Mi si perdoni l’enigmatica formulazione dell’amletico dilemma: Celestial Darkness e Cosmic Void non sono altro che i nomi di due festival di metal estremo che si tengono a Londra e... niente... mi era semplicemente piaciuto l’accostamento per intavolare i dubbi che si possono palesare innanzi ad una entità controversa e divisiva come gli Sleep Token. Sostanza artistica o vuoto assoluto?, potrebbe essere un altro modo per porre il quesito.
Non credo che la band inglese abbia bisogno oramai di presentazioni: dopo che il loro singolo “The Summoning” si è aggiudicato la palma di brano “metal” più ascoltato su Spotify nel 2023, anche il più distratto e retrivo dei truci metallari si deve essere accorto di loro. E se non li ha ancora ascoltati, per forza deve averli almeno sentiti nominare.
Chiarisco subito che questa non è musica che di norma attira la mia attenzione, ma ad un certo punto ho come sentito che il fenomeno non poteva essere più ignorato, e così ho deciso di prendere il toro per le corna ed ascoltare “Bring Me Back to Eden”, ultimo full-lengh rilasciato dalla band, e via di seguito l’intera discografia (tre album in tutto). L’approccio - distaccato, il più scevro possibile da pregiudizi e non volto a demolire a priori l’opera e l’artista - è stato lo stesso con cui ad un certo punto mi sono deciso ad ascoltare e capire i Måneskin: ma se con la new big thing del (...ehm)“rock” italico il risultato è di essermi ritrovato innanzi al “nulla assoluto”, negli Sleep Token ho trovato qualche spunto degno di nota. E, soprattutto, una ragion d'essere, se non artistica, almeno sociologica...
In estrema sintesi potremmo descrivere la proposta del duo londinese come un mix equilibrato fra metal moderno (alternative metal, post-metal, neo-progressive, djent ecc) e pop (ma non l'electro-pop dei Depeche Mode che pure ci piace e che a suo tempo ha saputo influenzato certi sviluppi del gothic metal negli anni novanta - Paradise Lost, Tiamat, Moonspell tra i tanti... no, qui si parla proprio di pop, gridolini, beat, vocoder, R'n'B, pop da talent show, non saprei come altro descriverlo...). Chi li critica, al di là delle scelte stilistiche (mettiamo da parte per il momento l'annosa questione se gli Sleep Token debbano essere considerati metal o no), li accusa di essere inconsistenti, noiosi e “lagnosi”, oltre ovviamente al fatto di essere oramai un prodotto costruito per essere venduto. Dall’altra parte, ovviamente, ci sono i fan che li vedono come un gruppo innovativo o almeno portatore di una proposta fresca o addirittura esaltante.
Devo dire che ad un primo impatto non ho trovato la proposta così nuova, come se venisse da Marte. Basta in realtà guardare agli ultimi trenta anni - più o meno - di metal alternativo per capire da dove quel suono viene e come nel tempo si è sviluppato fino ad arrivare ad un tale stato di "ibridazione". Un primo embrione di quello che gli Sleep Token ci propongono oggi può essere già rinvenuto nell'operato di Korn e (primi) Tool, che circa trent'anni fa aggiornavano il metal introducendo nuovi stilemi, una nuova attitudine, una nuova vocazione. I primi, sulla spinta della rivoluzione grunge, riuscivano ad innestare nel loro suono bombastico - basato sulla continua alternanza di passaggi quiet & loud - le nevrosi e il disagio di tutta una generazione di giovani che non si riconoscevano più nell'immaginario "di evasione" di cui le "sonorità dure" si erano prevalentemente ammantate fino a quel momento. I secondi, che all'inizio erano ancora assimilati ad un fenomeno post-grunge, si affermavano invece con un suono cupo, ossessivo, claustrofobico che andava a descrivere alla perfezione un'umanità alienata e disorientata innanzi alla complessità del "nuovo mondo" (aiutava un sinistro immaginario evocato da malsani videoclip realizzati in stop-motion dove i membri della band non trovavano posto - e in questo possiamo individuare delle analogie con le maschere, i simboli esoterici, l'identità celata: insieme di cose che ha sicuramente reso più intrigante la proposta degli Sleep Token).
Il passo successivo sarebbe stato compiuto da gente come Deftones e Linkin Park (ohibò), con sullo sfondo il post-grunge di Nickelback, Creed, Staind e Puddle of Mudd: la sensazione, agli inizi degli anni zero, era che certe sonorità più “chitarrose” (non dico metal per non urtare la sensibilità di nessuno) si portassero su una dimensione più radiofonica, forti di una emotività, anche di una fragilità, che andavano a fare da specchio agli umori di tanti giovani dell’epoca. Ma se possiamo capire perfettamente il successo di Linkin Park e Nickelback (ma io butterei nel calderone anche i primi Evanescence), certo non tutti avrebbero scommesso sulla straordinaria popolarità che con il tempo avrebbero conquistato gli Slipknot, che, parlando degli Sleep Token, ci vengono in mente anche per l'impiego delle maschere: promotori di una proposta ancora tutto sommato estrema, gli americani sarebbero ad un certo punto divenuti, oltre ai mostri sacri del genere, il principale fenomeno di massa del metal, grazie ad una progressiva smussatura della spigolosità del loro suono (fino ad arrivare a ballad vere e proprie) ed alla versatilità di un'ugola come quella di Corey Taylor, capace di passare con disinvoltura da harsh vocals a un limpido e coinvolgente pulito.
