Dopo i primi quindici album del periodo gennaio-aprile, proseguiamo con i quindici dei restanti 8 mesi!
Maggio si apre alla grandissima con i…:
BLACK PYRAMID – “The Paths of Time Are
Vast” (03/05): quarto full length per questi tre ragazzi del Massachusetts
fautori di uno stoner/doom, dai contorni psychedelic, di pregevole fattura. Il
linguaggio sabbathiano, sempre portatore di linfa vitale ancora oggi, a 55 anni dal suo conio, è qui rivisitato alla luce (o, meglio,
all’…oscurità!) degli insegnamenti dei connazionali Sleep, Elder e High On
Fire. A colpire è l’ispirazione di ogni
singolo, pachidermico, riffone, carichi e fuzzati come dio-doom-comanda
e che si aprono in linee melodiche che ti avvolgono tra le loro spire per
cullarti ed emozionarti come raramente avviene. Alternando parti più ariose e
rilassate ad altre serrate e caracollanti, i Nostri, lavorando egregiamente
sulla stratificazione dei suoni, non annoiano nemmeno per un secondo dei 67’ di
durata del platter. Come fu “Umbra” dei Géuvadan nel 2023, questo è l’album
doom dell’anno. Senza dubbio.
KNOCKED LOOSE – “You Won’t Go
Before You’re Supposed To” (10/05): nel nostro tentativo di rappresentare
ogni sottogenere metallico, scegliamo, in ambito -core, i
kentuckiani Knocked Loose, autori di questa staffilata di 27 minuti. E durante
i quali troviamo un originale connubio di hard-core e metalcore, con inserti nu; di quel nu di matrice Slipknot-iana.
La voce acuta, urlata, di Bryan Garris è di rara potenza scartavetrante, mentre
le chitarre sfornano riff sempre cangianti, anche all’interno dello stesso
brano: a volte prettamente thrashy, in altri nu/core, o, ancora,
sludge/dissonanti. “Don’t Reach for Me”, unico brano del lotto, assieme alla
conclusiva “Sit & Mourn” a superare i 4’ è emblematica dell’ecletticità dei
Nostri. Ospitate illustri alla voce, in “Suffocate” (Poppy) e in
“Slaughterhouse 2” (Chris Cerulli dei Motionless in White),
arricchiscono la tavolozza degli umori dei Knocked Loose che, alla resa dei
conti, si distaccano dalla massa -core in modo personale. Muscolari!
BOTANIST – “Paleobotany”
(17/05): tra le realtà più singolari del panorama (post) black, i californiani
Botanist (sotto egida dell’ottima Prophecy Rec.) continuano a sfornare dischi come
se non ci fosse un domani (siamo già a 11 full lenght, 3 EP e 3
Split in appena 13 anni dall’esordio discografico, avvenuto nel 2011). La
caratteristica del quartetto di San Francisco è quella di non usare la chitarra
ma un dulcimer martellato (hammered dulcimer), strumento a corde
percosse, suonato da Roberto Martinelli. L’effetto è particolare: sembra
trasportare il sound dei Botanist, per il resto trainato da basso, batteria e
voce growl/clean, su una piano di realtà parallelo (o superiore), capace
di trasmettere perfettamente sensazioni collegate alle lyrics dei Nostri che,
come potete immaginare, sono sempre a sfondo “botanico”. E così, affianco a
tiratissime bordate blackish, ai limiti del death metal, si aprono predominanti
squarci di delicato post-metal di struggente malinconia (si vedano le spettacolari
“The Impact that Built the Amazon” o “Sigillaria”). Non tutto fila liscio, le
composizioni a volte sembrano stare in piedi in precario equilibrio, in bilico
tra le diverse anime che la band porta avanti; ma, nel complesso, i Botanist
riescono a distaccarsi dalla massa grazie alla loro peculiare, e sperimentale,
interpretazione della sempre più malleabile materia black. Sbocciati!
