Viaggio nel metal 'tolkieniano' - 4) NÚMENOR - "Sword and Sorcery" (2015)
"Come ricompensa per le loro sofferenze nella lotta
contro Morgoth, i Valar, i guardiani del mondo, donarono agli Edain una terra
dove potessero vivere al riparo dei pericoli della Terra di Mezzo. La maggior
parte di essi attraversò il mare; guidati dalla Stella di Eärendil, giunsero
alla grande isola di Elenna, la più occidentale delle Terre mortali. Ivi
fondarono il reame di Númenor."
"Eru volle dunque che i cuori degli Uomini
indagassero oltre il mondo e che in questo essi mai trovassero pace; ma che possedessero
la virtù di dare forma alla propria vita, tra le potenze e i casi del
mondo, oltre la Musica degli Ainur, la quale è come un destino per tutte le
altre creature […] Uno di questi doni di libertà consiste nel fatto che
i figli degli Uomini abitano solo per breve tempo nel mondo vivente e che
non sono vincolati a esso, e che lo lasciano presto, per andare dove gli
Elfi non sanno. [...] Morte è il loro destino, il
dono di Ilùvatar, che, con il consumarsi del Tempo, persino le Potenze
invidieranno."
Eru, Valar, Elfi, Hobbit. Per ora abbiamo trattato, con più
o meno dovizia di particolari, queste figure del Legendarium.
Ma oggi si cambia target. Oggi parliamo di noi.
Parliamo degli Uomini.
E parlare di Uomini significa parlare, inevitabilmente, del
Regno di Númenor. E del luogo in cui tale regno fu fondato: Elenna,
l’isola a cinque punte.
Proviamo a fare un po’ d’ordine: gli Uomini, così come gli Elfi, i primogeniti, sono figli di Eru Ilùvatar. L’ultima delle stirpi a risvegliarsi e a “camminare nel mondo”. Essi nacquero, come leggiamo nel toccante stralcio de “Il Silmarillion” in esergo, con due doni fondamentali: il libero arbitrio e la morte.
Si, la Morte. Ciò che, sin dalla sua comparsa sulla faccia
della Terra, ha atterrito l’uomo. Lo ha ossessionato. E che ha cercato,
considerandola il suo Nemico, di esorcizzare con millemila stratagemmi.
Tolkien ribalta questa prospettiva. E la considera per quel
che è davvero: un regalo. Perché sì, solo la morte dà senso
alle nostre azioni quotidiane. La poetica tolkieniana sul tema è ben
espressa dal Professore in alcune lettere, in particolare la n. 208 (cfr. “The
Letters of J.R.R. Tolkien”, 1981), dove leggiamo che l’uomo è costantemente
esposto “all’orribile pericolo di confondere la vera “immortalità” con la
longevità seriale illimitata. Essere liberi dal Tempo e restare attaccati
al Tempo”. Eliminare la morte, quindi, non significa per l’uomo continuare
a vivere ma essere “costretto” a vivere, divenendo un muto spettatore dello
scorrere inesorabile del tempo che tutto consuma. Ed è proprio quello
che, come abbiamo già visto, accade agli Elfi.
È tutta qui la dicotomia del Legendarium: da un lato
gli Elfi, razza immortale che anela alla mortalità e all’andare oltre lo
scorrere del Tempo e del destino di Arda; e dall’altra gli Uomini, razza
mortale ma che desidera ardentemente l’immortalità per paura della morte.
Perché spieghiamo tutto ciò? Perché a questa ossessione è
legato il destino di Númenor. La situazione dell’isola (donata dai Valar agli
Uomini come dono di riconoscenza dopo la loro partecipazione alla vittoriosa Guerra
d‘Ira che, al termine della Prima Era, pose fine alla Guerra dei
Gioielli contro Morgoth) precipitò, proprio in concomitanza del suo massimo
splendore e ricchezza, con la salita al trono del suo venticinquesimo re, Ar-Pharazôn.
