"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

7 mag 2025

VIAGGIO NEL DUNGEON SYNTH: PAZUZU

 

Angeli e demoni...ed ancora demoni: Pazuzu, "And All Was Silent..." (1994)

Nella puntata precedente si è indicato il 1994 come l’anno zero del dungeon synth in virtù della pubblicazione in quell’anno di “Født til å Herske”, album di debutto del grande Mortiis, generalmente considerato il padre fondatore del genere. Prima vi erano state release che con il dungeon synth si sono incrociate solo per caso. Mi riferisco ai lavori dei primi anni novanta di Jim Kirkwood o a un “Black Aria” di Glenn Danzig, edito nel 1992: illustri predecessori che tuttavia non contano ai fini del nostro discorso in quanto, come abbiamo visto, entrambi si sono mossi lungo sentieri estranei alla strada maestra che il dungeon synth avrebbe di lì a poco battuto configurandosi come controparte atmosferica del black metal
 
Qualcosa, in verità, aveva combinato lo stesso Mortiis, che già dal 1993 aveva iniziato a picconare il sotterraneo che avrebbe portato alle segrete del dungeon synth con un paio di demo, “The Song of a Long Forgotten Ghost” uscito a suo nome e “Håvard Vond” rilasciato dal suo progetto parallelo Vond. Ma è dal 1994, tuttavia, che una certa onda sarebbe emersa in modo evidente, e sebbene “Født til å Herske” si erga su tutto il resto con l’imponenza della pietra miliare, altri lavori con le medesime caratteristiche hanno principiato a circolare in quel periodo. E’ il caso, per esempio, del buon Fenriz che, accantonato per un attimo i suoni ferali dei suoi Darkthrone (che proprio in quell’anno raggiungevano il loro apice artistico con “Transilvania Hunger”), dava alle stampe “Caravans to Empire Algol” tramite il monicker Neptune Towers, con il quale il Nostro avrebbe rivelato una insospettabile passione per le sonorità cosmiche: un’esperienza, tuttavia, che sarebbe durata appena il tempo di un altro album, l'altrettanto valido “Transmissions from Empire Algol” del 1995. Che blackster incalliti si mettessero a fare dischi di sole tastiere non era dunque una eccezione, ma una tendenza vera e propria che di lì a qualche anno avrebbe riguardato nomi noti e meno noti. Fra questi è doveroso fare un discorso a parte per i viennesi Pazuzu che sempre nel 1994 debuttavano con “And All Was Silent…”. 

E’ probabile che chi ha ascoltato black metal nel 1994 si sia imbattuto in questo CD dei Pazuzu, anche se non credo che il tomo in questione abbia esaltato chiunque ne sia entrato in contatto: ricordo ancora quando lo approcciai in un negozio di dischi, skippando un brano dopo l’altro con l’impressione di avere a che fare con una serie di intro atmosferiche piuttosto che con un album vero e proprio. Quello che invece oggi potrebbe stupire un ascoltatore medio di dungeon synth è la natura corale, barocca e non strumentale di “And All Was Silent…”, frutto di un ensamble allargato di ben sei componenti, ognuno a dare - in varia misura - il proprio contributo canoro. 
 
In più – altra anomalia – rimane evidente il legame con il metal estremo, ammettendo nel proprio suono un copioso uso di versi in growl e screaming. Del resto i Pazuzu nascevano come progetto parallelo dei Summoning, oggi indubbi esponenti di spicco del black metal atmosferico, ma all’epoca poco più che debuttanti (si erano formati un anno prima e non avevano ancora dato alle stampe nessun disco, vegetando ancora nella dimensione della demo - “Lugburz”, il primo album, avrebbe visto la luce l'anno successivo, nel 1995). 
 
A questo punto mi permetto una breve digressione sui Summoning. C'è chi considera i Summoning come facenti parte del movimento del dungeon synth. Io, personalmente parlando, non condivido questa interpretazione: i Summoning suonano atmospheric black metal. Per quanto atmosferica e ricca di tastiere, la loro musica parla ancora il linguaggio del black metal: in essa la chitarra elettrica ha un ruolo ancora importante e lo screaming si impone come la modalità di canto privilegiata. Suonano black metal e non dungeon synth, il quale ha caratteristiche sostanzialmente diverse. Detto questo, colgo benissimo il nesso fra Summoning e dungeon synth, sia a livello tematico che stilistico. Non solo, mi spingo oltre: sebbene non suonino dungeon synth, i Summoning ne hanno indubbiamente influenzato la genesi e gli sviluppi, tanto che io li indicherei fra gli artisti più influenti che hanno portato alla definizione del dungeon synth. Dovessi dire chi sono gli artisti più seminali ai fini della nascita del dungeon synth, direi senz'altro Mortiis, che ha introdotto l'idea di fare un intero album di sole tastiere e con le caratteristiche che conosciamo. Poi indicherei Burzum e proprio Summoning: il primo utile alla configurazione del genere sul suo fronte più ambient e minimalista, i secondi, invece, determinanti per il lato più "barocco" e stratificato. Sì, perché se pensate a quelle lunghe introduzioni, agli interludi atmosferici o alla tessiture sonore (al netto della componente black metal) delle composizioni contenute in album come "Minas Morgul" (1995) e "Dol Guldur" (1997), se vi soffermate su quegli impasti di percussioni, sonagli, cimbali, organi, flauti, trombette ed arie medievaleggianti, avrete già presente la matrice sonora di molto dungeon synth che sarebbe venuto in seguito (si abbiano in mente i Forgotten Pathways e Lord Lovidicus, giusto per fare un nome della prima ondata ed uno della seconda).  