WORMWOOD – “The Star” (31/05): Emozione,
pathos, sentimento. Il disegno sonoro costruito dagli svedesi Wormwood
sembra voler puntare a veicolare solo e unicamente queste sensazioni. Arrivati al quarto album, il five-pieces di
Stoccolma raggiunge l’apice compositivo della sua carriera, sfornando tre
quarti d’ora di un melo-black rilucente di fini melodie. Il sound, seppur immediatamente
interiorizzabile, è una ricercata costruzione di dilatate sezioni post-rock,
divagazioni progressive capaci di virare in un batter di ciglio in cavalcate
epiche melo-black. A contribuire a questo senso di vichinga drammaticità,
l’alternarsi di harsh vocals e catartici cori puliti che paiono essere rivolti
ad una tersa volta boreale. Una volta da dove brilla, luminosa, la stella dei
Wormwood…
Menzioni onorevoli di maggio: WHEEL – “Charismatic Leaders” (03/05); KERRY KING – “From Hell I Rise” (17/05)
ÆTHĔRĬA CONSCĬENTĬA – “The Blossoming” (07/06): Allons
enfants de la Patrie / le jour de gloire est arrivé! Gente, il 2024 è l’anno del black
francese (altro che Olimpiadi parigine…)! Un rosario di album black,
post-black, melo-black echinehapiùnemetta ha inondato il mercato, con
una qualità media davvero alta. E ognuna di queste, con sfumature diverse. Proprio
per dare una plastica idea della fiumana di idee che veicolano tutte queste release transalpine, li citiamo qui tutti
assieme: i Griffon (“De Repubblica”), l’omonimo dei Les Batards de
Roi, gli Etoile Filante (“Mare Tranquillitatis”), i più noti Seth
(“La France des maudits”), gli Houle (“Ciel cendre et misére nòire”)
sono uscite di pregio nelle quali la grammatica black è usata in diverse
declinazioni e con intelligenti tematiche liriche, spesso a sfondo storico o
naturalistico.
Ma, a distaccarsi in modo particolare, in quanto unico nella sua proposta, è questo ensemble di cinque ragazzi di Nantes che, giunto alla fatidica prova del 9 (terzo album) incanta, e lo fa già dalla splendida copertina, con questo “The Blossoming”. Un viaggio sognante tra le stelle in cui l’atmospheric BM di partenza (non mancano riffs in tremolo e blast beats) viene dilatato, rigirato, rivoltato dalla band che, con un modus operandi progressivo, fa largo uso di voci femminili, sassofoni (protagonisti di digressioni e intarsi con le sei corde davvero memorabili) e sintetizzatori che realizzano soundscapes di rara intensità e immaginifica melodicità che, a tratti, sfocia anche in arabeschi orientaleggianti. Disco stellare!
Si, la nuova Norvegia, in questa
terza decade del XXI sec., si chiama Francia…
ALCEST – “Les Chants de l’Aurore”
(21/06): E rimaniamo in Francia perchè Stéphane è tornato. È tornato per
carezzarci l’anima; è tornato per fornire una colonna sonora alle fragilità di
tutti noi, miseri mortali afflitti dalle intemperie dell’Esistenza ma capaci
ancora di stupore davanti agli squarci di Bellezza che la vita offre quando
meno te lo aspetti.
Si, Stéphane è di nuovo tra noi con un
parziale ritorno alle origini che, ovviamente, non poteva anche non tener conto
di quanto fatto dalla svolta di “Shelter” in avanti. Il risultato è un perfetto
equilibrio tra il blackgaze degli esordi (ma con le efferatezze black ridotte
al lumicino) e lo shoegaze/post-BM della seconda parte. Un disco che avrebbe
potuto essere il degno erede de “Le voyage de l’âme”. Ci arriva con un decennio
di ritardo e a noi va bene così. Album asciutto, relativamente breve. E in cui
fa capolino anche il mestiere. Ma che incanta con linee melodiche di struggente
malinconia e ispirati passaggi 100% alcestiani. Un disco che, almeno per
il sottoscritto, risulta necessario…
ORGONE – “Pleroma” (24/06): siori
e siore, ecco a voi il disco dell’anno! Esagerato?!? Forse si
forse no ma, ve l’assicuro, il quartetto di Pittsburgh, giunto alla sua
terza fatica ma a distanza di 10 anni dalla seconda, è protagonista di 65’ di
un percorso sonoro che a definirlo audace è quantomeno limitativo. Una
proposta obliqua, quella degli Orgone: in primis nella conformazione della
tracklist (con 4 brani che occupano quasi 50 minuti e ben 7 a spartirsi il
restante quarto d’ora); e poi nelle lingue usate, con l’inglese ad
alternarsi ad altri idiomi; nelle voci (maschili, femminili, harshy, in
growl e pulite); nelle ritmiche, spesso dispari, che si fanno ora
serratissime ora rarefatte quando non assenti e, soprattutto, nel sound:
si passa infatti da un technical death fortemente debitore (ettepareva!)
