"Ragioni
come un iper-testo": non so se questo detto è ancora in voga, ma una volta
si utilizzava per apostrofare qualcuno che saltava da un argomento all'altro
senza apparenti connessioni logiche, proprio come è possibile fare su un
iper-testo (qualcuno si ricorda cos'è?) o, per meglio dire, su internet,
"linkando" da una pagina all'altra.
Con
lo sviluppo della tecnologia in ambito ITC e il suo utilizzo massivo da parte
delle nuove generazioni, penso che oramai oggi questo sia il modo comune di
ragionare. In effetti la rete offre possibilità illimitate e in questi giorni
proprio sulla rete ho un po' "giocato" con Cadaveria.
Tutto
è originato dall'uscita dello split/EP Cadaveria/Necrodeath "Mondoscuro".
Forse una volta un'operazione del genere mi avrebbe attirato con maggiore
prepotenza (ho sempre avuto un debole per i titoli in italiano…), ma il
fatto che entrambe le band non mi avessero mai attirato più di tanto, mi ha
solo fatto pensare "toh, vediamo di cosa si tratta...". La lettura
delle recensione mi ha però colpito, soprattutto per come questo lavoro è stato
strutturato (ho sempre avuto un debole per il lato sistemico delle cose…).
Sei
pezzi, tre cada uno. All'inizio le due band si scambiano i brani, nel senso che
i Cadaveria interpretano il classicissimo dei Necrodeath "Mater
Tenebrarum" e i liguri ricambiano il favore con "Spell"
dei colleghi piemontesi. Poi è la volta degli inediti, dove troviamo i cantanti
delle due band darsi una mano vicendevolmente: in "Domination of Pain"
dei Cadaveria troviamo la voce di Flegias e in "Rise Above"
dei Necrodeath quella di Cadaveria stessa. È infine il turno delle cover,
la cui scelta mi è sembrata decisamente interessante: "Christian Woman"
dei Type O Negative per i Cadaveria (pezzo che personalmente adoro) ed
addirittura "Helter Skelter" dei Beatles per i
Necrodeath (curioso come abbinamento, no?). Ad aggiungere pepe al tutto, il
finale di "Mater Tenebrarum" condito con le note scritte da Keith
Emerson che curò la colonna sonora di "Inferno" di Dario
Argento e la presenza come guest della corista dei Cradle of
Filth Lindsay Schoolcraft (fatto di per sé insignificante, ma che
ben sottolinea l'accuratezza con cui questo EP è stato realizzato).
Insomma,
senza aver udito una sola nota, mi sono sentito molto attratto da questo
"Mondoscuro", per questo ho subito deciso di andare su YouTube per
ascoltare qualcosa. Ho così principiato a visionare il video promozionale della
release, ma, come spesso mi capita ultimamente, mi son distratto e ho
iniziato a pensare ad altro. Posso comunque affermare che quel poco che mi è
giunto al cervelletto mi ha confermato tutti quei motivi per cui le due band
non mi sono mai piaciute. Mi ripugnano quei suoni, troppo patinati e
"perfettini" per due proposte che intenderebbero rovistare nel
torbido e che finiscono per trovare l'estremo nell'enfasi un po' artefatta di
una cattiveria più che altro ostentata. È il mondo post-cradleoffilthiano,
del resto, che mal digerisco: per quanto abbia amato i Cradle of Filth,
non ho mai potuto sopportare quello che hanno generato. I Cadaveria, benché
propongano una musica ben più estrema della classica gothic-band con voce
femminile, non sembrano a mio parere raggiungere mai un equilibrio
soddisfacente, girando a vuoto e rimpallando continuamente fra black metal,
gothic, groove modernisti e post-cantautorato femminile à la PJ
Harvey. I Necrodeath, che hanno una storia alle spalle che va ben oltre
l'avvento su questo mondo della creatura di Dani Filth, nella loro
versione post-reunion non mi hanno mai convinto, oscillando fra
anacronismo e modernità senza anch'essi mai risultare davvero incisivi o
all'altezza del loro nome. E dell'alone di insana malvagità dei primi album,
loro vero carattere vincente, nemmeno l'ombra.
