvi dischi che avevano colpito cuore&mente di tutti noi. E, in taluni casi, siamo addirittura arrivati alle (ben poco) velate minacce nell’eventualità di esclusione di alcuni titoli cui tenevamo particolarmente...

La suddetta classifica, comunque, è riuscita mirabilmente non solo a identificare i dischi più significativi del 2023, ma anche ad abbracciare un amplissimo spettro sonoro, esemplificativo di come il metal attuale riesca ormai a spaziare senza confini: dal melting pot culturale ed etnico degli Zulu al depressive black dei Winter Willow; dal revival thrash di Hellripper e Cruel Force al raffinato prog rock dei Subsignal; dal post black degli Svalbard, passando per l’unicità dei Thy Catafalque, al death ultratecnico di Tomb Mold e Cattle Decapitation. Per arrivare all’unico album dell’anno appena trascorso cui, personalmente, attribuirei il termine ‘capolavoro’: “Black Medium Current” dei DHG, con il loro extreme prog metal, capace di guardare dentro l’infinità dell’Uomo. E, al contempo, a quella delle Stelle…

Però, c’è un però.

Un po’ per i nostri atavici ‘sensi di colpa’, un po’ per rendere omaggio a un anno come detto davvero ricco di uscite valide e interessanti, eccoci qui ad ammorbarvi con una rapida (!) carrellata degli album che abbiamo ritenuto più interessanti, risultato di un brainstorming di redazione in cui tutti i generi del Mare Magnum metallico saranno coinvolti, con nomi storici e/o più mainstream ed altri emergenti e/o più underground.

E, si badi bene, che essa non è e non vuol essere una (altra) classifica. Tanto che il criterio ordinistico adottato è, banalmente, quello della data di pubblicazione (e tutti i 12 mesi saranno rappresentati)

10 sono pochi e 100 sono troppi, si diceva…e altri 30? Basteranno per essere esaurienti sul tema?

Mah…intanto partiamo con i primi dieci. Da gennaio. Un mese già foriero di gioie…

30_AHAB – “The Coral Tombs” (13/01). È impressionante come questi signori tedeschi stiano portando avanti, con un rigore tutto teutonico, la loro visione artistica incentrata sugli oceani e relativi abissi. E su come l’uomo si relazioni con questa entità. Dal capolavoro assoluto “The Call of the Wrethced Sea” (2006) ad oggi, appena 5 album ma tutti mastodontici. Per durata, per concezione, per sound. Il loro funeral doom è affossante ma capace anche di elevarti al di sopra delle miserie umane con inserti di un’eleganza unica che pescano dal prog e dalla psichedelia. Questa volta è il turno di rivisitare un gigante della letteratura come J. Verne e il suo “20.000 leghe sotto i mari”. Risultati eccellenti, con una nota di merito per “The Sea as a Desert”, roba che compongono pochi eletti…

29_OBITUARY – “The Dying of Everything” (13/01). La partenza a bombazza di “Buried Alive” ci comunica che Tardy&co. ci sono venuti a trovare a casa dopo ben 6 anni di assenza; e noi, comodamente seduti sul nostro sofà, ci facciamo raccontare le ultime…e le ultime sono davvero good news, con il loro tipico sound che viene qui rinverdito da una produzione pressocchè perfetta, riff&assoli ispirati e la voce sofferente di John che non molla di un centimetro. Nell’anno del death (come in tanti definiscono questo 2023), uno dei migliori dischi death dell’anno…

28_RIVERSIDE – “ID.Entity” (20/01). Prosegue il cammino di ricerca e di evoluzione della premiata coppia Duda&Łapai, sempre per la Inside Out Music. La band garantisce raffinatezza e qualità di arrangiamenti, realizzando alcune delle song più belle della loro carriera (“Friend or Foe?”, “Post Truth”, “The Place Where I Belong” e la conclusiva “Self-aware”). Le loro multiple influenze, che vanno dall’elettronica all’A.O.R., dal prog metal all’hard-pop passando per il verbo wilsoniano, sono qui declinate in modo mirabile e personale, risultando perfettamente al passo coi tempi. Un disco che cresce con gli ascolti e che, provando a fare l’esegesi del titolo, potrebbe significare un nuovo inizio per i polacchi. Un inizio con un’id.entità chiara e definita…

