In
questo blog si è parlato molto di black metal, dedicando a questo
genere persino una rassegna (quella sui migliori album black metal norvegesi),
sostenendo implicitamente una netta e decisa supremazia europea.
Non
abbiamo tuttavia mancato di considerare quell'importante fenomeno che si è
sviluppato all'alba del terzo millennio al di là delle vastità dell’Oceano
Atlantico, e che successivamente è stato riconosciuto dalla critica con la
dicitura U.S. Black Metal: il rigoglioso proliferare di band che hanno
saputo rivitalizzare un genere che, proprio laddove era germogliato e fiorito
(nel Nord Europa), aveva mostrato evidenti segni di stanchezza. Lo abbiamo
fatto parlando di band come Agalloch e Wolves in the Throne Room,
ed oggi torniamo sull'argomento con coloro che sono da considerare i
capostipiti del filone: parliamo dunque dei Weakling e del loro
capolavoro (nonché unico album rilasciato) "Dead as Dreams".
Se
possedete questo album siete fortunati perché esso, uscito postumo nel 2000
dopo lo scioglimento della band (avvenuto nel 1999), fu stampato in tiratura
ultra-limitata (tipo 500 cd e 300 vinili) da un'etichetta, la tUMULt,
pur'essa non più esistente. Ed oggi quell'album o è gelosamente custodito da
chi ne è in possesso, o è reperibile a costo di indicibili menate. In ogni caso
buona caccia, perché ne vale per davvero la pena.
Il
miglior album mai comparso sulla faccia della terra? E perché no? Nella
sua unicità "Dead as Dreams" fugge da ogni possibile paragone:
emozioni su emozioni, colpi di scena, emozioni incredibili. Ma com'è che il
black metal, scaturito dalle gelide lande del nord, fra fiordi, foreste e
picchi innevati, ha potuto trovare del terreno fertile proprio nella soleggiata
San Francisco? Non dev'essere stato facile per il giovane John
Gossard mettere insieme, in quei luoghi, nella seconda metà degli anni
novanta, dei musicisti per suonare del black metal. E infatti, a lavori
ultimati (era il 1998), i colleghi reclutati da Gossard si dispersero, non più
interessati a proseguire l'esperienza, lasciandolo solo e con del materiale di
un potenziale mostruoso: impossibile immaginare quali sarebbero stati gli
scenari per il metal estremo se la band avesse continuato ad esistere e l'opera
avesse goduto di una promozione/distribuzione adeguata. Ma il destino ha voluto
una storia diversa per i Weakling, che, sconosciuti ai più e rivalutati in
seguito come fenomeno di culto, seppero gettare semi importantissimi,
tanto che tutte le band che oggi possiamo definire post-black metal
devono loro qualcosa.
Lo
dico ancora una volta: siamo davvero ai cospetto di qualcosa di straordinario.
Intanto il nome della band, che è quello di un brano degli Swans: un
riferimento insolito per chi suona black metal, sebbene l'album "Filth",
da cui è tratta appunto la canzone "Weakling" (letteralmente:
"mingherlino") era nel 1983 quanto di più pesante e violento
potessimo ascoltare. In verità in "Dead as Dreams" non c'è molto che
richiami in maniera esplicita la musica della creatura di Michael Gira,
se non le atmosfere malate ed alienanti che pervadono il platter, e certi
fraseggi delle chitarre, le quali sovente indugiano in trame ossessive o dissonanze
dal vago sentore noise. Più in generale, non si sente molta "America"
in questo album: c'è il drumming marziale del fenomenale batterista Little
Sunshine (Sam) che può ricordare a tratti il buon Sandoval; ci sono
certi passaggi lenti ed asfissianti che richiamano, appunto, i Morbid Angel
più deviati e doomish; ci sono infine le reminiscenze
punk/hardcore/garage derivate dai trascorsi di Gossard in band dedite a queste
sonorità.
Per
il resto i riferimenti a cui il Nostro guarda sono tutti europei, dato che egli
aveva in testa principalmente "Transilvanian Hunger" dei Darkthrone.
Ma in "Dead as Dreams" c'è di più: c'è Burzum, ci sono gli Enslaved,
i Satyricon, gli Emperor, gli Ulver più feroci. Io
aggiungerei alla lista anche gli In the Woods..., non tanto per quanto
riguarda gli esiti finali (siamo ben lontani dalle atmosfere sognanti dei
norvegesi), quanto nella libertà di movimento, nella capacità di descrivere i
propri sentimenti, nella disinvoltura con cui si è in grado di spaziare fra le
ambientazioni più disparate, di suonare progressivi, psichedelici,
ma senza mai perdere il contatto con le emozioni.
