UNA RIVALITÀ FITTIZIA, QUELLA FRA
METALLICA E MEGADETH: L’ENNESIMA STERILE SFIDA CHE BANALIZZA LA REALTÀ.
La storia della musica è costellata di rivalità fra band/artisti
che condividono un medesimo periodo storico e che in esso si confrontano: una
contrapposizione che sintetizza opposte visioni del mondo, uno scontro più
culturale che stilistico, quindi, che ci costringe a schierarci e a prendere
forzosamente una posizione. Beatles o Rolling Stones?, “Love me
Do” o “Sympathy for the Devil”?, damerini o ribelli, angeli o demoni? Ma anche
nel truce reame del metallo, quando il metallo era un luogo mitico e fantastico
(ossia nella decade ottantiana), si consumava una sfida all’ultimo sangue:
quella fra gli stronzissimi Metallica e gli ancor più stronzi Megadeth.
Il fatto è che all’inizio degli anni ottanta, il metal
viveva la sua età della pietra: un giorno si scopriva il fuoco, il giorno
successivo s’inventava la ruota, fatto sta che il neonato heavy-metal si
tramutava a passi da gigante in thrash metal. In questo levigar di rocce e
scintille, primeggiavano i cosiddetti Big Four, ossia Metallica, Megadeth,
Slayer ed Anthrax. Gli Anthrax, sicuramente forti agli albori, ma
spentisi troppo presto, li possiamo anche tralasciare. Discorso contrario andrebbe
fatto per gli Slayer, a cui dobbiamo tutto, ma proprio tutto, in materia di
metal estremo (es.: nella canzone “Hell Awaits”, classe 1985, c’è già tutto il
death metal che verrà).
Ma si parlava di Metallica e Megadeth. Se volessimo
focalizzarci sul periodo che va dal 1983 al 1986 (anno di grazia del
thrash metal), quello che ci colpirebbe è la schiacciante e senza appello superiorità
della premiata ditta capeggiata da Hetfield & Urlich rispetto
a quanto combinato dal loro ex collega Mustaine. Ma partiamo dal
principio. Il confronto fra “Kill ‘Em All” (anno zero del metal moderno)
e “Killing is my Business…” (per altro uscito due anni dopo, ossia nel
1985) è semplicemente imbarazzante. Il fatto non è tanto che i Metallica,
insieme ad Exodus, Slayer ed Anthrax, abbiano inventato il thrash metal, ma che
essi abbiano reso grande questo genere. Un disco incazzato e veloce che estremizza
Venom e Motorhead, l’hanno fatto in tanti (un disco del genere riesce
facilmente a tutti, poi però, o ci si ripete, o si scompare, vedi la fine che
hanno fatto Exodus e Possessed,
autori di opere innegabilmente seminali come “Bonded by Blood” e “Seven
Churches”). Quello che invece hanno fatto i Metallica è di aver saputo costruire
e non solo distruggere, innovare coniugando le istanze dell’estremo con
strutture complesse, non perdendo di vista
la melodia, il tutto confezionato con perizia, professionalità, gusto ed
ispirazione. Cosa non da tutti. Con “Ride the Lighting” (di cui il
successivo “Master of Puppets” non sarà altro che un perfezionamento) il
passo avanti, lo scarto rispetto al resto del mondo è evidente. Megadave,
spiace dirlo, in quegli anni era ancora piccolo piccolo, e se si pensa che nell’anno
dell’irraggiungibile Maestro dei Pupazzi usciva il pur buono “Peace
Sells…”, rimane imperscrutabile la ragione su cosa si fondasse quella
rivalità che vedeva Meta & Mega giocarsela sostanzialmente alla pari.
Quella rivalità nasceva anzitutto perché Mustaine era stato cacciato
a calci in culo dai Metallica e dal fatto che quel benedetto giorno il rosso
crinito chitarrista avrebbe giurato eterna vendetta ai suoi ex compagni. Ma il
motivo principale che sta dietro a questa sfida era più che altro di natura
concettuale o, meglio ancora, culturale: i Metallica erano belli, eleganti, formalmente
perfetti; i Megadeth goffi, sgraziati, la voce di Mustaine stridula, i suoi
brani senza capo né coda, in contrapposizione al rigoroso formato canzone che
per i Metallica è sempre stato un dogma intoccabile (strumentali a parte). I
Metallica piacevano a tutti, per questo iniziavano a stare sul culo a qualcuno.
Fatto sta che, forti di una formazione compatta (persino dopo la tragica
scomparsa di Cliff Burton: “…And Justice for All” rappresenterà
un lieve calo d’ispirazione, ma rimarrà un signor album), i Metallica per tutti
gli anni ottanta continueranno a fare un gran culo ai Megadeth. Mustaine, dal
canto suo, vuoi per l’eroina, vuoi per il suo carattere del cazzo, arrancava dando
alle stampe un rozzo e discontinuo “So Far, so Good…so What!”, diviso
fra formidabili classici ed episodi tutt’altro che memorabili.
