Se a qualche lettore sarà parsa
strana la presenza dei Queen (con il capolavoro “Queen II” del 1974) nella
nostra lista dei 500 album per il 50ennale del metal, beh, probabilmente non
avrà letto, o l’avrà dimenticato, lo splendido post che il nostro Mementomori
scrisse tre anni e rotti fa per il 25ennale
della morte di Freddy Mercury. In quello scritto veniva esplicitata
l’importanza e l’influenza della Regina sul nostro Genere Preferito con queste
sacrosante parole: I Queen non sono
stati dunque solo gli interpreti di hit di successo: nella loro ampia
e variegata visione artistica, hanno saputo convogliare e volgere a loro favore
le correnti stilistiche più disparate. Quindi pop (nella sua
accezione più nobile), ma anche glam, hard-rock, progressive, musica
classica, opera e persino metal”.
In quello scritto si sottolineava come, per molti metalheads, gli album dei Queen siano stati una prima
porta di ingresso decisiva nel vasto Reame del Metallo.
In questo folto gruppo di metal
fans, mi ci metto anch’io che per anni, nel periodo di fine ottanta/inizio
novanta, durante le scuole medie/inizio superiori, ho trascorso centinaia di
ore ad ascoltare Freddy&co. In particolare furono i due Greatest Hits a spalancarmi il mondo del gruppo inglese,
seguiti dallo spettacolare “Live at
Wembley ‘86”, consumato anche in VHS.
L’intento di questo post, tramite
le nostre consuete “Guide pratiche per metallari”, è quello di far riscoprire
le tante gemme heavy di cui è
disseminata la carriera dei Nostri, al
di fuori di quanto già ampiamente divulgato tramite le più famose compilations pubblicate dalla Emi/Parlophone, le due
grandi major che hanno accompagnato tutta la carriera degli inglesi.
Toccando tutti e 14 i full lenght dei
Queen (il 15°, “Made in heaven”, pubblicato nel 1995 a 4 anni dalla morte di
Freddy, non lo voglio proprio considerare), cercheremo perciò di fare una sorta
di GREATEST HEAVY HITS dei Queen
(d’ora in avanti GHH), tralasciando
tutto quanto pubblicato in “Greatest
Hits I” (1981), “Greatest Hits II”
(1991), “Greatest Hits III” (1999) e
“Queen Rocks” (1997), quest’ultima
contenente proprio i brani considerati più heavy nella discografia dei Queen.
Ma noi di Metal Mirror non ci
accontentiamo di “Queen Rocks”: guidati come di consueto da manie di completezza
& perfezionismo vi proponiamo un pacchetto di brani (20 in totale, divisi
in due tranche da 10) meno conosciuti ma, a parere di chi scrive, assolutamente
fondamentali per comprendere il sound dei Queen nella sua globalità. Una globalità nella quale la parte heavy,
soprattutto nella produzione anni settanta (ma non solo), ha avuto un ruolo
molto consistente…
Via, si comincia!
GREATEST HEAVY HITS I
1. “Great King Rat”
(da “Queen”, 1973)
“Keep yourself alive”, “Doing all right”, “My
fairy king”, “Jesus”…il debut dei Queen è già un (quasi) capolavoro. A
riprova di questo estrapoliamo per la nostra compilation ben 3 ulteriori brani.
“Great King Rat” è uno splendido esempio del primo, progressivo, immaginifico sound
dei Queen, con songs medio-lunghe caratterizzate da molti cambi di tempo, un andamento spesso caracollante
e pronunciate distorsioni chitarristiche. Da evidenziare, in questa, lo stacco a metà
brano, quando tutto pare placarsi e Freddy declama frasi blasfeme
impersonificando il Grande Re Topo; segue una parte acustica e, infine, una
ripartenza hard and heavy esaltante che esplode nel chorus finale...voto 10!
2. “Liar” (da “Queen”, 1973)
Una dei primissimi e più heavy
brani della Regina con un testo che tratta di peccato & pentimento, con
risvolti religiosi (tematica molto utilizzata da Mercury in quegli anni).
L’inventiva dei Queen, davvero esplosiva, si esprime con numerosi cambi di
tempo e umore, comprensiva di una parte corale che anticipa la vena operistica
che caratterizzerà sempre di più il loro sound in futuro. Tutto questo mélange mette
in evidenza la vena progressiva di quelle prime, ispiratissime produzioni dei
Nostri. “Liar” rimane ancor oggi sorprendente per freschezza, originalità e
qualità dei passaggi. Che grandi i primi Queen!
3. “Son and Daughter” (da “Queen”, 1973)
E’ il brano più blacksabbathiano
del debut. Un riffone pachidermico, dalle venature blues e fottutamente
doomish, accompagna le strofe in mid-tempo con la voce di Freddy filtrata e
parte del chorus cantato in falsetto. Un’altra top song che apparirà nel lato B
del singolo “Keep yourself alive” (quest’ultimo altro heavy highlight, a
malincuore non inserito in questa nostra Rassegna in quanto già presente nella
compilation “Queen Rocks”)
4. “Ogre Battle”
(da “Queen II”, 1974)
Del disco che, per chi scrive, è
il vero capolavoro dei Nostri, si tende a ricordare esclusivamente la
conclusiva “Seven Seas of Rhye” (il fantastico mondo immaginario creato da
Mercury), ma in realtà i 4 inglesi inanellano un rosario di canzoni-capolavoro
tra le quali è davvero arduo selezionare le migliori.
