"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

16 mag 2016

INTERVISTE IMPOSSIBILI: DENIS "PIGGY" D'AMOUR PARLA DI ROBERT FRIPP

 


Il 16 maggio 1946, esattamente settanta anni fa, nasceva uno degli artisti più importanti della storia del rock (e non solo…): Robert Fripp, leader dei King Crimson, nonché personaggio di punta dell’intero movimento progressive. 

Per festeggiare queste gloriose settanta candeline, Metal Mirror ha deciso di interpellare uno che di Fripp e di King Crimson se ne intendeva: parliamo del mai troppo compianto Denis “Piggy” D’Amour, che già abbiamo avuto modo di commemorare in queste pagine per il decennale della sua morte. Andiamo dunque a scomodare nell’Aldilà il mitico chitarrista dei Voivod per vedere cosa ci racconta a proposito di uno dei suoi più importanti maestri…

MM: Ciao Denis, ti ringrazio anzitutto per il tempo che ci concedi. Sappi che ti riteniamo uno degli artisti metal più geniali mai apparsi su questa terra e che, a più di dieci anni dalla tua scomparsa, ci manchi ancora tantissimo!
DD: Non facciamo i sentimentali, per cortesia, sennò mi commuovo e l’intervista si chiude qui, ok? (ride)
MM: Ah ah, era solo per non mancarti di rispetto, visto che la chiacchierata che ci apprestiamo a fare non riguarderà direttamente i Voivod. Come infatti ti abbiamo anticipato via e-mail, parleremo di Robert Fripp che oggi compie settanta anni. Ma prima ci sembrava doveroso chiederti qualcosa di te e del tuo immenso gruppo!
DD: Guarda, non sono tipo da cerimonie, per me sarà un onore parlare di quel grande uomo che risponde al nome di Robert Fripp. In questo lieto giorno non c’è dunque bisogno di tributare né i Voivod né tanto meno il sottoscritto…
MM: Nemmeno una parola sui Voivod? Non ti manca un po’ suonare con i tuoi ex compagni?
DD: Certo che mi manca, anzi, è il mio cruccio da quando son qua! La mia vita purtroppo si è interrotta troppo presto, io e Michael (Langevin, il batterista, nda) avevamo ancora un sacco di idee da sviluppare insieme. Ad ogni modo son contento che Michael abbia avuto la forza di continuare anche senza di me. Anzi, sono stato io il primo a desiderare che i Voivod continuassero ad esistere. E a tal fine ho composto materiale anche nella malattia, fino a quando le forze me lo hanno permesso. E così Michael si è trovato con un pc bello pieno di file musicali con tanto materiale da utilizzare per eventuali nuovi album.
MM: Sì, conosciamo la storia, ma per quanto riguarda l'ultimo “Target Earth” (il primo lavoro dei Voivod senza il tuo contributo) cosa ne pensi?
DD: Ripeto, prima di tutto sono contento per i ragazzi, che possono continuare a divertirsi e a mantenersi con la musica, potendo contare su un marchio già affermato. Quanto a Daniel (Mongrain, il nuovo chitarrista, nda) è sicuramente un bravo ragazzo ed un musicista dotato, il miglior sostituto che i Voivod potessero trovare: ha saputo entrare in punta di piedi, da un lato non snaturando il sound classico della band, dall'altro mettendoci del suo. Ma per quanto io approvi la scelta, non posso rimanere del tutto imparziale. Mi risulta ancora troppo strano sentire una canzone dei Voivod senza la mia chitarra. In pratica è come morire e vedere che tua moglie si sposa con un altro uomo: sei contento per lei, ma in tutta onestà non puoi fare i salti di gioia… un po' di gelosia trapela sempre, per quanto uno sia di ampie vedute! Ma non fraintendermi, va bene così, il fatto è che... sono un sentimentale (ride). Ma ti prego, parliamo d’altro!