degli Ulcerate a sezioni, strumentali e non, di musica da camera o da fumoso
jazz club, in cui pianoforti, chitarre acustiche, organetti, trombe, violini e
il violoncello di Kent Wilson (membro stabile della band) ci portano in
territori leggiadri, sognanti. La monumentale “Trawling the Depths” (quasi 18
minuti di contorsionismi ed equilibrismi) e la folle “Schemes of Fulfillment”
sono paradigmatiche dell’approccio degli americani. Un caleidoscopio di colori
che travolgono l’ascoltatore ma che, se di primo acchito possono disorientarlo,
dopo qualche passaggio nel lettore lo porteranno a viaggiare in una sorta di
dimensione altra. Strepitosi!
Menzioni onorevoli di giugno: HAIL
SPIRIT NOIR – “Fossil Gardens” (28/06)
AKHLYS – “House of the Black
Geminus” (05/07): La Deberum Morti Productions si sta affermando,
ormai da anni, come una delle etichette più lungimiranti in ambito di metal
estremo (Blut Aus Nord, Selbst e White Ward, tra gli altri; oltre agli
inarrivabili Ulcerate). Nel roster dell’etichetta francese anche gli americani
Akhlys, ormai un nome affermato in ambito black. Questo nuovo album dei Nostri
(53 min. per appena 6 brani, tutti molto lunghi e articolati) innerva, su una robusta
base blackish, cospicue dosi di dissonanze death/sludge, alternando
sapientemente tempi medi con sfuriate in blast
beat. Le tastiere del leader tuttofare Kyle
E. Spanswick (in arte Naas Alcameth) sottendono il sound
onnipresenti, senza mai essere soverchianti ma dando al tutto un’aura
tragico-apocalittica molto in voga negli ultimi anni. Nulla di rivoluzionario
ma un disco figlio dei tempi che, per qualità, merita di stare nel nostro
brainstorming. USBM rules!
Menzioni onorevoli di luglio: OCTOPLOID – “Beyond the Aeons” (05/07)
ANCIIENTS – “Beyond the Reach of the Sun” (30/08): oltre a gareggiare per
miglior copertina del 2024, il terzo album della band di Vancouver è
un’esplosione progressiva di diversi stilemi, a gloria del Sempre Sacro Mash-Up contemporaneo. Vi troveranno gioie gli amanti
dello sludge più raffinato (Dvne, Mastodon), e del post-metal tanto più diretto
(Baroness) quanto di quello più ricercato (The Ocean). Ma sono gli Opeth della
fase “colta” il riferimento più chiaro di questo quartetto che riesce, in modo
comunque personale, a maneggiare questo magma grazie a una tecnica invidiabile.
Tra arpeggi toccanti, incroci di linee vocali, esplosioni prog-death, assoli
desertici e divagazioni psych-stoner, l’ora di total running time fila in modo
fluido, organico, seppur ogni brano rifulga di lucentezza propria (“Is It Your
God”, per me è la top song ma è una valutazione mostruosamente personale). Da
avere senza se e senza ma!
Menzioni onorevoli di agosto:
FLESHGOD APOCALYPSE – “Opera” (16/08); NILE – “The Underworld Awaits
Us All” (23/08); WINTERSUN – “Time
II” (30/08)
DELVING – “All Paths Diverge”
(04/09): Se da un lato tutte le strade portano a Roma, Nick DiSalvo,
mastermind degli stoners Elder, con questo “All Paths Diverge”, seconda fatica
del suo side-project Delving, ci dice che il “cambiamento è invece inevitabile
e niente è scolpito nella pietra”. Tutti i sentieri che pensiamo
tracciati, quindi, nel corso della vita divergono e Nick rappresenta
questo concetto con un viaggio strumentale di rara bellezza a cavallo tra
psichedelia settantiana, post-rock, spruzzate stoner/doom, reminiscenze kraut
(ricordiamo che gli Elder operano da Berlino) e delicata elettronica. Il tutto
con un approccio di ricerca sonora, e sua espansione, tipicamente progressiva.