Quegli stessi impasti li ritroviamo anche nella musica dei Pazuzu, nei quali, non a caso, militavano inizialmente ben quattro individui che avevano a che fare - chi più chi meno - con i Summoning. Mi riferisco ovviamente a Silenius e Protector, entrambi impegnati sia alle tastiere che dietro al microfono, ai quali dobbiamo indubbiamente rendere il merito di aver architettato quelle coordinate stilistiche così originali e degne di divenire nel tempo la quintessenza stilistica di una buona fetta di progetti di dungeon synth. Della partita faceva inoltre parte Trifixtion of the Horned King, originale pseudonimo dietro al quale si celava colui che all’epoca era nientemeno che il batterista dei Summoning. Anche il mastermind dei Pazuzu, colui che aveva adottato come soprannome proprio Pazuzu (all’anagrafe Raymond Wells) era invischiato i qualche modo nei Summoning, avendo fornito un contributo esterno alla band fino al 1995 in qualità di cantante aggiuntivo. Di traverso il Nostro militava anche in altre band, fra cui i Charnel God e i Cromm (quest'ultimi in compagnia dell’appena citato Trifixtion of the Horned King). Il suo recitato, alternato ad un orripilante growl, avrebbe marchiato a fuoco il debutto di questa nuova formazione che a partire dal secondo album “Awaken the Dragon” del 1997 sarebbe poi divenuto una one-man band con lui solo alla guida (un’esperienza che tuttavia sarebbe durata il tempo di un altro album, “III: The End of Ages” del 1999). Completavano il sestetto le cantanti Empress Lilith e Minh Ninjao.
 
Ascoltando “And All Was Silent...” ci si rende subito conto di come l’ensamble fosse molto abile nell'ammaestrare composizioni articolate e sufficientemente variegate, il tutto baciato da una produzione che giudicheremmo professionale rispetto a tanti altri esperimenti che, nello stesso periodo, venivano compiuti per lo più a livello di demo. Fra atmosfere tese e marziali, passaggi degni di un film dell'orrore, latrati demoniaci assortiti e percussioni pressoché onnipresenti (un tribalismo sotto traccia che evoca continuamente le movenze di un rituale), è dunque inevitabile che saltino alla mente quelle trame di tastiere, fra l’epico e il decadente, che abbiamo ritrovato negli album dei Summoning sotto forma di lunghe introduzioni o suggestivi interludi. Probabilmente il miglior modo di descrivere i Pazuzu è proprio riferirsi ai ben più noti Summoning, e pensare a dei Summoning senza chitarra elettrica.
 
Quello dei Pazuzu, in definitiva, è un caso anomalo nel panorama del dungeon synth delle origini, una proposta figlia della sensibilità e dell'istrionismo del black metal austriaco (vengono in mente anche i sinfonici Abigor) e distante da quei minimalismi che sono tradizionalmente più in voga nella penisola scandinava, risultando, a conti fatti, anche troppo “infarcito” e ridondante. Lo si capisce subito dall'introduttiva “Prologue”, nemmeno trenta secondi di cupi rintocchi e tastiere in cui si è voluto ficcare a tutti i costi un growl pastosissimo: incipit orrorifico che cozza con il soave canto femminile e le atmosfere saltellanti della title-track, animata da motivetti medievaleggianti e bavoso screaming.
 
Le quattordici tracce che compongono “And All Was Silent...” sono certamente accomunate dall’intento di rappresentare un oscuro rituale, anzi, un’evocazione demoniaca se si considera il monicker, ma al tempo stesso funzionano bene anche come episodi a sé stanti, ognuna con una propria atmosfera e ragion d’essere. Si passa così dai sette inquieti minuti di “Incantation of the Firegod”, fra campane, campanelli e solita compenetrazione di recitazione e grida agonizzanti in sottofondo, alla quiete apparente di “La Baronesse et le Demon” a base di recitato femminile, clavicembalo e fiati. Ma anche momenti sopra le righe e di dubbio gusto (parlo a titolo personale) come l’evocazione “Baptmism of Infant Flesh” in cui si ricorre all’espediente del pianto di un bambino o la brutalissima “The Urilia Abomination” che descrive, senza tanti sottintesi, un amplesso con tanto di singulti femminili e spasmi gutturali (effettacci gretti che non possono non evocare certe sciccherie degli Impaled Nazarene del loro debutto). In tutto questo costituisce una gradita anomalia “Forgotten Scrolls”, perla darkwave a base di pianoforte e canto femminile. Il cerchio si chiude dopo 53 giri di orologio con la breve “Epilogue” che, infestata anch’essa da un growl ottenebrante, fa il paio con il prologo. 
 
“And All Was Silent...”, in definitiva, regalerà senz’altro gioie a chi non si farà intimorire da suggestioni sonore che guardano senza troppe sottigliezze al rito misterico. Per gli altri curiosi, rimane un ottimo esempio di come certo metal estremo all’inizio degli anni novanta cercasse una emancipazione da se stesso assecondando la propria indole atmosferica. Come già detto più volte, anche grazie a questi esperimenti si sarebbe consolidato il movimento del dungeon synth.