MM: Agli ordini, Denis! Vorrei partire da un equivoco che vi riguarda da sempre. I Voivod fin dall’inizio sono stati definiti i “Pink Floyd del metal”, eppure non riscontro tantissime analogie fra voi e la storica band inglese, se non qualche eco barrettiano o certe atmosfere spaziali legate principalmente alla primissima fase degli inglesi, quella più acida e psichedelica…
DD: Hai detto bene, amico! L’originalità del nostro sound fu determinata dal convergere di tantissime influenze provenienti dagli ambiti più disparati, e i Pink Floyd erano solo una di queste influenze. I nostri orizzonti erano infatti ben più ampi: thrash metal, psichedelia, progressive, ma anche tanto punk, post-punk, insomma, tutto ciò di cui ci “cibavamo” allora come grandi appassionati di musica quali eravamo. Secondo me l’equivoco nasce per due motivi. Uno è lampante: la cover di “Astronomy Domine” su “Nothingface” ci ha bollato a vita come seguaci dei Pink Floyd. Il colpo di grazia è stato la riproposizione di un’altra cover dei Pink Floyd, “The Nile Song”, su “The Outer Limits”. All’epoca espressi le mie perplessità in merito ad una mossa del genere: “Attenzione”, dissi, “che poi non ci togliamo più i Pink Floyd di dosso!”, ma sai, eravamo una band democratica ed alla fine la mozione passò. Ma i fatti purtroppo mi hanno dato ragione. Ed è una cosa frustrante, perché sono convinto che il nostro sound fosse veramente originale e che per questo non dovesse essere per forza associato ad altri!
MM: Concordo in pieno! E l’altra motivazione?
DD: Una certa ignoranza della critica metal. Negli anni ottanta erano pochi i gruppi o gli artisti extra-metal che un metallaro medio conosceva, essendo allora il metal un mondo molto più chiuso rispetto ad oggi. E così, tutto ciò che suonava strano o diverso doveva essere codificato con le scarse nozioni di cui si disponeva. I Pink Floyd erano una di queste: una delle poche entità extra-metal che anche il metallaro medio conosceva.
MM: Sono partito proprio da questo punto, perché nella vostra musica io ci sento più King Crimson che Pink Floyd, me lo confermi?
DD: Esatto! Ma chi li conosce i King Crimson nel metal? Oggi è diverso, ci è voluto lo sviluppo di un genere come il prog-metal per far sì che l’universo del rock progressivo venisse conosciuto anche dai metallari, ma negli anni ottanta non era così scontato conoscere Robert Fripp! E non solo: anche all’interno dello stesso movimento progressivo nel metal sono ben altri i nomi più noti. Penso a Genesis, Yes o Emerson, Lake & Palmer. i King Crimson, come nome, si sono imposti ancora più tardi, con la nuova ondata di band neo-progressive come Porcupine Tree, lo stesso Steven Wilson, o anche gli Opeth che, sebbene non suonino più metal in senso stretto, hanno saputo sdoganare certi riferimenti al grande pubblico del metal, che oggi è più disposto, rispetto a ieri, ad avventurarsi fuori dal mondo dell’Heavy Metal. E questo non può che essere un bene…
MM: Sono d’accordo, anche perché ad ascoltare certe cose dei King Crimson, il metallaro potrebbe trovare grandi soddisfazioni…
DD: Parole sante, amico mio! Se vai a vedere un brano come “21st Century Schizoid Man”, peraltro da noi coverizzata (è presente come bonus-track in “Phobos”, nda), trovi un riff heavy metal a tutti gli effetti. E questo succedeva nel 1969: un anno prima della pubblicazione del debutto dei Black Sabbath! Lascia perdere che poi “In the Court of the Crimson King” passò alla storia come il primo album progressive rock: quel riff rimane fottutamente heavy! Ed è paradossale il fatto che l’heavy metal sia anche il parto di un intellettuale con gli occhialini e con un modo di fare più da prof che da rocker incallito. A pensarci vien proprio da ridere!