Su
YouTube funziona che ad un video ne segue un altro più o meno collegato, e così
iniziano a scorrere sullo schermo una serie di videoclip dei Cadaveria
(detto per inciso: ma come saranno brutti i video semi-professionali? Perché
li fanno? Non sarebbe meglio caricare una canzone su YouTube con il fermo
immagine della copertina dell'album?).
Musicalmente
non li continuo a digerire, ma vengo positivamente colpito dalle capacità
vocali di Cadaveria, che per amor di sintesi (lei però non sarebbe d'accordo)
potrei descrivere oggi come una sorta di Courtney Love decisamente più
incazzata. Mi riferisco alla voce, perché come immagine ed attitudine essa
si affida al classico armamentario gotico (capelli lisci neri, cerone sul viso,
occhi nero-cerchiati, uniforme succinta in pelle nera ecc.), chissà perché me
la figuravo più in carne. No, Cadaveria è molto magra, e sebbene non sia una
bellezza nel senso classico del termine (non ha gli occhi verdi della divina Anneke,
né la bellezza statuaria di Tarja Turunen e neppure il fascino
tipicamente italiano che fa impazzire l'America della Scabbia),
nonostante tutto questo, non dispiace alla vista e potremmo definirla come una
donna sulla quarantina ben tenuta che la divisa gotica e il cuore di metallo ci
fanno guardare con maggiore attenzione e gradire di più.
Ma
al di là dell'aspetto fisico (su cui fra l'altro essa non sembra aver puntato
più di tanto nella carriera, badando semmai alla sua direzione artistica - e
questo non può che farle onore), mi chiedo: perché non mi ha mai attirato
come personaggio? Eppure si sa, il maschile e bruto mondo dei metallari ha
sempre avuto un occhio di riguardo per le (poche) donzelle che via via hanno
calcato l'ostile Reame del Metallo: forse prima avvistate con una certa perplessità
(strano, no? In un mondo dove i cantanti strillano come eunuchi), poi
sempre più accettate e gradite, le donne nel metal si sono riuscite nel tempo a
ritagliare significativi spazi, purtroppo anche non solo per meriti artistici
(in un mondo un po' gretto come il nostro, l'occhio esige la sua parte - cosa
veramente strana se si pensa ad icone come DeMaio ed Udo).
Cadaveria no, non mi ha mai incuriosito, cosa tanto più strana (realizzo
adesso) se si tiene conto del suo rispettabilissimo CV e del fatto che è stata
fra le prime donne, se non la prima, a cimentarsi nello screaming.
E
così, tutto ad un tratto, rapito dell'ispirazione di un sentimento fugace, ho
iniziato a pensare a Cadaveria, e forse ad innamorarmene un poco, con quella
predisposizione che si ha all'innamoramento quando si inizia ad avere una certa
età. Si sa, alle scuole medie, alle superiori, piacciono le belle ragazze,
invecchiando quelle interessanti. Non sono tuttavia riuscito a recuperare
grandi informazioni sul suo conto (evidentemente la Nostra, oltre a non amare
la sovraesposizione del suo corpo, non è interessata nemmeno a quella della sua
persona), finendo così per imbattermi in una stringata pagina di Wikipedia in lingua
spagnola (nemmeno in italiano!) che ci dice poco o nulla: che si chiama Raffaella
Rivarolo e che è nata a Torino il 31 maggio del 1973.
Come
è tuttavia mio uso e costume, preferisco conoscere un artista per mezzo delle note
contenute nella sua musica e tralasciare le note biografiche, pertanto
decido di continuare la mia ricerca su YouTube, dove ovviamente mi si offre un
mondo. Decido di non perdere tempo e di andare dritto al nocciolo della
questione, di andare all'origine del viaggio musicale di Cadaveria: "The
Call of the Wood", Opera IX, 1994. Esso fu il debutto
discografico della prima band della nostra eroina (all'epoca aveva poco più di
venti anni), album che oggi viene riconosciuto come fra le migliori prove della
valida ed ancora attiva band piemontese.