L’accoppiata iniziale, “Sentinel” – “Omnipresence”, brani strutturati e subito
ben memorizzabili, riescono a introdurci con efficacia nell’essenza disco
mentre, mano a mano che si andrà avanti, gli aspetti atmosferici, fluidi, fino
a i limiti dell’ambient, la faranno da padrona. Disco immersivo!
GNOME – “Vestiges of Verumex
Visidrome” (13/09): ‘orcoboia, che matti! Terza fatica sulla lunga
distanza per questi tre giovani, spassosi e colorati nani da giardino
che arrivano da Anversa e, rosso cappello a punta in testa e strumenti a
tracolla, ci presentano un ispiratissimo stoner rock/metal come non ne sentivo
da un bel po’ di tempo! Titolo nonsense, copertina nonsense,
approccio da cazzari…insomma, tutte le carte in regole, dati i miei gusti, per
non prenderli in considerazione. E invece…e invece, come furono per il
sottoscritto i Green Lung nel 2023, il sound degli Gnome, pregno di potenti
riff sabbathiani, cambi di tempo, inserti di sax, divagazioni prog e qualche
accenno di psichedelia freakettona, è una goduria per spirito e orecchie!
Dategli una chance e non ve ne pentirete…
UNTO OTHERS – “Never, Neverland” (20/09): se la
Century Media ha investito in questi 4 darkettoni dell’Oregon, un motivo
ci sarà. E il motivo sta nella loro freschezza, nell’azzeccare un chorus dopo
l’altro, un riff dopo l’altro, un giro di basso dopo l’altro. E ognuno di essi
con la capacità di conficcartisi nelle meningi e non lasciarti più. Tutta la
migliore tradizione goth/dark rock è qui richiamata: da quella a stelle e
strisce (Danzig e Type O Negative su tutti), passando per sentori di goth metal
finnico (Sentenced) per arrivare a quel zuccheroso love metal finlandese che ha spopolato tra fine novanta/inizi
duemila (To/Die/For, H.I.M., Entwine). Ma con un certo approccio post-punk, che
pesca dai Cure come dai Ramones e dai Killing Joke, che riesce a spiazzare.
Canzoni brevi (non tutte riuscite, va detto…forse qualche sforbiciata nella
tracklist avrebbe giovato alla resa complessiva), catchy, che rischiano di
creare dipendenza: provate a non innamorarvi seduta stante dell’opener
“Butterfly”, di “Angel of the Night”, di “I Am the Light” o della conclusiva
title track. E con qualche asprezza chitarristica e accelerata ritmica che,
anche in vecchi metalheads smaliziati come noi, fanno tirare su il sopracciglio
(si veda una “Momma Likes the Door Closed” o “Suicide Today”). Anche questo è
un lato da sottolineare del metal del 2024, che vi/ci piacca o meno…
Menzioni onorevoli di settembre: GOD IS AN ASTRONAUT – “Embers” (06/09); PYRRHON – “Exhaust”
(06/09); WINTERFYLLETH – “The
Imperious Horizon” (13/09)
GAEREA – “Coma” (25/10): se prima, con gli Eternal Storm, abbiamo fatto un
salto in Spagna, adesso completiamo il tour della Penisola Iberica con
una piacevole sortita in Portogallo alla scoperta dei Gaerea, black metal band
giunta al suo quarto full lenght. Il quartetto di Porto fa proprie le lezioni
del black che va per la maggiore nell’ultimo decennio (e che poco ha a che fare
con gli insegnamenti dei maestri scandinavi novantiani ma piuttosto con band
quali Mgła,
Batuskha, Uada e Harakiri for the Sky). E quindi: forti dosi di melodia
iniettata su ritmiche veloci ma che, al momento giusto, si placano in
mid-tempos quando non in sezioni rarefatte, arpeggiate e/o ambientali; voce
aggressiva, harshy ma non screamy; produzione nitida e, per
finire, un’immagine enigmatica, con tuniche e cappucci a celare l’identità
(eccherotturadic…sta cosa!). Promossi a pieni voti ma invitati a trovare
maggiore personalità nelle future release!
