Inevitabilmente, con la morte di Paolo Villaggio, ci siamo chiesti chi fosse, nel metal, la figura più fantozziana. Potremmo risolverla sul piano biografico: il più sfigato, quello col destino più ingrato; ma coglieremmo solo uno dei significati del termine “fantozziano”.
Fantozzi, specie nei suoi primi capitoli, costruisce un mondo che ha due caratteristiche: è feroce e disperato.
Fantozzi è la prima distopia comica, rappresentazione di un mondo in cui l'essere umano è libero, eppure schiavo; non fatica, ma neanche può aspirare ad avere di più; ha dei diritti, ma deve prostituirsi per vederli rispettati.
Emblematica è la scena della partita di biliardo con il capoufficio, in cui ufficiosamente l'impiegato deve saper giocare e perdere apposta, per crescere nella gerarchia dei sottoposti. O anche quella del casinò, in cui l'impiegato accompagna il direttore a giocare, fungendo da portafortuna, con la prospettiva di promozioni in caso di vittoria, e degradazione in caso di sconfitta.
La voce di Fantozzi è
arrochita, stralunata, strascicata, quella di chi soffre, non si
capacita ed è sopraffatto. Nel metal c'è una voce del genere, ed è
quella di John Tardy.
Gli Obituary segnano, nella storia del metal estremo, il passaggio dal death aggressivo e diretto a quello più riflessivo e decadente. Fino ad un certo punto il death si definisce come la corrente più brutale e minimalista del thrash, quindi veloce, cavernoso e dai testi sanguinolenti. Con gli Obituary il death rallenta, e questo rallentamento è esistenziale, è la perdita dell'interesse a raggiungere una meta. Musica è urlare il dolore che governa il mondo. La vita è un macello, le relazioni dei colpi di mannaia, il destino è essere tagliato a pezzi. Proprio come Fantozzi, che precipita in mare, per essere recuperato dalla moglie al mercato dove è stato messo in vendita come cernia gigante, con tanto di limone ficcato in bocca. Analoghe sono le immagini del Fantozzi che è reintegrato nel personale della ditta con il ruolo di parafulmine umano, o quella ancor più famosa del Fantozzi inserito nell'acquario dei dipendenti, dove gli impiegati nuotano come pesci al di là di un vetro nella stanza del megadirettore.
C'è in Fantozzi
l'elemento della ripugnanza inevitabile, lo squallore personale e di
chi ti circonda che non ti offre via di scampo. L'uomo è affiliato
alla ripugnanza (la moglie Pina e la figlia Mariangela), è nutrito
da un sistema moralmente ripugnante (quello del lavoro), e quando
prova a ribellarsi può al massimo divenire cibo per i ricchi
cannibali. La disgustosa scena di Fantozzi che è servito a tavola
durante il pranzo della Contessa immerso nella colata di polenta e
salsicce è più vicina all'immaginario death di qualsiasi horror.
Del resto la comicità di
Fantozzi è proprio comicità propriamente detta. Certamente c'è una
vena satirica, ma le soluzioni sono chiaramente eccessive,
iperboliche, paradossali, e quindi l'elemento che poi si ricorda è
quello della comicità di base, quello crudele: l'uomo a cui
succedono disgrazie o incidenti. In alcuni momenti Fantozzi diventa
metacinematografico: ad un certo punto il comico non c'è più,
rimane solo la crudeltà, e allora Fantozzi diviene attore
drammatico, solo per pochi secondi, ma lasciando una scia di disagio
nello spettatore.
Allo stesso modo, nell'orgia di immagini orride, ad un certo punto l'ascoltatore degli Obituary si ferma a contemplare la crudezza della scena. Come quando tua madre passa mentre guardi un horror e ti dice: ma come fa a piacerti questo schifo?
Allo stesso modo, nell'orgia di immagini orride, ad un certo punto l'ascoltatore degli Obituary si ferma a contemplare la crudezza della scena. Come quando tua madre passa mentre guardi un horror e ti dice: ma come fa a piacerti questo schifo?
Che tu abbia deformato la
realtà in senso comico od orrorifico, sono solo esorcismi per vedere
il meno possibile la crudezza e la crudeltà reali che stanno sotto.
A livello sonoro, questo elemento coincide con l'introduzione dello
schema velocità/rallentamento, il death-doom, ovvero l'introduzione
nel death della parte riflessiva, alienante.
Il terzo elemento che
caratterizza gli Obituary, in parallelo con Fantozzi, è la
soggettività. Un conto è descrivere la storia di un povero Cristo,
altro è l'identificazione col personaggio e la centralità del
personaggio. Fantozzi non è l'emblema dello sfruttato, il prototipo
della vittima di classe, poiché è angariato anche dai suoi pari.
Egli sta peggio perché ha la coscienza individuale, anche se non ha
la forza di ribellarsi. A differenza di un Don Abbondio dei Promessi
Sposi, che è vigliacco dentro, e a differenza di un geometra Filini
o Calboni, che sono aggressivi coi più deboli, e quindi accettano il
sistema, Fantozzi lo vive male. Distopicamente, appunto. Per questo
tutto il sistema delle disgrazie e delle umiliazioni lo affligge in
maniera particolare, a volte quasi esclusiva. Lui è il perno su cui
si regge l'intero sistema, il gradino più basso nella scala
dell'umiliazione. Non in quanto proletario, ma in quanto più buono.
E' quindi l'unico tra i personaggi che davvero può esprimere
amarezza verso il mondo, che può lamentarsi in prima persona del
dolore perché è un dolore “suo”, ancor prima di essere un
dolore umano. Come fare quindi a non pensare a Paolo Villaggio quando
attaccano le prime note di “I'm in pain”, inizio di “The end complete”? Quando uscì quel disco gli Obituary, già famosi per "Cause of Death", colpirono proprio con questa scelta di esaltare la
prospettiva soggettiva del dolore. Non descrizione dell'orrore, ma
espressione del proprio dolore. E pessimismo, desolazione sia del
presente che del futuro, perché non ci sono evoluzioni, solo nuovi
giri di giostra, come in un girone infernale, o in un supplizio
mitologico.
L'ultimo vero capitolo
della saga “cronologica”, cioè il “Fantozzi va in pensione” (1988),
si chiude con una scena geniale. Non trovando più alcun senso alla
propria vita se non quello del suo “personaggio”, il Fantozzi
pensionato finisce per farsi assumere di nuovo, ma in maniera
clandestina, per scoprire così che tutti i suoi colleghi hanno fatto
lo stesso. Segretamente essi lavorano in sotterranei “danteschi”
svolgendo il loro solito lavoro, stavolta però addirittura sono loro
che pagano per poter lavorare, e allontanare lo spettro della morte.
Con la benedizione del megadirettore, ormai decrepito e somigliante a
John Tardy.
Infatti, questa forse è
l'unica nota positiva che il death lascia: la possibilità che ci sia
sempre un nuovo disco, perché se l'orrore è forte, la sua
celebrazione lo è ancora di più, e la sua celebrazione è vita.
Finché il death non muore, la morte non vince.
Così come il megadirettore, che non muore mai finché può nutrirsi della vita degli altri.
Così come il megadirettore, che non muore mai finché può nutrirsi della vita degli altri.
A cura del Dottore