Quando presi l'esordio degli Inchiuvatu, “Addisiu”, la copertina mi richiamò per affinità d'atmosfera un film giallo-horror anni '70, gravato dalla stessa morbosità. La commistione di sacralità rustica e elementi solari, come gli ornamenti floreali piazzati sulle croci rovesciate, e morbosità clandestina, dettata dall'ambiente scuro, cavernoso e dalle luci languide e tremolanti che lo svelano. Il film era “Non si sevizia un paperino” di Lucio Fulci, e proponeva una serie di figure accomunate dalla visceralità delle passioni, dalla clandestinità e dal calore opprimente dal cielo del Sud e dalla carne incendiata. Una lotta tra le spinte pulsionali e i sentimenti di contenimento, quali la vergogna, il timore di Dio.
Qualcosa di simile avevano creato già i Death SS, utilizzando la tradizione horror (i “mostri” della tradizione transculturale, dal vampiro alla mummia, ciascuno rappresentazione della morte) calate in un allestimento horror ruspante, con materiale sacro da chiesa di provincia, ossari cimiteriali, nicchie sperdute di campagna. Vi era un legame stilistico al metal e al dark, ma senza un chiaro legame col folklore territoriale, la lingua, o un vero e proprio progetto poetico. Questa vena si esaurì rapidamente dopo i primi due album, per lasciare il posto ad un metal molto più ordinario.
Il progetto degli Inchiuvatu prevedeva invece già alcuni elementi, come il cantato in siciliano, e la scelta di spunti legati alla cultura popolare siciliana, intrisa di religione ma anche di paganesimo che nella religione cristiana aveva trovato nuovo veicolo, anziché un ostacolo. Se mai, vi era una concorrenza costante tra i valori di contenimento e astensione della religione cristiana ufficiale, e il magma pulsionale che da questa repressione era prodotto, e che esprimeva le radici più profonde come fossero un morbo da scongiurare in piazza, per evocarlo in segreto dalle cantine.
Lo stesso nome,
Inchiuvatu, può indicare
questa condizione di inchiodamento alla propria terra e d'altra parte
all'impronta di una cultura cristiana che tiene nascosta, per così
dire, la terra ai piedi che ci camminano sopra. Nomi che richiamano
questa condizione di separazione e schiavitù rispetto alle proprie
vere radici non sono nuove nel mondo metal, si pensi ad esempio agli
Enslaved.
Agghiastru
(olivastro) è un nomignolo che definirei “lovecraftiano”:
nelle storielle di Lovecraft i cospiratori che evocavano i Grandi
Antichi e con loro il caos primordiale erano identificati con una
razza di carnagione diversa da quella autoctona, appunto bruna o
olivastra (vedi il racconto “La strada”).
Sul piano stilistico, la
trovata è ovviamente l'inserimento di ritmi di musica popolare
“sudista” con relativi strumenti tipici, di “nenie” vere e
proprie come intermezzi. Questa è la componente più immediata, e
meno specifica se si vuole, nel senso che ogni nazione ha il suo
folk-metal, ma è comunque vero che i pionieri italiani sono stati i
siciliani.
Il Mediterraneo si pone
come polo complementare a quello nordico, sia per corrispondenza con
civiltà antiche ben conosciute, peraltro commiste con quelle
nordiche (normanne), proprio nell'Italia Meridionale. E il risultato
stilistico è apparentemente diverso: caldo, avvolgente, empatico. I
sentimenti nella loro varietà sono al centro del calderone,
contrariamente alla freddezza, distanza, al riduzionismo emotivo del
black scandinavo. Il nero assorbe, la luce sfaccetta. Il ghiaccio
fissa, il caldo scioglie. La verità black degli Inchiuvatu compare
come un colare di cera dalle candele, sempre a svelare la tenebra
ma in maniera liquida anziché glaciale.
La figura che accoglie
nel regno degli Inchiuvatu non è il diavolo, ma programmaticamente è
la fata del giardino della bellezza e della lussuria. Satana è una
delle creature di questo giardino, assolutamente non l'unica e quella
centrale, e anche le altre sono tutte in continuità tra la virtù
religiosa (di astensione, di verginità, di ascetismo, di pena) e la
virtù pagana (di consumazione, di commistione con la natura, di
appagamento, di godimento). Il dolore incombe, il piacere salva.
Questa la morale degli Inchiuvatu che capovolge quella cristiana, in
cui il piacere è il pericolo che impedisce la sopportazione casta e
proba della pena della vita.
I titoli della
discografia Inchiuvatu elencano i cardini del loro mondo
sentimentale: Addisiu (il desiderio), Piccatu, Viogna (Vergogna),
Miseria. I personaggi sacri (Cristo, Maria) sembrano essi stessi
“rivisitati” in chiave satanica, ovvero colti essi stessi dal
contrasto tra la sicurezza della fede e l'attrazione, ancestrale,
biologicamente forte, dei sensi. Più che di personaggi si ha l'idea
che si tratti di “maschere”, secondo la tradizione teatrale
classica, cioè di rappresentazioni degli archetipi emotivi e degli
stati dell'anima, ciascuno di volta in volta con un nome particolare,
ma tutti profondamente mossi dalla loro maschera, che quindi
prevaleva sul volto stesso. Questo serviva ovviamente anche a far
capire automaticamente il loro ruolo al pubblico, ma rendeva anche
idea di quanto importante per gli antichi fosse “ricordare” le
facce della nostra anima in modo da non doverle subire come elementi
insospettati o inutilmente rimossi. Questo il succo della filosofia
classica rispetto alla distorsione cristiana, far rientrare il
diavolo nel giardino e farlo giocare insieme a Cristo, senza una vera
contrapposizione ma con un ruolo complementare nel rappresentare gli
stati dell'anima. Ovviamente una blasfemia ancora peggiore di quella
che mille caproni, bestie e candele nere potranno evocare. Però ci
sono anche quelli ogni tanto, e non ci dispiace.
Il dottore