Il metalcore non avrebbe fatto altro che insistere su quella via, coniugando sonorità piuttosto dure ad elementi spiccatamente melodici: si lavorava sui contrasti estremizzando gli opposti. Sebbene il metalcore fosse nato come fenomeno principalmente americano, lo snodo cruciale si avrebbe avuto con una band inglese, i Bring Me the Horizon che, con un lavoro come "Sempiternal" (2013), avrebbero ampliato a dismisura il range espressivo del genere, portandosi su fronti così avanzati di contaminazione da divenire nei fatti inclassificabili: è con loro che, secondo me, si iniziava a delineare una concezione di "pop-metal" impensabile fino a pochi anni prima.
Ma il nuovo millennio avrebbe visto brillare un'altra stella, quella del cosiddetto neo-progressive: più che un genere specifico, un ombrello sotto cui mettere le commistioni più disparate, dai “pugni” del djent alle “carezze” del progressive rock, del jazz e dell'elettronica. Le origini del sound degli Sleep Token sarebbero dunque passate anche da nomi come Periphery, Tesseract, The Contortionist capaci di far convivere breakdown, ritmiche al cardiopalma, chitarre compresse, clean & harsh vocals, con momenti di quiete ed avvincenti aperture melodiche. Insospettabilmente risento negli Sleep Token (ma forse è un solo una coincidenza) anche un tocco dei miei amati Katatonia che dal doom-black delle origini erano nel frattempo approdati ad una forma raffinata di goth-rock che ha finito per inglobare ossessioni tooliane, spunti prog e prelibatezze darkwave.
Di spallata in spallata (ai cliché del metal classico, intendo) siamo dunque giunti agli Sleep Token (formatisi nel 2016, avrebbero debuttato discograficamente nel 2019). La novità è stata nell'aggiungere alla ricetta buone dosi di pop contemporaneo. E per buone dosi intendo dire sia forti inniezioni all'interno delle tracce che interi brani (pop). A dirla tutta, la contaminazione con sonorità sfacciatamente pop non era cosa nuova a certo metal di ultimissima generazione, in cui però spesso il pop era usato con spirito di provocazione, come ulteriore ingrediente - fra industrial, noise, nu-metal ed elettronica - per confezionare proposte schizofreniche che giocano proprio sul contrasto fra “miele” e “sangue”, con esiti più destabilizzanti che concilianti (mi vengono in mente le Black Dresses - definite noisy pop - o un’artista come Poppy).
Con gli Sleep Token, invece, le componenti si amalgamano in modo fluido, senza provocare, sfidare l’ascoltatore. Non solo: presi i singoli segmenti di questo loro suono (lo so, è un esercizio analitico inutile e sbagliato), non vi troveremo a mio parere grande personalità. La forza (se così si può chiamare) è il quadro d'insieme. Il passo avanti (se si può considerare tale) è stato quello di aver raccolto tutti questi input, averli collocati con ordine in un unicum coerente dal punto di vista concettuale ed armonico nelle forme. Quel che ne esce (altro possibile merito) è un mood complessivamente diverso rispetto al passato: una degna rappresentazione di quella che potremmo definire una gioventù “anestetizzata”.
Mi spiego meglio: da sempre il “rock” canta e e mette in musica il disagio dei giovani, ma fino ai nomi citati sopra c’era ancora rabbia, voglia di gridare il proprio malessere, c’erano emozioni. La musica degli Sleep Token, invece, sembra totalmente priva di voglia di riscatto, come se fosse affossata da un greve senso di accettazione e rassegnazione, e da un grande disorientamento - e cognitivo e valoriale. Anche la ridondanza anthemica dei Bring Me the Horizon si stempera nei contorni sfumati e malinconici di un soliloquio funestato, qua e là, da improvvisi squarci di tensione.
Nella musica degli Sleep Token "l'anima sonnecchia": ci si lamenta, ma non troppo; si chiede aiuto, ma il momento dopo si è già distratti da altro. Il malessere serpeggia dentro un involucro di benessere apparente, un'implosione che inevitabilmente conduce agli esiti di una musica tendenzialmente oscura e malinconica, ma al tempo stesso laccata, eclettica e ricca di cambi di ambientazione: specchio, questa volta, della vita di un ipotetico individuo che, con freddezza e disincanto, noia e desiderio, si sposta da un entertainment ad un altro senza mai raggiungere un ragionevole punto di equilibrio. Una grande dissociazione da sé e dalla propria interiorità più profonda, con l'Apocalisse a fare da sfondo.