MM: In effetti si, non avevo mai valutato la questione da questo punto di vista…
DD: Vedi, siamo tutti figli del pregiudizio che il metal, per quanto intelligente e ben suonato, rimanga un genere per bifolchi. Ma non si pensa mai che esso, nella sua evoluzione, abbia inglobato anche pulsioni avanguardiste. La chitarra di Fripp ha sempre graffiato, vuoi con semplici dissonanze, vuoi con devastanti muri di distorsioni. Certo, Fripp non è mai stato un chitarrista invadente: lo definirei piuttosto un regista, visto che molti dei suoi brani prevedevano l’impiego copioso di tastiere e di fiati, ma quando intendeva emergere, non c’erano cazzi. Per dire, prendi in considerazione album come “Larks’ Tongues in Aspic”, “Starless and Bible Black” e soprattutto “Red”: per i King Crimson, forti di una formazione nuova di zecca, quella era già una seconda fase in cui il prog melodico e bucolico degli esordi era già un ricordo sbiadito. Eravamo ancora nella prima metà degli anni settanta e già i King Crimson con quegli album seppero anticipare certe irrequietudini che di lì a poco sarebbero esplose con il punk, il post-punk e l’industrial. Altro grande equivoco della storia del rock: pensare che ci sia una grossa cesura fra il prog e il punk e che il secondo abbia spazzato via il primo. Cazzata galattica! Ascoltati “Red” (la canzone), anno 1974, e dimmi tu se non è devastante quanto tanta roba punk che sarebbe uscita di lì a qualche anno. Con la differenza che chi suona punk alza il volume, urla e spacca gli strumenti, i King Crimson invece sapevano suonare e quindi avevano la consapevolezza e il controllo più assoluto di quello che stavano facendo.
MM: In effetti…
DD: Ma non erano solo i King Crimson a muoversi in quella direzione. Guarda gli Emerson, Lake & Palmer che addirittura nel 1973, con un album come “Brain Salad Surgery” (all’epoca iper-criticato), già servivano su un piatto d’argento quella velocità, quella violenza, quelle distorsioni che avremmo poi ritrovato nel punk e nell’industrial. Il fatto è che alla gente fa comodo categorizzare, ma la vita reale è ben più complicata. Un po’ come i Voivod (ride).
MM: E secondo te chi sono stati i più grandi eredi dei King Crimson nel metal?
DD: Bella domanda! Sicuramente non i gruppi prog-metal, che mi sembrano principalmente influenzati da un prog più barocco, cosa che i King Crimson non erano. Dream Theater e Fates Warning, per esempio, non suonano affatto kingcrimsoniani! Ma anche i Voivod te li escludo, perché, per quanto le lezioni di Fripp & soci fossero oramai presenti nel nostro DNA di musicisti, non possiamo definirci assolutamente loro eredi. E questo per il discorso che ti facevo prima: come non eravamo figli dei soli Pink Floyd, non lo eravamo nemmeno dei soli King Crimson, come del resto non lo eravamo solamente di ciascuna di tutte quelle altre band che a pezzettini sono finite nella nostra musica. A mio parere tale appellativo spetta di diritto ai Tool, cosa che peraltro è stata confermata dai Tool stessi e dai fatti, visto che hanno condiviso persino un tour insieme ai King Crimson, dove i Tool erano gli headliner (ma ti rendi conto i King Crimson come spalla???)!
MM: Ma in cosa le lezioni dei King Crimson sono state utili al metal?
