Sembrerà strano leggerlo su un blog dedicato alla musica, ma oggi sono ferocemente pervaso dalla convinzione che scrivere di musica sia assolutamente inutile. Sarà colpa delle festività natalizie, che in genere mi mettono di cattivo umore e mi mal dispongono nei confronti del mondo.
Le festività ti portano a cambiare routine e ad avere più tempo per fare cose che di solito non fai, come per esempio comprare una rivista musicale cartacea (perché magari devi fare un lungo viaggio in treno) o prestare più attenzione a quello che scrivono i colleghi della Rete. E poi vi sono le classifiche di fine anno, che leggo sempre avidamente, ma che alla fine mi lasciano sistematicamente una grande amarezza in gola (compresa la nostra di Metal Mirror: ma perché non c'è il disco dell'anno, ossia "Revelations of Oblivion" dei Possessed?).
Se non altro noi di Metal Mirror abbiamo avuto il buon gusto di compilare una lista che avesse un significato redazionale e non personale. Perché dietro il nostro blog c'è un'idea, un concept (se vogliamo usare un termine tanto amato nel metal) e per questo è giusto continuare ad agire come un'entità unica anche nei bilanci di fine anno. E poi che inutilità le soggettive classifiche dei redattori: la vanità dei singoli, infatti, induce loro a pensare che i lettori (sempre che esistano ancora) abbiano una benché minima percezione di chi sia l'autore di questo e di quello scritto. I livelli di attenzione e di memoria, ahimè, calano di generazione in generazione, di anno in anno, complice anche e sopratutto l'uso smodato di internet e dei social media.
Dietro alle cliccate che dovrebbero essere viste come un indice di successo o gradimento di un prodotto online, vi sono spesso persone che nemmeno leggono, che magari saltano direttamente al voto finale di una recensione o che si scoraggiano, annoiate, dopo poche righe (meglio scorrere con il dito le foto su Instagram e lasciare un like!). Rarissimi sono i casi in cui qualcuno si mette con calma a leggere uno scritto dall'inizio alla fine, magari seguendo con accuratezza il filo del ragionamento dell'autore.
Ma allora perché scrivere di musica? Per piacere personale, passione per la musica, vanità: una falsa vanità in quanto pensiamo di parlare ad un pubblico quando, nei fatti, parliamo ad un muro, nel migliore dei casi ad uno specchio. Le classifiche individuali, poi, sono la massima espressione di questa vanità: palesemente false, dettate dalla volontà di passare più interessanti di quello che si è (si finge quando le scriviamo per noi stessi, figuriamoci quando si pensa di rivolgerci ad un pubblico). Mi ricordo ancora la classifica di quel noto batterista italiano (la classica rubrica "I dieci dischi fondamentali della vita") che inseriva nella sua top-ten un album dei Beatles per dare lustro (a suo avviso) ad una classifica fondata su titoli esclusivamente metal (e ben venga, cazzo!, che sensi di colpa hai? Suoni o non suoni nei Necrodeath?!? Ops..).
Gente del metal che ascolta metal e scrive di metal. Alla fine comprendiamo e perdoniamo tutti: laddove non vi sono particolari competenze (e il web ha permesso di comunicare a chiunque - anche a chi ascolta musica da un anno e mezzo e si permette di sindacare su cose che conosce solo superficialmente), vi è a compensare la buona volontà. In fin dei conti si fa tutto gratis.
Passando alla carta stampata le cose non migliorano, anzi. Chi cerca in questi tempi di reggere in piedi una rivista vera e propria o si rivolge a gente di una certa età, con una grande nostalgia per i bei tempi andati (ehhh, si stava meglio quando si stava peggio...), o a chi ha ancora un debole per il bell'oggetto da tenere in mano, sul comodino vicino al letto o al cesso o anche, chissà, in bellavista sul tavolo del soggiorno. Vanità, ancora vanità, anche da parte di chi legge! (scusate, ma le festività natalizie mi mettono di cattivo umore e mi mal dispongono nei confronti del mondo – l'avevo già detto, no?)
Il lettore, in questo caso, dopo aver sborsato sette/otto/nove euro presterà sicuramente un po' più di attenzione a quello che legge (e sì, i dati di vendita di una rivista sono più attendibili delle cliccate su una pagina web). Egli, da un lato, sarà premiato da un uso della lingua italiana un filino migliore e dal fatto che si imbatterà in meno refusi o errori di ortografia, ma dall'altro si troverà con scritti più o meno della stessa qualità, magari che trattano argomenti e temi già noti da tempo nel mondo del web (il congenito ritardo delle pubblicazioni cartacee rispetto alle news offerte in tempo reale dalla Rete) e con un taglio narrativo che viene indotto dalla sola idea di scrivere sulla carta stampata (l'impressione di incidere qualcosa sulla pietra, qualcosa destinato ad essere scolpito nell'eternità...), e non sempre quest'ultimo aspetto costituisce un bene, perché non è detto che chi scrive sia anche uno scrittore...
Nell'era pre-internet la lettura di una recensione o di un approfondimento avevano un senso diverso, un potere quasi evocativo, potremmo dire, essendo questi scritti finalizzati alla formazione di giudizi propedeutici all'acquisto di un disco o di una musicassetta o di un CD. Adesso ci sono YouTube, Spotify, Bandcamp, i dischi manco si vendono più: paradossalmente potremmo fare a meno di analisi superficiali, interviste banali, live-report come liste della spesa, impeti autoriali da quattro soldi o narcisistiche classifiche. Potremmo infatti iniziare a vedere webzine o riviste come delle mere fonti di segnalazioni, bypassare la lettura degli articoli ed ascoltare direttamente la musica in Rete, facendoci guidare nell'ascolto dagli strani algoritmi di YouTube e Spotify, che con il tempo ci conoscono e consigliano meglio di un fratello.
Si, una visione distopica, questa, che può divenire utopica nel momento in cui si decide di alzare la testa dallo schermo del pc o dello smartphone ed uscire nel mondo, parlare con la gente, prediligere le opinioni delle persone di cui ci fidiamo, chissà, rientrare nei negozi di dischi (ammesso che esistano ancora) e raccogliere le indicazioni del commesso di turno, scambiare punti di vista diversi e preferibilmente sinceri, non dettati dalla vanità di chi scrive pensando persino che qualcuno lo legga.
Si, una visione distopica, questa, che può divenire utopica nel momento in cui si decide di alzare la testa dallo schermo del pc o dello smartphone ed uscire nel mondo, parlare con la gente, prediligere le opinioni delle persone di cui ci fidiamo, chissà, rientrare nei negozi di dischi (ammesso che esistano ancora) e raccogliere le indicazioni del commesso di turno, scambiare punti di vista diversi e preferibilmente sinceri, non dettati dalla vanità di chi scrive pensando persino che qualcuno lo legga.
Meno male che Natale capita una sola volta all'anno.
Buon 2020 e ...ehm, buona lettura.