E’ proprio vero che la notte è notte ovunque. Forse in certi luoghi è più lunga e fredda, ma la coltre nera che essa porta con sé, ristoro per menti e corpi, o scrigno di misteri, covo delle paure più ancestrali, è la medesima in ogni parte del globo.
Devo ammettere che negli anni ho rivalutato l’America, gli Stati Uniti intendo: officina di genialità metalliche assortite, dal thrash al death, ma anche dal groove-metal al nu-metal, ho sempre considerato gli Stati Uniti un gradino sotto rispetto all’Europa per quanto riguarda la capacità di esprimere emozioni. In particolare negli anni novanta, con l’affermarsi del gothic metal nelle brume inglesi, con l’ascesa del black metal scandinavo, con il proliferare del melodic death metal, il vecchio continente ci ha saputo condurre in un mondo di fantasmi e miti folcloristici, un universo di dolore ed afflizione che non ha conosciuto eguali nel resto del pianeta. Ma con il nuovo millennio qualcosa è cambiato: il black metal ha attecchito anche nelle foreste del Nord America e grazie a band come Weakling, Agalloch, Wolves in the Throne Room si è iniziato a parlare di U.S. Black Metal. I segreti della notte, evidentemente, si sono rivelati anche ai metallari americani, traducendosi in uno sforzo di introspezione inedito per quelle stesse terre che avevano dato i natali, per esempio, allo stoner ed allo sludge.
Il deserto dell’Arizona è il luogo da dove emergono i Lycia, che Peter Steele ha definito “the most depressing thing I’ve ever heard in my life”, volendoli a tutti i costi sul palco come supporter dei suoi Type O Negative.