27_…AND OCEANS – “As in Gardens, So in Tombs” (27/01). I finlandesi tornano sulle scene con il loro inconfondibile symphonic black, ancora sotto egida Season of Mist che dimostra di credere nella premiata ditta di axemen Kontio/Saari. I quali, da par loro, imbroccano ispirati rifferrama di stampo symphonic, supportati, come filone vuole, dalle tastiere di Antti Simonen. Sul tutto cavalca la personale voce di Matthias Lillmåns, vocalist dei Finntroll. “The Collector and His construct”, l’evocativa “Likt Törnen Genom Kött” o la toccante “The Earth Canvas” sono solo alcuni titoli di un disco che scorre via con fluidità e coinvolgimento confermando gli …and Oceans tra le principali band del genere.

26_SLUMBERING SUN – “The Ever-Living Fire” (24/02). Produzioni indipendenti, commercializzazione su bandcamp e formato digitale: è il mercato moderno, bellezza! Con questi presupposti il quintetto texano esordisce con 45’ di doom arioso e ‘aperto’, per quanto sofferente, come genere pretende (melodic doom, lo chiamano). L’opener “Morgenröte” è un ottimo biglietto da visita che ondeggia tra un intro arpeggiato di raffinata bellezza, riff granitici e aperture toccanti; mentre la coda di “Love in a Fallen World” ci ricorda che il doom ha una mano che, sì ‘poesse fero’ ma ‘poesse (anche) piuma’. Assieme ai Géuvadan (per il sottoscritto, album doom dell’anno), gli Slumbering Sun rappresentano la più bella scoperta doomica di questo 2023…

25_ENSLAVED – “Heimdal” (03/03). Quello che, giustamente, il nostro Lost in Moments aveva definito “il decennio infallibile degli Enslaved” (2008-2017), non pare essersi concluso, vista la qualità di “Utgard” prima (2020) e di questo “Heimdal” adesso. Campioni dell’ormai codificato progressive black metal (che altro non è che un fusion metal che ibrida diverse istanze), i Nostri costruiscono un altro mattone della loro muraglia discografica che non conosce crepe. Disco sfaccettato stilisticamente ma attraversato da una costante: l’atmosfera. Un’atmosfera (ognuno declini a proprio gusto e a proprie sensazioni questo sostantivo) che permea sia le sezioni più dirette e potenti (l’opener “Behind the Mirror”) che quelle più rilassate e ‘aperte’ (“Forest Dweller”, “Caravan to the Outer Worlds”) per sintetizzare il tutto nella conclusiva, straordinaria, title track. Avercene…

24_HAKEN – “Fauna” (03/03). Una foresta pluviale di suoni. Così gli Haken hanno definito questo loro 7° album. Un disco colorato, ricchissimo di elementi diversi, caldo ed emozionale. Se, ad oggi, questa sorta di neo-prog ‘bulimico’ che va per la maggiore ha dei campioni, questi sono sicuramente gli Haken. Che arrivano, dopo i capolavori del passato (“Affinity” e “The Mountain” su tutti), da un lato a ergersi come i migliori eredi del prog metal degli anni ’90 e ’00, e dall’altro a trovare la consacrazione di (una tra le) band leader del panorama metallico mondiale. In “Fauna” troviamo parecchie canzoni (“The Alphabet of Me”, “Sempiternal Beings”, “Elephants Never Forget”, “Eyes of Ebony”) che sono tra le migliori del loro repertorio. Un quasi-capolavoro, meritatamente omaggiato da critica e fan.

