Ma non è solo una question di suoni. Quello che più che altro non sono riuscito a catturare è il senso complessivo della proposta degli Obscura: un death metal senz’altro ben suonato e con spunti melodici degni di nota, ma che sembra disperdersi in diverse direzioni non sempre conciliabili. E così si è passati dal melo-death à la svedese dei brani più recenti (si segnala la portentosa “Forsaken”, opener sia del set di stasera che dell’ultimo album) al sound più sperimentale e “spaziale” del materiale più datato (“The Anticosmic Overload”), con rigurgiti di death metal più old-school che tuttavia sono andati a cozzare con gli slanci più progressivi (la strumentale “Orbital Elements”, probabilmente il miglior momento della serata). Il frontman Steffen Kummerer – se posso essere schizzinoso – è anche troppo amichevole, dispensa sorrisi nemmeno fosse Taylor Swift, abusa del gesto delle corna ed aizza spesso il pubblico: è palese la sua gioia di suonare dal vivo, e certo non son queste le cose di cui lamentarsi nella vita, ma la continua altalena fra la seriosità della musica e gli slanci da "buontempone metallaro" del frontman è stata un ulteriore elemento di confusione. Ma mi comprendano i fan degli Obscura, il mio cuore stasera batte solo per Paul Masvidal!
Non è la mia prima volta con Masvidal, che ebbi modo di vedere su un palco (in compagnia del compianto Sean Reinart e dell'immenso Steve DiGiorgio) nel progetto Death To All, tribute-band di lusso chiamata a riportare sul palco la musica dei Death. Già all'epoca ebbi modo di saggiare le sue qualità tecniche ed anche la sua umanità, in quanto personaggio alla mano, umile e con il sorriso spesso stampato sul viso a dispensare grande serenità. Sarà un piacere, questa volta, testarlo in seno alla sua band madre.
Oggi i Cynic tecnicamente sono un duo, con Masvidal unico superstite (purtroppo in senso letterale) accompagnato dal batterista Matt Lynch, in organico dal 2015. Sulle assi, invece, i Cynic si presentano in quattro con in più l'aiuto esterno dello stesso Kummerer degli Obscura, defilato ed in secondo piano a prestare il growl laddove necessario. Per questo tour il set si divide in due sezioni distinte: la riproposizione integrale di "Focus" e poi vari estratti dalla produzione discografica successiva alla reunion avvenuta nel 2006. Posso dire una eresia? La riproposizione di "Focus" mi è parsa sulle prime una marchetta per accontentare i fan e raggranellare qualche adesione in più ai concerti ma è chiaro che Masvidal, come musicista e come persona, sia del tutto scollegato da quel technical death per cui è divenuto famoso e di cui è stato originale interprete. E dirò un'altra eresia: avrei dato una maggiore centralità al repertorio post-reunion perché Masvidal dopo "Focus" ha fatto cose meravigliose (ho in mente un album come "Ascension Codes").
Una volta assistito al concerto, tuttavia, mi sento di rimangiarmi in parte quanto appena affermato, folgorato, ancora una volta, dalla bellezza di “Focus”: non che ci fossero dubbi, ma dal vivo si rafforza la convinzione che si tratti di un’opera eccezionale. Ma come cazzo gli è venuto di concepire, scrivere, realizzare un disco del genere?!? La voce con il vocoder, le incursioni jazz/fusion, l'utilizzo di inserti di elettronica, le suggestioni new age, son tutte cose allucinanti ancora oggi nel 2024. E visto che siamo in vena di eresie, possiamo dire che se forse (dico forse) c'è stato qualcuno che nella storia del death metal è riuscito a superare il divino Chuck, questi sono stati proprio i Cynic di "Focus"?
Fortunatamente i suoni saranno nettamente migliori rispetto a quelli che hanno condannato l'esibizione degli Obscura, leggermente impastati, ma almeno non "avvelenati" da una batteria sovrastante e "pentolosa". Dopo una breve introduzione ascetica a base di campanellini e campane tibetane, attacca all'improvviso "Veil of Maya" e sono già emozioni: il drumming preciso di Lynch scandisce le trame dal DNA schuldineriano delle chitarre, con la voce vocoderizzata di Masvidal che duetta con l'aspro ringhio di Kummerer, shuldineriano anch'esso. Poi, dopo nemmeno un minuto, lo stacco jazz: applausi. Il materiale viene riprodotto con devozione e sufficiente precisione da parte di una formazione tutto sommato di turnisti, e questo ci dà l'occasione di renderci ancora una volta conto di quanto sia magico "Focus", incrocio miracoloso di idee, soluzioni melodiche, accostamenti arditi e genialità assortite.