Le
emozioni: piangerete, cari miei, piangerete nell'essere investiti da
questa cascata di suoni che elargisce passaggi incisivi e preziosismi
strumentali (da sottolineare la bellezza degli sporadici assolo), il tutto
esaltato da una produzione grezza (che non rinnega la vocazione black metal),
ma che al tempo stesso si rivela potente ed efficace nel valorizzare i diversi
strumenti. E poi capiamoci, "Dead as Dreams" dura settantasei
minuti e si compone di soli cinque pezzi (uno dei quali, l'immensa title-track,
ne dura addirittura venti!): impossibile quindi aspettarsi uno scarno ed
essenziale raw-black in stile Darkthrone. I cinque musicisti (fra cui campeggia
anche un tastierista, Casey Ward) sanno decisamente suonare e,
traghettati dal talento visionario di Gossard, tessono sontuosi paesaggi sonici
che vanno dall'impetuosa sfuriata con i famigerati riff in tremolo dell'Inner
Circle, a drammatici rallentamenti, passando da lacrimevoli arpeggi e progressioni
che oggi definiremmo post-metal.
In
tutto questo le tastiere non sono indispensabili, ma "fanno
atmosfera" e vanno a levigare gli spigoli più acuminati. Ma a rendere la
prova superlativa è l'impareggiabile lavoro delle due asce (mentre la bassista Sarah
Weiner si limita a svolgere il suo compito con diligenza, ritagliandosi
pochi spazi per sé e per il suo basso distorto).
Non a caso, il primo tassello che fu composto di questo imponente mosaico fu
proprio il finale della conclusiva "Desasters in the Sun"
(grande titolo!), frutto dell'improvvisazione di Gossard e dell'altro
chitarrista Joshua M. Smith (il nucleo originario della band). Ecco cos'è
dunque il black metal e perché si differenzia dal death e dagli altri generi
estremi del metal: due chitarristi che fondono la loro ispirazione in linee melodiche
da brivido, anche senza batteria, anche senza voce, perché il black metal è più
poesia che metal. Proprio in quel momento Gossard capì che quella era la sua
via e da lì nacque appunto tutto. Su disco, con una portentosa base ritmica a
dare un sostanziale supporto, fra stacchi e riprese al cardiopalma, l’album
trova la fine più epica e disperata che potremmo desiderare.
La
voce di Gossard, infine: un grido di dolore che è erede diretto del latrato
metafisico di Varg Vikernes. Questo ulteriore elemento vincente del Weakling
sound è dovuto ad un caso fortuito: al fatto che Gossard, avendo difficoltà
nel reperire un cantante che potesse/volesse cantare in screaming
(ricordiamoci che siamo nella San Francisco degli anni novanta), dovette farsi
carico direttamente delle parti vocali, sebbene egli non fosse un cantante
professionista. Proprio perché incontrò forti difficoltà nel coordinarsi fra
chitarra e microfono, dovette giocoforza concentrarsi più sul significante
che sul significato del suo canto, semplificarlo, lavorare
sull'espressività, sui suoni, e non sui contenuti, sui testi. Il risultato è
quello screaming agonizzante che possiamo ascoltare su disco: vocalità
astratte che vengono gettate un po' qua un po' là lungo brani tortuosi che
rifuggono ostinatamente una struttura prevedibile.
C'è
forse del post rock in tutto questo ed è chiaro che lungo questi solchi
prenderanno vita le esperienze più esaltanti dell'ondata recente di band
post-black metal, dai Wolves in the Throne Room agli Altar of Plagues,
passando dai Liturgy. Ma non è solo una questione di stile, il
"salto" che i Weakling fanno fare al black metal è un altro ed è ben
più importante: era già stato scritto tutto dalle band scandinave, ma
quell'interiorità ben espressa da quelle aspre sonorità si legava ancora al
paesaggio nordico, alle culture pagane. Come rendere credibile una musica
nata fra foreste e battaglie di vichinghi, trasponendola nelle metropoli degli
Stati Uniti? Sulle spiagge e lungo i viali con le palme della California? La
risposta si ha in "Dead as Dreams": spogliando queste stesse sonorità
degli elementi prettamente paesaggistici e radicati nella tradizione del Nord
Europa, e dirigerle verso la mera introspezione, immergerla in una dimensione
di umanità incondizionata.
E
così la steppa, le croste congelate del permafrost divengono le pareti
gelide dell'anima; la riottosità vichinga si trasforma nei tumulti del cuore, la
rincorsa dei drakkar fra i flutti delle onde in una carica epica che va
a descrivere le umane afflizioni. E la peste e i lugubri scenari medievali si
tramutano nei miasmi di un'esistenza patetica sprecata fra dolore e speranze
disattese; e quei mondi fantastici in cui si consumavano sortilegi e battaglie
cruente si svuotano fino a divenire morti: morti come i sogni.
Facendo
dunque leva su quella compenetrazione fra paesaggio ed Io sapientemente
descritta dai maestri europei, e sganciandosi dal paesaggio e dalle culture
pagane per sprofondare definitivamente nell'interiorità, si ha avuto così
accesso ad un piano squisitamente psicoanalitico, individuale, umano. E il
black metal, privato del suo contesto di origine, potette divenire un linguaggio
universale.
Questo
hanno fatto i Weakling del tormentato e sfortunato Gossard, inascoltato
profeta in patria: che la sua musica possa sopravvivere per sempre ed avere
una diffusione commisurata al suo valore.