23_LITURGY – “93696” (24/03). Trascendental black metal. È questa l’ambiziosa definizione che la mastermind dei Liturgy, Haela R. Hunt-Hendrix, attiva anche nel campo della scultura e delle installazioni, dà alla musica della band. Gli altri tre suoi compagni di ventura l’assecondano in quest’ora e mezza di straniante black metal che, di black in senso stretto, ha ben poco. Giusto le urla disarticolate della Hunt-Hendrix che pare un cane scuoiato che-manco-Burzum…la proposta è un viaggio destrutturante, una sorta di jam session in cui cori chiesastici (“Daily Bread”, “Angel of Sovereignty”, “Angel of Individuation”) si giustappongono a brani blackjazz urticanti e di impatto. Per ottenere l’effetto voluto non ci si risparmia: tromba, trombone, flauto, glockenspiel, marxophone (che minchia è il marxophone?!?) ocarina (sic!) e vibrafono vengono impiegati in un coacervo di sonorità che, alla fine della fiera, non sai se è frutto di genio o vacua pretenziosità. Certo, i quarti d’ora della title track o della conclusiva “Antigone II” non lasciano indifferenti. Roba tosta ma, tanto per rimanere in tema, sempre meglio, per chi scrive, di un disco degli Imperial Triumphant…

22_METALLICA – “72 Seasons” (14/04). Fare finta di nulla anche no, che poi sembriamo spocchiosi e/o ingrati. E devo dirvi che i primi quattro brani di "72 Seasons" mi avevano fatto, non dico ben sperare, ma almeno essere fiducioso sul fatto che la palpebra non mi calasse brutalmente prima della fine di questi 72’ (toh..) di durata del platter. Ma la palpebra, ahimè, è calata. Inesorabilmente. Da “You Must Burn!” in poi troviamo tutte le pecche di una band senza identità e ispirazione, tra filler belli e buoni (“Too Far Gone?”, “Room of Mirrors”) e tonfi immondi (“Crowned of Barbed Wire”, “If Darkness Had a Son”). Per il resto i soliti ‘Tallica degli ultimi 20 anni tondi tondi: prolissi, con riff elementari e assoli hard-blues di Kirk uno-uguale-all’altro-uno-più-insulso-dell’altro. Và detto, per onestà intellettuale, che a differenza degli osceni “St. Anger”, “Death Magnetic” e "Hardwire...", qui i Four Horsemen svestono i panni dei thrashers fuori tempo massimo e sembrano crederci. In ciò che hanno composto e come lo suonano. Li sento più caldi, più convinti delle note che escono dai loro strumenti. Persino Lars, pur lontano dagli standard necessari ad un metal drummer contemporaneo, fa il suo funzionalmente al sound complessivo. Probabilmente non è un caso che si sia ritornati, stilisticamente parlando, a quello che James ama suonare di più e che aveva prodotto i tanto vituperati “Load” e “Reload”: un hard-rock dai chiari risvolti southern, leggermente ricoperto da qualcosa di più heavy. Certo però che la finezza e la classe di una “Bleeding Me” o di una “The Outlaw Torn” sono lontane anni luce. Una lux, ahiloro, che pare æterna

21_THE OCEAN COLLECTIVE – “Holocene” (19/05). Aveva senso, per Staps & co., provare a ricreare la perfezione di “Pelagial”? O, per stare su uscite più recenti, l’accoppiata straordinaria di “Phanerozoic”? No, il collettivo tedesco decide, con coraggio, di spiazzare tutti superando tutte le influenze post (in primis quelle neurosis-iane) per dare vita a un loro nuovo corso a base di un rock a 360° senza steccati di sorta (ci troviamo dentro elettronica, prog e spruzzate jazzy). Un viaggio, compositivo e concettuale, di rara classe e gusto. Un viaggio che, lontano dall’essere giunto al termine, trova in “Holocene” un nuovo punto di partenza

A cura di Morningrise

(to be continued...)