DD: Già abbiamo detto che i King Crimson possono essere considerati fra gli anticipatori del metal. Certo, non hanno fondato il genere, perché c’era bisogno di un gruppo come i Black Sabbath che fosse pesante dall’inizio alla fine, ma la violenza di certi riff e la potenza di certi passaggi ritmici era già alla portata di Fripp e soci. Un altro elemento importante è che il sound dei King Crimson è sempre stato epico: un'epicità che si esprimeva tanto nelle struggenti ballate, quanto in suite mostruose! Ma per capire l’importanza del Re Cremisi per il metal c’è stato bisogno dell’espansione in senso progressivo del metal, avvenuta poi negli anni novanta. Prendi gli stessi Tool. I King Crimson rivivevano in un concetto di ricerca fino ad allora estraneo al metal, in quelle costruzioni cervellotiche, nella reiterazione paranoica e circolare di riff pesanti e distorti, nelle dissonanze di basso e chitarre: a ben vedere tutto questo era già stato esplorato vent'anni prima in un lavoro estremo come “Red”. Ma anche in quella circostanza ci fu un grande equivoco, dovuto sempre all’ignoranza di chi segue il metal. Quei suoni “strani ed innovativi” erano stati visti come un’originale evoluzione delle lezioni dei Black Sabbath, dei Metallica, che all’epoca andavano alla grande. Dato che si parla della metà degli anni novanta, venne persino tirata in ballo per i Tool l’etichetta “post-grunge”, e nessuno si rendeva conto che sotto c’erano invece i King Crimson. Ma del resto i metallari non ascoltavano i King Crimson né i fan dei King Crimson ascoltavano il metal, i due mondi non comunicavano: una situazione di reciproca indifferenza che denota ignoranza e chiusura mentale da entrambe le parti.
MM: Wow! Non avevo mai ragionato su tutte queste cose!
DD: Guarda, il colmo dei colmi fu quando uscì il nostro “Phobos” che è stato l’album più kingcrimsoniano dei Voivod. Decidemmo persino di includere come bonus-track la cover di “21st Century Schizoid Man” per gridare al mondo che non eravamo solo fan dei Pink Floyd, ma che ci piacevano anche i King Crimson!. Eppure nessuno coglieva questi riferimenti fin troppo palesi: la gente paradossalmente preferiva vedere quei trenta secondi di stacchetto cosmico che ricordava i Pink Floyd, piuttosto che l’enormità dell’apparato kingcrimsoniano su cui tutto poggiava. Addirittura c’è chi ci ha visti come i precursori di certe leve del post-metal (secondo questi geni della critica avremmo influenzato i Cult of Luna, che manco so chi siano). Se ne inventavano di tutti i colori, ci proiettavano nel futuro, piuttosto che guardare indietro e riconoscere l’importanza che per noi ha avuto un artista come Robert Fripp. Se questa non è ignoranza…
MM: Senti Denis, hai parlato principalmente della prima fase artistica dei King Crimson. Cosa ne pensi invece del cammino che hanno intrapreso a partire dagli anni ottanta?
DD: Guarda, qui mi cogli impreparato: il mio amore per il Re Cremisi si è fermato con gli anni settanta, della produzione a seguire non so molto. Quegli album, che peraltro ho ascoltato superficialmente e che certo non mi permetto di giudicare, costituiscono per me un passo troppo in là rispetto a quelli che sono le mie vedute. Son pur sempre un metallaro, no? (ride) Scherzi a parte, eterno rispetto per artisti che hanno fatto la storia della musica e che non hanno mai smesso di ricercare nuovi suoni. Ma come fan sono costretto a fermarmi: ragiono con il cuore, non con la testa. Certo, sarebbe molto figo vantarsi di ascoltare ed apprezzare quei percorsi così lontani dal rock, ma, con l’onestà intellettuale che penso mi contraddistingua sono a dirti: Piggy rimane un fottuto e lercio metallaro! (ride)
MM: E con questo chiuderei la nostra conversazione, ci fanno cenno che il tempo a nostra disposizione è finito. Ringraziandoti dunque per la tua disponibilità, lascio a te l’ultima parola!
DD: Buon compleanno Robert!