"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

2 giu 2020

MEMORIE DALLA QUARANTENA: SPECTRAL LORE / MARE COGNITUM, "WANDERERS: ASTROLOGY OF THE NINE"


In tempi bui vedeva la luce questo buio lavoro realizzato a quattro mani dall'americano Jacob Buczarski (Mare Cognitum) e dal greco Ayloss (Spectral Lore), due delle firme più prestigiose in ambito di odierno atmospheric black metal. Una congiunzione di forze che ha portato al complimento di un viaggio intra-galattico alla (ri)scoperta dei pianeti della nostra galassia. 

Che palle, direte voi, e l’ho pensato anche io all’inizio, ma ci sono delle situazioni in cui certe proposte fanno particolare presa. Proprio in un momento come quello della clausura forzata e delle restrizioni imposte per l’intera faccenda Covid-19, il desiderio è proprio quello di poter vagare almeno con la fantasia. Fuga dalla propria casa, dalla propria città, dalla propria condizione esistenziale: tutto questo ed altro è “Wanderers: Astrology of the Nine”, materia di dispersione creativa di artisti che, navigando nel vero underground, concepiscono e creano senza limiti e con quella ambizione smisurata che in casi come questi varca palesemente le effettive potenzialità. 

Eppure il black metal è un genere malleabile, tutto può il black metal: chi apprezza il genere difficilmente rimarrà deluso innanzi agli sviluppi, anche imprevedibili, di questo universo sonoro che ospita riff sempre ispirati e rarefazione sonora ai confini con lo shoegaze: tratti somatici che, uniti agli spazi di meditazione che circoscrivono l’opera di un’aura sacrale, si sposano alla perfezione con gli scenari siderali che si intende descrivere.

I due avventurieri si muovono in spazi ampissimi, a metà strada fra gesto visionario (prerogativa della variante atmosferica del black metal) e rappresentazione concettuale. Il lavoro qui presente trae infatti ispirazione dalla suite in sette movimenti “The Planets, op. 32” di Gustav Holst, composta fra il 1914 e il 1916. Me la sono andata ad ascoltare e vi consiglio di fare altrettanto, non tanto in relazione alla comprensione di “Wanderers: Astrology of the Nine”, quanto per la bellezza in sé (che io, da profano, definirei di intensità wagneriana). Non solo le intuizioni di Holst saranno di basilare ispirazione per le future colonne sonore di film di fantascienza, ma l’epicità e la forza visionaria qui messe in campo (la marziale e dissonante “Mars, The Bringer of War”, non a caso, è stata definita “il più feroce pezzo di musica di tutti i tempi”) non lasceranno indifferente il metallaro più smaliziato, il quale potrà anche riconoscere nel tema del movimento dedicato a Giove (“Jupiter, the Bringer of Jollity”) la “Hammerheart” dei Bathory (l’outro sinfonico di “Twilight of the Gods”, tanto per intenderci). 

Ma al di là di questi spunti di indubbio interesse, le analogie fra l’opera del compositore inglese e quella della premiata ditta Spectral Lore/Mare Cognitum sono risicate e sembrano limitarsi al concept di fondo e all’idea di associare i singoli pianeti a caratteristiche antropomorfe. Mercurio il Virtuoso, Marte il Guerriero, Terra la Madre, Venere la SacerdotessaGiove il Gigante, Saturno il Ribelle, Nettuno il Mistico, Urano il Caduto ed infine Plutone il Guardiano: il fatto che ai corpi celesti osservabili nel firmamento siano conferite caratteristiche umane, come accadeva nelle mitologie greca e romana (ma non solo), mi ha da sempre affascinato; se poi questo concetto viene rimaneggiato attraverso il medium espressivo di un genere espressionista (“che tutto può”, si diceva) come il black metal, l’esperienza diviene esaltante. 

Le visioni sono abbozzate con quell'immediatezza, quel guizzo vincente da “buona la prima” che il black metal ha restituito alle forme complesse del metal e che certo non appartiene al prog, che invece ha sempre bisogno di spiegare e farsi capire. E senza fretta, attraverso brani che si muovono sulla media dei dieci minuti, con punte di quindici o addirittura di ventitré, se si vuol considerare come un solo brano la doppietta dedicata a Plutone. Brano, peraltro, che è l’unico che vede i due autori cooperare, laddove gli altri otto episodi sono spartiti fra i due, quattro cada uno. 

Le due anime si completano a vicenda volgendo verso esiti di omogeneità formale facilitata dalla comune visione artistica, con un Mare Cognitum forse un pelino più solido e pragmatico rispetto al collega Ayssos, più indulgente verso sonorità rarefatte e psichedeliche. Nebulose sonore che evocano gli Emperor di “In the Nightside Eclipse” (e perché non citare anche le fughe spettrali degli imprescindibili Darkspace?) fanno da ponte fra sfuriate ai limiti della sopportazione neuronale ed intuizioni melodiche pregne di una epicità che non dista più di tanto dal flavour del metal classico: furia, psichedelia, claustrofobia, senso di alienazione e misticismo convivono in un ascolto appagante a cui, in quasi due ore di durata, perdoniamo qualche inevitabile momento prolisso o scivolone autoreferenziale. 

Picchi di grande ispirazione si incontrano lungo tutto il platter, ma è nelle due parti di “Pluto (The Gatekeeper)”che si tocca l’apice emotivo dell’opera. Plutone (peraltro di recente declassato al rango di "pianeta nano orbitante" - quindi non più un pianeta a tutti gli effetti) è infatti l’ultimo corpo della galassia, il più lontano dal Sole e quindi il più freddo e solitario: una sensazione di solitudine, di lontananza, di inquietudine, di mistero che l'esperienza sonora ben descrive. Aperto da una una lunga introduzione cosmic-ambient (come a misurare la distanza fra Plutone e gli altri pianeti precedentemente descritti), il brano si sviluppa con grande gusto melodico attraverso struggenti fraseggi di chitarra ed uno spleen epico che segna probabilmente l’accesso ad un “qualcosa d’Altro” (siamo ai confini della galassia, no?), per poi lanciarsi in un finale di pura follia distruttiva chiamato ad apporre il sigillo di un viaggio allucinante che ci ha portati lontano. 

Molto, molto lontano.