SCHAMMASCH – “The Maldoror
Chants: Old Ocean” (25/10): a distanza di 7 anni dalla prima parte dei Maldoror
Chants (“Hermaphrodite”), EP che si configurava come un, peraltro
riuscitissimo, esperimento drone/ambient, esce la seconda parte del concept, ad
opera dei campioni del post-black moderno. Gli svizzeri avevano l’arduo compito
di mantenere le attese suscitate col fenomenale “Hearts of No Light” del 2019.
Lo premettiamo: impresa riuscita a metà. Non si raggiungono, infatti, i livelli
del predecessore e menchemeno del monumentale “Triangle”, ma
siamo comunque sempre su livelli, di scrittura e di concetto, ben superiori
alla media. Il disco cresce pian piano, come il crescendo dei 13 minuti
iniziali di “Crystal Waves” e, fino all’ottima chiosa di “I Hail You, Old
Ocean” è un tripudio di oscure trame in cui la materia black rimane, come in
passato della loro discografia, trasfigurata e assurge a rito spirituale
purificatore. Come sempre, davvero difficile descriverli perché i Nostri sono
un unicum nel panorama mondiale. Fatevi un favore: ascoltateli e basta!
Menzioni onorevoli di ottobre:
DGM – “Endless” (18/10); SWALLOW THE SUN – “Shining” (18/10); IOTUNN
– “Kinship” (25/10)
VOLA – “Friend of a Phantom”
(01/11): novembre ce lo battezzano i danesi VOLA, pluri-acclamata next big
thing del prog metal più raffinato. Il quartetto, partendo da una base
djent, riesce mirabilmente a frullare in modo equilibrato, articolato ma al
contempo fruibile, un trentennio buono di influenze progressive, che vanno
dagli Opeth ai Porcupine Tree e lo Steven Wilson solista. Ma i Nostri hanno
anche la capacità, con una naturalezza disarmante, di innervare di elettronica
la loro proposta, arrivando a toccare l’(elettro)pop. La voce di Asger
Mygind, arma in più della band, si destreggia tra un bel clean poppeggiante
ad harsh vocals parimenti espressive ed ogni brano, arrangiato con brillante
scrittura, rifulge di luce propria. Per me hanno la dignità di stare sullo
stesso piano di band affermate quali TesseracT e Leprous. E brani come “Break
My Lying Tongue”, “We Will Not Disband” e “Bleed Out” (quest’ultima tra le mie
top song del 2024) sono lì a fugare qualsiasi dubbio. Parafrasando Shakespeare, potremmo dire: Something
is marvellous in the state of Denmark.
Menzioni onorevoli di novembre: PANZERFAUST – “The Suns of Perdition_Chapter IV: The Shadow Zion”
(22/11); BODY COUNT – “Merciless” (22/11)
Menzioni onorevoli di dicembre: AARA – “Eiger”
(06/12); SARCOPHAGUM - “The Grand Arc of
Madness” (06/12)
Ed eccoci giunti al termine del
nostro viaggio. 40 album trattati (10 relativi alla classifica + 30 selezionati
nel brainstorming), appartenenti ai generi e sottogeneri più disparati. E
tanto, ahinoi, abbiamo dovuto lasciare “fuori”. Un anno, questo 2024, che,
seppur inferiore a livello qualitativo al 2023, ha saputo attestarsi su livelli
medi comunque notevoli, con punte decisamente alte. Il metal, quindi, rimane
decisamene “vivo e vegeto”, capace di tenere viva l’attenzione su di esso sia
nei suoi nomi più blasonati che su quelli, numerosissimi, del suo sterminato
“sottobosco”. Che il mash-up sia la cifra di tanta parte della produzione
attuale è ormai assodato ma anche nei suoi generi più ‘classici’ il Metallo sa
ancora scoccare frecce letali dal proprio arco.
Con fiducia e attesa, attendiamo ciò che ci riserverà questo 2025...
A cura di Morningrise