Non conoscevo Warrel Dane. Come per tutti coloro che parlano attraverso la loro arte, non è importante sapere cosa egli pensava nella vita di tutti i giorni. Per me era un personaggio metal dai capelli lunghissimi e lisci, e dalla voce urlante.
Warrel Dane si portava dietro
dagli anni '80 una visione escatologica del mondo nata come vezzo e
divenuta poi ossessione. Negli anni '80 si giocava a immedesimarsi nella
paura dell'olocausto nucleare, nel dramma dell'inquinamento globale,
nello sgomento per l'incoscienza del mondo ricco e per l'impotenza di
quello povero. Questo sentimento di
commozione e rabbia nei confronti del mondo era però edulcorato dal
fatto che era un sentimento collettivo e fasullo: tutti insieme ci si
preoccupava, si auspicava il disarmo nucleare, si piangeva per la Foresta Amazzonica, ma poi tutti insieme ci si occupava d'altro. Era
una stagione di reflusso dal pubblico al privato, dalla piazza alla
soap-opera.
Gli anni sono passati, i tempi cambiati ed è stato evidente allora che quella di Warrel Dane non era una tragicità modaiola, ma un sentimento autentico.
La figura del predicatore
che annuncia la fine dei tempi (quella di Repka sulla copertina di "Refuge Denied" dei Sanctuary), gli angeli vendicatori, la resa dei
conti contro il Male sono temi che dall'inizio campeggiano
nell'immaginario di Dane. Da subito però si insinua un dubbio che
avvelena questa prospettiva: il seme della corruzione e della follia
coinvolgono anche i buoni, anche i valorosi, anche i pii. Ogni nuova
visione del mondo si corrompe da sola con la fede in se stessa.
L'unica divinità stabile, cioè fonte di verità sincera, sembra essere una misteriosa entità femminile (she), forse Madre Natura, assediata da soldati e demoni che lottano tra loro, ma che non riescono mai veramente a seguirne gli insegnamenti.
L'unica divinità stabile, cioè fonte di verità sincera, sembra essere una misteriosa entità femminile (she), forse Madre Natura, assediata da soldati e demoni che lottano tra loro, ma che non riescono mai veramente a seguirne gli insegnamenti.
I vari messia, con
particolare riferimento a quello cristiano, sono liquidati con ironia à la De André. In "Die for My Sins" Dane dice ad ogni Gesù
che sostiene di essere morto per i suoi peccati: "Ebbene sì, muori per
i miei peccati, perché io ho visto la mia fine amara e dolorosa...", e ancora "Nessuno porterà il peso dei tuoi peccati, io ho
sopportato la mia vita mortale di dolore".
Al profeta fasullo che promette felicità nell'Aldilà in nome del dolore nell'Aldiqua, l'uomo dice: basto io per salvarmi dai miei peccati, provando a sopportare questo dolore, che poi è l'unica cosa che posso fare nella speranza di ottenere un poco di felicità. Ma alla fine della vita, mentre il profeta può – se proprio ci tiene – portarsi dietro il peso dei peccati del mondo, il comune mortale si accontenterà del peso del dolore patito, scaricando volentieri il peso dei peccati al profeta.
Al profeta fasullo che promette felicità nell'Aldilà in nome del dolore nell'Aldiqua, l'uomo dice: basto io per salvarmi dai miei peccati, provando a sopportare questo dolore, che poi è l'unica cosa che posso fare nella speranza di ottenere un poco di felicità. Ma alla fine della vita, mentre il profeta può – se proprio ci tiene – portarsi dietro il peso dei peccati del mondo, il comune mortale si accontenterà del peso del dolore patito, scaricando volentieri il peso dei peccati al profeta.
Come non pensare
all'analoga ironia amara del personaggio di Tito ne "La buona
novella" di De Andrè, quando passa in rassegna i comandamenti e
dice "Non nominare il nome di Dio, non nominarlo invano; con
un coltello piantato nel fianco gridai la mia pena e il suo nome; ma
forse era stanco, forse troppo occupato, e non ascoltò il mio
dolore; ma forse era stanco, forse troppo lontano, davvero lo nominai
invano!".