Se il metal epico a tinte fantasy
è parto ottantiano, in “Queen II” abbiamo già degli archetipi, per testi e
ambientazione, decisivi. La Battaglia degli Orchi è una fiaba favolosa dove
corvi neri sono i messaggeri del Fato e gli orchi sono capaci di ingoiare un
oceano, prendono mosche con lingue mostruose e ti scrutano con il loro unico
occhio. Le distorsioni della chitarra di May sono notevoli e pesantissime e le
parti strumentali sono definibili a pieno titolo proto-thrash. Non mancano i
soliti cambi di tempo e ardite giravolte in un songwriting che è tutto, tranne
che prevedibile. L’ultimo minuto, tra cacofonie di sovraincisioni, urla
disumane e batteria marziale, è un trionfo metallico a dir poco esaltante. Una
canzone che ha segnato il mio futuro da metalhead…
5. “The Fairy Feller’s Master-Stroke” (da
“Queen II”, 1974)
Neanche 3 minuti per un altro
esempio di heavy epico basato, con un testo zeppo di inventiva, sui personaggi
di un quadro di un pittore inglese dell’epoca vittoriana (sic!). Un esperimento
sonoro azzardato, un mixaggio capace di tenere assieme numerosi strumenti (dal
clavicembalo alle nacchere!), guidato da un ritmo thrasheggiante da parte di
Taylor. E se, ascoltandola, vi si pareranno davanti agli occhi, come per incanto, le immagini di
magici taglialegna riuniti in un bosco al chiaro di luna in attesa del colpo da
maestro…beh, non stupitevi…la canzone fa quest’effetto!
6. “The
March of the Black Queen” (da “Queen II”, 1974)
Senza esagerare, una delle più
importanti canzoni dei Queen. Vena progressiva (la seconda più lunga della loro
discografia), mood oscuro, inserti operistici, polifonia spinta, invenzioni
sonore ogni pochi secondi che gli donano sfaccettature pressocchè
continue…probabilmente senza di essa “Bohemian Rhapsody” non sarebbe neppure
stata concepita. Quando a metà running time il tutto si placa per lasciar
spazio a pianoforte, voce e cori, l’epicità si taglia con l’accetta.
In coda, tra
assoli in sottofondo e linee vocali che si intrecciano, il brano assume i
connotati di un mid-tempo metal che accelera man mano fino ad una coda quasi
circense, fanciullesca…impossibile descriverla, ascoltatela e basta!
7. “Brighton
Rock” (da “Sheer Heart Attack”, 1974)
Opener del terzo album della
Regina (contenente pezzi storici come “Killer queen”, “Now I’m here” e la
protometal “Stone cold crazy”, coverizzata anche dai Four Horsemen), e registrata
durante le sessions di “Queen II”, dell’album precedente “Brighton Rock” ne riprende
l’approccio heavy, contenente uno dei migliori assoli di May e un riff portante
che è puro speed metal ante-litteram, oltre a una sezione ritmica dinamica e
nervosa. Mercury si esalta in un falsetto che modula fino ad arrivare a un
timbro forte e potente al termine delle strofe, raccontando le vicissitudini di
Jimmy e Jenny (una giovane coppia che si reca a Brighton per una festività
pubblica). Un pezzo di storia del Rock…
8. “In
the Lap of the Gods…Revisited” (da “Sheer Heart Attack”, 1974)
Prima di “We are the Champions”
c’era lei, ItLotG, brano da cantare a squarciagola live, una sorta di rock
ballad con le strofe guidate dal solo pianoforte e un Mercury delicatissimo ma
che, nel canto del chorus, lascia spazio a uno splendido riffone portante, ai limiti
del doom. Il suo inserimento nel nostro GHH potrebbe apparire
un po' forzato, ma il “wooo la, la la la!” corale raggiunge livelli da pelle
d’oca non trascurabili…da conoscere!
9. “Death
on two legs (Dedicated to…)” (da “A night at the opera”, 1975)
Ogni classifica, on line e non,
sui Best Album dei Queen mettono ANatO al primo posto. Non sono d’accordo: i
filler ci sono, i brani meno ispirati pure, ma è innegabile che la presenza di “Bohemian
Rhapsody” lo fa apparire sotto una luce diversa…noi ci soffermiamo invece
sull’opener che è davvero una canzone splendida capace di mischiare un heavy
roccioso e ispirato ai lirismi corali mercuryiani. Un brano che butta fuori in
modo plastico tutto l’odio di Freddy per il loro ex manager…un morto su due
gambe!
10. “The
Prophet’s Song” (da “A night at the opera”, 1975)
Per chi scrive, la migliore canzone in assoluto della
Regina. Nonché la più lunga: una (mini) suite di 8’ e mezzo. Dall’oscuro intro
arpeggiato all’ingresso del cadenzato riff portante delle strofe che porta al
break in crescendo e al coro “Oooh, people of the earth!”. I saliscendi epici
non si contano, in particolare nel bridge del terzo minuto, giusto prima della
celebre parte vocale a cappella con 4 sovraincisioni asincroniche.
La ripresa
chitarristica che porta alla coda del brano, con annesso assolo di May, guida
al tema iniziale fino al fade acustico che introduce la successiva, e
celeberrima, “Love of my life”. “Oh,
oh children of the land! Love is still the answer, take my hand!” Top…
A cura di Morningrise