Discendente della fazione degli ‘uomini del Re’ (cioè quella stirpe umana che
si dichiarava fedele solo al proprio Re e non vedeva di buon occhio gli Elfi e
la fedeltà ai Valar), Ar-Pharazôn (traviato da Sauron che, dopo esserne stato
prigioniero, ne divenne Primo Consigliere), decise di organizzare una
spedizione militare per invadere Valinor e muovere guerra ai Valar, rei di aver
escluso gli Uomini dall’immortalità concessa invece agli Elfi.
Quello che accadde successivamente è noti ai lettori di
Tolkien: Eru non potè perdonare l’atto e fece affondare l’isola di Númenor,
cambiando addirittura la fisionomia di Arda (Valinor e le Terre Imperiture
vennero traslate su un altro piano di esistenza rispetto a quello di
Arda e non furono più raggiungibili via mare).
Scusate, ma lo spiegone era necessario.
Ora da Númenor passiamo ai Númenor.
Dopo aver toccato l’Austria, il Cile e la Francia, ci spostiamo
verso est, giungendo nei Balcani. In Serbia per la precisione. Dove la band di Marko
Miranović (voce e testi) e Srđan Branković (chitarra, basso e
batteria) ha impostato il suo pregevole symphonic/power metal (fortemente debitore,
va detto, degli insegnamenti dei nostri Rhapsody of Fire), su programmatiche
tematiche fantasy.
Dopo diversi anni di gavetta, tre cambi di monicker e
diversi split ed EP, la band (giunta oggi a firmare per la nostrana Elevate
Rec.), riesce finalmente ad esordire sulla lunga distanza nel 2013 con
“Colossal Darkness”. Noi scegliamo di concentrarci sul successivo “Sword and
Sorcery” (2015). Titolo che fa riferimento all’omonimo sottogenere della
letteratura fantasy che ha in Robert Howard (l’autore del celeberrimo Conan
il Barbaro) il suo massimo esponente. In realtà questo filone letterario è
lontanissimo dallo stile, dalle caratteristiche e, soprattutto, dalle tematiche
della poetica tolkieniana. Nondimeno, i tre ragazzi di Belgrado (completa
l’organico il tastierista ungherese Bálint Kemeny) meritano ampiamente
di presenziare nella nostra rassegna sia per la capacità di rappresentare, e visivamente
e nelle lyrics, alcuni punti-chiave del Legendarium; sia perchè
dimostrano di essere validi compositori. Tutti i loro album sono piuttosto
brevi, sotto i 35’, e “Sword and Sorcery” non fa eccezione, componendosi di
appena 7 brani + 3 brevi strumentali. Durante i quali i Númenor faranno
espliciti riferimenti a diversi momenti cardine dell’epopea tolkieniana: dal
drago Smaug rinchiuso ad Erebor, alla stirpe di Durin (torneremo a breve, e a
più riprese, sull’importantissima razza nanica) e, soprattutto, al giuramento
di Fëanor, cui l’isola di Númenor e dei Númenoreani è così strettamente legata.
Ma, oltre a suggerire l’ascolto dei 34’ del platter, vi
invitiamo a soffermarvi sulla copertina dell’album. Essa raffigura un Re degli
Uomini ormai privo di identità, soggiogato dalla volontà dell’Anello che, in
modo plastico, riassume il destino della brama di immortalità di cui
abbiamo trattato in questo post. Proprio per tale insano desiderio, i Nove Re
degli Uomini verranno soggiogati da Sauron, accettando gli Anelli del Potere
che non faranno altro che ‘stiracchiare’ la loro vita all’infinito, facendogli
perdere consistenza e rimanendo schiavi dell’Unico e della volontà dell’Oscuro
Signore. E trasformandoli, infine, nei terribili Nazgûl, meglio noti come gli Spettri
dell’Anello. Coloro che, vi ricorderete, daranno la caccia a Frodo
durante la sua missione.
E quindi, tirando le fila, possiamo dire che il monito di
Tolkien è chiaro e lo leggiamo già nella celeberrima “Poesia dell’Anello”: Nine
for Mortal Men doomed to die. Tutto sta in quel ‘doomed’: destinato.
L’Uomo è destinato a morire.
Tutto sta nel dare senso alla Morte.
Attraverso la Vita.
A cura di Morningrise