Queste le mie impressioni: "Veil of Maya": magia, “Celestial Voyage”: magia, “The Eagle Nature”: magia, “Sentiment”: poesia, “I’m but a Wave to...”: magia, “Uroboric Forms”: magia, “Textures”: poesia, “How Could I”: orgasmo. Ed ammettiamo pure che Masvidal abbia deciso di suonare l'album per intero all'inizio dell'esibizione per togliersi il pensiero; ammettiamo anche che lo abbia suonato con lo spirito con cui un 53enne possa ancora chiavare sua moglie dopo 31 anni di matrimonio, ossia meccanicamente e - per mantenere l'erezione - pensando a svariate scene erotiche. Ammettiamo che mentre esegue le sue parti Masvidal pensi a Robert Fripp, ad Adrian Belew, pensi intensamente a "Discipline", appassionatamente a Pat Metheny, disperatamente ai Weather Report, ma poi alla fine dovrà venire, riconquistando l'erezione del sedicenne con la jazz/fusion di “Textures” (straordinaria l’intesa dei musicisti, lo scambio di assoli, gli intarsi tematici) e poi ci sarà "How Could I": l'orgasmo. "How Could I" è un vero orgasmo in musica, la coda strumentale un orgasmo per davvero.
Sorrido all'idea che ci sia qualcuno che cerca di trovare ogni pretesto per pogare - un'accelerazione, un momento più teso, un cambio di tempo - ma non ha senso, davvero, ha solo senso la muta contemplazione. Ed infatti, guardando meglio, mi rendo conto che c'è solo un gran coglione ubriaco (avvistato più volte ai concerti a Londra) che cerca di aizzare la folla, non trovando gran riscontro da parte dei suoi vicini alquanto infastiditi.
"Focus" finisce tra gli ululati. A dividere la prima sezione dalla seconda ci sono un intermezzo ambient di sole tastiere a palco vuoto e poi l’acustica “Integral” che Masvidal, da solo, dedica ai suoi amici defunti, gli ex compagni di avventura Sean Reinart e Sean Malone: un brano di sole chitarra e voce (vocoderizzata, of course), una ballata intensa, anzi commovente, che non ti aspetteresti in una serata dedita - in teoria - al technical death metal. Masvidal è un artista a tutto tondo, fra i migliori che abbia mai visto operare su un palcoscenico. Ha tutto: tecnica, estro, personalità, stile, umanità. Ecco, è l'umanità che trapela più di ogni altra cosa dai gesti, dallo sguardo di questo signore occhialuto e in canotta, con la chitarra ad altezza petto, esatta via mezzo fra Robert Fripp e Chuck Schuldiner.
Rientrati gli altri musicisti (ma senza Kummerer, visto che il suo growl è a questo punto irrilevante), si riparte con la stupenda "Kindy Bent to Free Us": saliscendi emotivo giocato fra partiture complesse e passaggi melodici pregni di emotività (e poco importa se il microfono ad un certo punto smette di funzionare - il brano funziona benissimo anche in veste strumentale!). La stanchezza si sente, i musicisti iniziano a difettare in precisione e i suoni si vanno ad impastare ulteriormente, ma a questo punto il concerto si muoverà più su un piano emotivo che tecnico, sfoggiando il lato più intimista e spirituale dei Cynic (lo stesso Masvidal - che curiosamente continua a parlare con voce "robotica" anche quando si rivolge al pubblico - si mostrerà in questa fase più loquace e profondamente connesso alle persone presenti in sala). Le contorsioni prog di “In a Multiverse Where Atoms Sing” e “Carbon Based Anatomy” conducono all'accoppiata finale estratta da “Traced in Air” (un album che andrebbe rivalutato senza pensare che è stato il successore di “Focus”), ossia “Adam’s Murmur” ed "Evolutionary Sleeper". Ma che brano sarà "Evolutionary Sleeper"?!? Se lo vadano ad ascoltare quelli che pensano che i Cynic dopo "Focus" non hanno fatto niente.
Alla fine del tutto si capisce bene il motivo per cui una band come i Cynic stenti a raggiungere il meritato successo. Lo dimostra il fatto che i Nostri si trovano a suonare in venue da 500 posti (senza contare il fatto che certo gli Obscura avranno portato in dote il proprio zoccolo di fan) e davanti ad un pubblico adulto dove la fascia dei quarantenni non è affatto esigua (a dimostrazione di come molta gente sia rimasta affezionata a quell'incredibile debutto che fu subito un instant classic e che sarebbe rimasto insuperato). Sebbene infatti sia lampante la continuità stilistica fra i “primi” e i “secondi” Cynic, le due nature, quella metal (oramai ridotta a scorie di contorno) e quella prog/jazz (decisamente in quota maggioritaria), rappresentano mondi troppo distanti per poter soddisfare appieno i metallari da un lato e i progster dall’altro, restituendoci una entità ibrida che può nei fatti centrare il cuore di ben pochi.
Conclusione: è passato qualche giorno dal 14 marzo e le impressioni, già positivissime durante l'esibizione, sono andate a radicarsi con maggiore incisività e vigore nella mia memoria. Sto bene, la musica dei Cynic mi ha fatto bene e ancora mi fa stare bene, lasciandomi un retrogusto più che positivo. E’ un vero peccato che un artista dalla caratura di Masvidal sia finito in questo cul de sac, condannato ad essere relegato in un ambito metal quando oramai il suo estro guarda verso altri orizzonti sonori. Ma per palati come il mio, abituati a masticare un po’ di tutto, far conciliare le due anime dei Cynic non è un problema. E dopo serate come queste sono sempre più grato al mio percorso di vita che mi ha portato ad apprezzare proposte di altissimo livello così di nicchia e difficilmente catalogabili.
I'm whole, open
I'm starved, broken
I'm lost and found
I'm an evolutionary... sleeper....