Una visione offuscata da un imperante coltre grigia: questo potrebbe essere lo sguardo degli Sleep Token, una dimensione artistica dove i vari cambi di scenario sono in verità ricondotti ai medesimi umori e, aggiungerei, alle medesime soluzioni sonore. Per questo v’è chi li taccia di monotonia e prolissità: un paradosso, no?, definire monocolore una musica che passa da screaming affilati a lounge-music da aperitivo sulla spiaggia a Formentera; da scoppi di chitarre iper-compresse a piano-ballad degne di una boy-band.
A loro favore c’è - almeno per il momento - il fatto che la musica se la scrivono e se la suonano: Vessel, il frontman, è un buon interprete, canta, suona la chitarra, il basso, le tastiere, il pianoforte, programma e molto probabilmente dice la sua in ambito di produzione; II è un signor batterista. Certo, non tutto è impeccabile, anzi, ci sono colpi a vuoto, riempitivi, il sospetto continuo che la forma (ottimi gli arrangiamenti e i suoni) prevalga sulla sostanza, sulla scrittura. Ma quanto tutto questo può in definitiva contare in una dimensione di ascolto che contempla lo streaming, le playlist, il singolo brano fra i mille di altri artisti, magari di generi diversi? Quanto può incidere tutto questo quando ci si rivolge ad un pubblico generalista e non più di settore? Si badi bene, non dico questo per svalutare il pubblico degli Sleep Token (lungi da me!) ma per ribadire, ancora una volta, come la modalità di fruizione della musica sia in generale cambiata.
Per questo trovo assai irrilevante la questione, più volte dibattuta, se gli Sleep Token possano o no essere considerati un gruppo metal. Per molti non lo sono, costituendo semmai un fenomeno pop condito da elementi metal che non costituiscono la centralità della proposta (se così fosse, sarebbe però interessante notare come il pop oggi sia in grado di inglobare anche elementi estremi). Credo tuttavia che, più in generale, sia l’approccio odierno all’ascolto ad essere meno settoriale di un tempo, con visioni più aperte e comprensive da ambo i lati, metal e non metal. C’è addirittura chi dice che se gli Sleep Token si mettessero a fare direttamente pop guadagnerebbero di più, ma qui mi sento di dissentire in quanto se facessero questo passo perderebbero la loro unicità di "entità ibrida" e diverrebbero un gruppo pop come molti altri, probabilmente peggio di altri. E lo stesso potremmo dire se facessero l’opposto, ossia passare senza indugi al metal e sganciarsi dal pop.
Ovviamente, al termine di ogni dissertazione - condivisibile e meno - vi sono i gusti personali, quelli di ciascuno di noi, ed ovviamente ognuno è libero di apprezzare, rigettare, ignorare gli Sleep Token. A me, per esempio, questa musica, pur apprezzandone certi spunti, non può piacere fino in fondo: uno, perché quel tipo di pop a cui si rifanno non mi piace e, a dirla tutta, non lo conosco nemmeno, semplicemente non fa parte della mia storia personale. Due, perché sono nato alla fine degli anni settanta e con estrema difficoltà posso riconoscermi in toto nello spleen esistenziale della "gioventù post-pandemica", a cui la band guarda e grazie alla quale guadagna consensi (ricordiamo che gli ultimi due album della band, quelli che l’hanno fatta conoscere ai più, sono stati scritti e realizzati nello strascico finale della pandemia, fra le nuove guerre e l’incombere dello spettro dei cambiamenti climatici – tutti aspetti di cui si imbeve l’immaginario distopico ed apocalittico adottato dalla band).
Insomma, probabilmente i meno giovani non grideranno al miracolo, ma mettiamoci nei panni di chi oggi è nella fascia dei quindici-venticinque anni, a chi si affaccia al mondo della musica senza tante seghe mentali, generi, sotto-generi, senso di appartenenza a movimenti come se fossero religioni. Certo, ci sarà il marketing, i social (e come potrebbero non esserci oggi??), ma ci deve essere una ragione sociologica, prima ancora che artistica, per spiegare come mai così tanta gente si è messa ad ascoltare gli Sleep Token e sia stata attratta da un immaginario così inquietante. Lo dimostra solo il fatto che fino a due anni fa questi suonavano in locali dalla capienza di 2000 persone e il prossimo autunno faranno ben due - non una, due - serate all’O2 Arena di Londra che di persone ne contiene dieci volte tante (una venue, per intenderci, dove suonano gli Iron Maiden o Lady Gaga).
Insomma, ci siamo lamentati per molti anni che i vecchi mostri sacri del metal non venivano rimpiazzati dalle nuove leve, adesso non ci possiamo indignare se finalmente abbiamo un nome che è in grado di riunire intorno a sé masse consistenti di persone e di creare un polverone mediatico intorno ad un fenomeno assimilabile al metal nella sua accezione più ampia (uno scenario paragonabile al successo dei Metallica ai tempi del Black Album). Ahimè, questo non avviene senza fratture, ma respingendo le vecchie generazioni, i cultori ortodossi del metallo, gli snob, ovviamente coloro a cui semplicemente e senza particolari ritrosie non piace la proposta, ed attirando invece ascoltatori da altri generi estranei al metal (sacrilegio!).
Gli Sleep Token, si diceva all’inizio, sono una entità divisiva come poche, ma al momento di grande successo. Vediamo quanto durerà...