"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

7 ott 2018

DIECI ALBUM PER CAPIRE IL POST-INDUSTRIAL: MZ.412, "BURNING THE TEMPLE OF GOD"



Ottava puntata: MZ.412 

Si diceva che un paio di puntate della nostra rassegna vanno di diritto dedicate agli artisti della etichetta Cold Meat Industry, nome di primario rilievo nella promozione di sonorità industriali e post-industriali nel corso degli anni novanta e duemila. Nel capitolo precedente abbiamo pagato il giusto tributo ai Brighter Death Now, capostipiti del filone death-industrial, nonché progetto personale di Roger Karmanik, fondatore dell’etichetta stessa. Per la puntata di oggi i nomi in lizza erano diversi e spiace dover lasciar fuori dalla discussione act come Deutsch Nepal (il titolare del progetto Peter Andersson - alias Lina der Baby Doll General - è stato co-fondatore della CMI insieme a Karmanik), Raison D’Etre (campioni del dark-ambient, li abbiamo comunque citati nel post dedicato a Lustmord) ed Arcana (suggestiva commistione di dark-ambient ed atmosfere medievaleggianti, più vicini, in verità, al filone ethereal).

In un blog metal, tuttavia, ci sembrava doveroso parlare di black-industrial, dove per black intendiamo proprio il black metal per come lo conosciamo: signore e signori del metallo, direttamente dalla Svezia, ecco a voi gli MZ.412

L’acerbo “Malfeitor” veniva rilasciato nel 1989 e rappresentava il debutto discografico dei Maschinenzimmer 412, capitanati da Henrik “Nordvargr” Bjorkk, fondatore del progetto nonché punto fermo della formazione nel corso degli anni. I Nostri sarebbe ricomparsi nel 1995 con la sigla abbreviata MZ.412 e in veste completamente rinnovata, a partire dall’utilizzo del corpse-paint che, già a livello iconografico, gettava un ponte esplicito verso il black metal scandinavo

Per un terzo power electronics, per un terzo dark-ambient e per un terzo black metal, appunto, la musica degli MZ.412 si imponeva come una nuova frontiera della musica rituale. La base di partenza era proprio il death-industrial dei capofila Brighter Death Now, riletti all’occorrenza attraverso la lente negativa, nichilista, misantropica del black metal. Dunque oscurità, atmosfere macabre, un uso più pronunciato di percussioni (approccio ereditato dai luminari della musica rituale) e maggiore impiego di voci (oscure narrazioni, cori, litanie e grida strazianti che in più di un frangente sforano nello screaming vero e proprio, a dimostrazione che il richiamo al black metal non è solo concettuale). 

Forti di questa formula i Nostri si sarebbero imposti sul mercato come promotori del black-industrial, filone che si sarebbe configurato grazie ad un trittico di album superbi: “In Nomine Dei Nostri Satanas Luciferi Excelsi” (1995), “Burning the Temple of God” (1996) e “Nordik Battle Signs” (1999). Ai fini delle nostre dissertazioni, la spunta “Burning the Temple of God”, e questo essenzialmente per due motivi: anzitutto è un’opera completa, variegata, brillante, che ci consegna gli MZ.412 nel pieno della loro maturità; secondariamente per la copertina, che ripropone la foto di una di quelle chiese che furono date alle fiamme durante il periodo delle “malefatte” del Black Metal Inner Circle in Norvegia (fatti che noi metallari dovremmo ben conoscere). 

Bruciando il tempio di Dio” è quindi l’esplicito grido di battaglia con cui, senza tanti fronzoli, si dichiara guerra al Cristianesimo. 

L’openerDeklaration of Holy War” nei suoi quasi dieci minuti esplicita nei migliori dei modi la visione artistica targata MZ.412: un torbido rituale di basse frequenze ed orchestrazioni in loop scosse dagli spasmi di voci agonizzanti, fra invocazione e sacrificio umano. In “The Winter of Mourning” le vergate di un basso distorto vengono accompagnate da percussioni tribali: voci campionate ed un subdolo giro di tastiere in sottofondo vanno a corredare un altro momento memorabile del platter. Musica rituale, dark-ambient, power electronics, si diceva, e finalmente black metal: ecco che con la terza traccia “Feasting on Khristian Blood”, dopo qualche tentennamento, irrompe un riff zanzaroso, presto raggiunto da un raggelante screaming e una drum-machine lanciata a mille all’ora, il tutto sconquassato da un deviato rumorismo. 

In questi tre primi brani abbiamo trovato l’essenza della proposta degli svedesi, ma non è che il resto delle tracce sia da meno. Da citare perlomeno l’epica seconda metà di “Burning...(God House)”, squarciata da un malefico screaming e poi animata da una sovrapposizione di percussioni con portentosa accelerazione nel finale (classica progressione che ritroveremo altrove nella discografia dei Nostri). Incontestabile è la perizia tecnica dei musicisti, abili nel creare un solido equilibrio fra l’atmosfera tesa di un oscuro cerimoniale e il dinamismo di chi padroneggia decisamente bene il “linguaggio industriale”. 

Fra inquietanti “vuoti” e denotazioni improvvise, “Burning the Temple of God” soddisfa la mente per la cura e la professionalità con cui è confezionato, ed al contempo agisce subdolo ad un livello più profondo: un intento che diviene esplicito nella porzione finale dell’album, dominata dal trittico “Untitled”/“Vampiir of the North”/“De Ondas Vandring”, dove la prima è una “stanza di riverberi” in cui un rantolo disumano si dilata fino a perdere consistenza; la seconda si insinua fra il caos come un mesto requiem per organo con coda ambient/rumorista; la terza si dipana nelle fattezze di una sinfonia cacofonica a base di feedback, droni e "tremori" assortiti (a venire in mente, non a caso, sono proprio i Sunn O))) di “Black One”) . 

Ancora attivi sul fronte concertistico, discograficamente gli MZ.412 sono fermi al 2006, anno di uscita del notevole “Infernal Affairs”. Sia come sia, il loro Verbo sopravvive nei vari progetti del loro mastemind (Nordvargr, Folkstorm, Toroidh), nonché nei lavori di tutti coloro (Trepaneringsritualen, IRM, Karaljan Sissit in testa) che osano navigare in acque di confine fra la sponda dark/industriale e quella black/rituale

Il nostro consiglio, tuttavia, è di abbeverarsi direttamente alla fonte originaria. Si facciano dunque avanti i più assetati…

Discografia essenziale: 
“In Nomine Dei Nostri Satanas Luciferi Excelsi” (1995) 
“Burning the Temple of God” (1996) 
“Nordik Battle Signs” (1999) 
“Infernal Affairs” (2006)