Beninteso, sempre secondo Dane, non è che
l'uomo abbia una sua religione terrena da contrapporre, come per esempio la fede nel progresso. Anche qui, chi vuole sacrificare il
passato e il presente ad un futuro migliore, appare come un profeta
fasullo e corruttibile: "Chi vedeva in
anticipo la verità è stato accecato da qualcosa di sconosciuto".
La tecnologia, che
sembrava la riscossa dell'uomo contro Dio, ha avuto il fiato
cortissimo. Non ha prodotto l'immortalità, ma al suo posto ci ha
regalato l'ipocondria. La figura dell'uomo che non sopravvive a se stesso in "Into the Mirror Black" è un'emblema di questa disperazione. Ma anche se si cambia questo punto di vista
sociale, niente cambia. Se si alza lo sguardo in cielo alla ricerca di
una risposta, si vedono solo battaglie celesti tra Angeli e Demoni che si contendono il Nulla Sovrumano. Se si abbassa lo sguardo, si
vedono invece le proprie miserie. La prima fra tutte, quella
dell'amore.
Il mondo di Dane è
quindi una trinità di angeli traditori: la religione, l'umanità,
l'amore. Tre angeli che a diversi livelli ti portano per mano verso
la follia e verso l'odio per il Dio che avevi eretto a tuo protettore,
che sia esso la Verità cosmica, il Benessere terreno o la fiducia
individuale.
Dane entra in questa
ricerca esistenziale con i Sanctuary, in cui perde la fede ma spera
nell'amore. Con "Into the Mirror Black" perde anche
l'amore e resta l'umanità. Con "The Year the Sun Died"
anche l'umanità si allontana. Non che Dane non riesca a immaginare
delle ipotetiche riscosse sia da parte dell'amore individuale che sul fronte di quello
collettivo. In "Communion" si definisce la condivisione
come l'unica crescita spirituale possibile verso una verità più
alta ("Communion is evolution of a mind to a higher form or
reason") e un tentativo di sfogare la tendenza fondamentale della
vita, che è inquietudine in cerca di pace ("Commuion, a
resolution, a search for inner peace").
Anche rispetto al destino
dell'umanità, pur nel pessimismo di partenza (il disco si intitola
"L'anno che il sole morì"), si sceglie come
conclusione una speranza in un giorno in cui il sole si spanderà
sulla terra. Questo testo, tuttavia, è forse dei Doors e
risale ad anni di ottimismo al momento inconcepibile.
Lo spirito doom (in senso
lirico) di Dane è quindi evidente nella tematica del passato come quella del futuro impossibile. Sul piano lirico Dane è rimasto simile a se
stesso dai Sanctuary ai Nevermore, passando per la sua carriera solista, fino poi alla seconda incarnazione dei Sanctuary.
Nella dimensione privata
prosegue questa preghiera disperata al Protettore Celeste che non è
venuto, alla solidarietà umana che non è mai nata e all'amore
individuale che ha tradito. L'unica dimensione rispettabile rimane
forse la morte, che ti toglie un affetto senza per questo
distruggerlo.
E la voce di Dane era adatta a cantare tutto questo: baritonale ma talmente ampia da raggiungere tonalità altissime, stirandole in uno spasmo. In lui si ritrovano la perplessità stralunata di Ozzy, la ieraticità di Halford, la teatralità manierata di Dickinson. Volendo aggiungere a questo trittico una somiglianza minore, potremmo citare Scott Jeffreys dei Confessor.
E la voce di Dane era adatta a cantare tutto questo: baritonale ma talmente ampia da raggiungere tonalità altissime, stirandole in uno spasmo. In lui si ritrovano la perplessità stralunata di Ozzy, la ieraticità di Halford, la teatralità manierata di Dickinson. Volendo aggiungere a questo trittico una somiglianza minore, potremmo citare Scott Jeffreys dei Confessor.
Non abbiamo dubbi che
Dane riposerà in pace. Nel percorso di esplorazione del dolore del
mondo, questo è sempre stata l'unica certezza: che dentro la vita
pace non ce n'è. E che qualsiasi fede l'uomo produca, che sia in Dio
o nel futuro o nell'amore, sarà sempre una fede inquieta e
traditrice.
Come diceva anche Jim Morrison: Nessuno uscirà vivo di qui.
Come diceva anche Jim Morrison: Nessuno uscirà vivo di qui.
A cura del Dottore