C'è
una strana moda (non solo nel metal) che è quella di rivalutare ed innalzare a
status di capolavoro, o perlomeno di opera seminale, certi album solo perché
sono passati venti anni dalla loro uscita, soprattutto se quegli stessi album
non hanno riscosso il meritato successo. Io c'ero nel 1994, e pure lo ascoltai
"The Call of the Wood, che veniva ben recensito dalle riviste dell'epoca,
senza però che si gridasse al miracolo. I Nostri probabilmente pagarono lo
scotto di un periodo che non favoriva le formazioni italiane, perché in campo
black metal "paganeggiante" non si era credibili se non si era
scandinavi e, più in generale, in patria tirava un'aria aspramente esterofila.
E forse pure io, lo ammetto, ero vittima di questi pregiudizi, perché oltre a Death
SS, Sadist e Novembre seguivo ben poche cose affiorate dal
suolo italico.
Fatta
questa premessa c'era da dire che, laddove da qualche anno il black metal era
padroneggiato con grande professionalità dai maestri norvegesi e svedesi, e qualche mese prima era uscito "The Principle of Evil Made Flesh"
con cui i Cradle of Filth avevano ingegnosamente spalancato le porte del gothic
al "metallo nero", il prodotto genuinamente artigianale degli Opera
IX, per quanto ricco di spunti interessanti, era destinato a rimanere
nell'ombra, schiacciato dalla superiorità delle proposte dell'epoca. Lavori come
“The Call of the Wood”, a parte gli scherzi, ha più senso ascoltarli oggi: oggi
che tutto quello che c'era da ascoltare è stato ascoltato; oggi che i grandi nomi
o si sono sciolti o si sono sputtanati; oggi che il "vintage fa figo"
e che fa comodo ritornare al "fantastico laboratorio degli anni
novanta" per carpire lo spirito originario del movimento.
E proprio
con questa predisposizione mi sono riavvicinato a "The Call of the
Wood", che ho rivalutato ampiamente rispetto al ricordo sbiadito che
conservavo. Suoni ruvidi e deliziosamente mal equalizzati spalmati in mega-suite
(solo cinque brani per quasi un'ora di durata del platter) dove
accade un po' di tutto: l'opener "Alone in the Dark"
(18:13), la titletrack (11:06) e la conclusiva "In
Sepulcro" (13:40) sono saggi di un "metal onnicomprensivo"
che in tempi non sospetti iniziava a spaziare su schemi liberi inglobando
partiture di pianoforte, calate doom, assoli elaborati, stacchi veloci e quelle
atmosfere rituali che varranno alla band il titolo di "occult black
metal". Non vi troviamo dentro la classe, l'eleganza, la fluidità, gli
slanci consapevolmente progressivi e psichedelici degli In the Woods...,
ma la propensione ad ammassare idee con una certa coerenza (cosa che diverrà la
regola nell'epoca del post black - almeno dieci anni dopo, questo va
riconosciuto) c'è già tutta. E questa attitudine un po' free, mischiata
allo spiccato interesse per le culture e i riti pagani ed all'alone di oscurità
che pervade l'intera opera, ci fa perdonare le varie sbavature che una
produzione non professionale non ha saputo correggere.
In
tutto questo svetta la voce di Cadaveria, che canta come un uomo ed offre una
interpretazione agghiacciante (nel senso positivo del termine), in tempi in cui
le donne dietro al microfono non erano così frequenti in ambiti estremi (a
dirla tutta non mi vengono in mente, laddove le pioniere Kari Rueslatten,
Anneke Van Giersbergen, Liv Kristine Espenaes, nel medesimo
periodo, traghettavano con le loro angeliche voci i vari The Third and the
Mortal, The Gathering e Theatre of Tragedy verso un gothic
metal dal flavour sfacciatamente melodico).
Un
punto a favore per la nostra Raffaella, che oggi guarda con indulgenza e
tenerezza alle ingenuità commesse ad inizio carriera, una fase che era però
infinitamente più geniale e verace di quella da lei incarnata oggi.