La musica cambia con “Rust in Peace” (è il 1990).
“Rust in Peace” non è solo il capolavoro dei Megadeth e un caposaldo del thrash
metal, ma un caso unico nella storia della musica tutta. Il fatto è che chi s’intende
per davvero di musica, probabilmente non conosce “Rust in Peace”, e, aggiungo
io, è un vero peccato, perché solo se guardato con le lenti extra-metal questo
lavoro è apprezzabile in tutte le sue potenzialità. Non è solo un questione di tasso
tecnico altissimo, o affiatamento e contributi singoli sensazionali: è l’equilibrio
fra le parti che rende “Rust in Peace” un vero miracolo nella musica. In questo
disco tutto è dannatamente al suo posto, tutto è come doveva essere, come se la
materia musicale preesistesse ai musicisti stessi, i quali pare si siano limitati
a scavare, modellare, levigare per tirarla fuori da una massa informe
primigenia. E’ un album concreto, asciutto, geniale e sprizzante creatività in
ogni suo frangente: in esso non si inventa niente, ma tutto suona originale; tutti
i brani hanno le stesse caratteristiche, ma ogni passaggio suona imprevedibile.
“Rust in Peace” apparteneva però ad un’altra epoca: nel 1991
i Metallica avrebbero pubblicato il famigerato “Black Album” e niente sarebbe
stato più come prima. Sebbene quello fosse il peggior colpo fino a quel momento
messo a segno da Hetfield e soci, il suo successo planetario, che andrà ben
oltre gli angusti confini del metallo, spaccherà il mondo del metal in due fazioni
ferocemente contrapposte. Evoluzione e reazione, poser e defender:
una frattura che, acuita poi dai pessimi “Load” e “Reload”, costringerà molte
band a sentirsi in dovere di cambiare (anche in modo artificioso, con buoni
risultati in certi casi, deludenti in altri), o di chiudersi a riccio in uno
sterile immobilismo stilistico. Complice anche l’avvento del grunge, l’operato
dei Metallica diverrà lo spartiacque fra due epoche: prima, il metal era un
regno in cui tutti erano d’accordo, le gerarchie erano chiare e un’oggettività
inalterabile vigeva sovrana; dopo, il metal diverrà un’arena di odio e
disprezzo, pettegolezzi e punti di vista contrastanti. I Megadeth, in un primo
momento, continueranno il loro percorso con onestà ed indipendenza intellettuale
con un paio di buoni album (“Countdown to Extinction” e “Youthanasia”):
dato l’ammorbidimento dei suoni, non è da escludere tuttavia un inconfessato
senso di sudditanza di Mustaine nei confronti dei suoi rivali.
Ma la vera pazzia di Mustaine starà in ciò che succederà
successivamente: con “Load” e “Reload” i Metallica proseguiranno
imperterriti il loro percorso di sputtanamento artistico, continuando a vendere
milioni di dischi, ma perdendo definitivamente la stima dei loro vecchi fan.
Quale migliore occasione, dunque, per l’eterno inseguitore Mustaine, per
impossessarsi dello scettro del comando? Macché: egli deciderà patologicamente
di seguire i suoi odiati rivali nell’infausto loro declino, pubblicando una
sequela di album indecorosi, sospesi fra thrash imbolsito e soluzioni più
catchy che vorrebbero strizzare l’occhio al mainstream, riuscendo però
nell’intento di deludere i fan ed al tempo stesso non conquistando neanche un
truzzo in più. Perché Dave, perché? Lo confesso finalmente: io tifavo per te. Penso
che i Metallica ti siano stati superiori, ma tu mi piacevi di più: mi facevi
sentire più a mio agio. Ancora oggi riascolto “Rust in Peace” e penso che tu
sia meglio di Frank Zappa e di John Lennon…
Ma forse ero solo fragile ed insicuro. Solo successivamente avrei
capito che aveva ragione il noto regista giapponese Hayao Miyazaki, tacciato
ultimamente dai soliti faziosi intellettualoidi come fascista guerrafondaio,
solo perché ha scelto come protagonista del suo ultimo capolavoro “Si Alza
il Vento” Jiro Horikoshi, l’ingegnere meccanico che ideò i modelli
Mitsubishi A6M Zero, ossia gli aerei utilizzati dai kamikaze durante la seconda
guerra mondiale. Miyazaki, che è affascinato dai motori, ma è un irriducibile
ecologista, che ama gli aerei da guerra pur professando la pace, ci insegna piuttosto
che la complessità del Reale contempla le contraddizioni e va oltre le stesse.
I Beatles erano drogati quanto i Rolling Stones, che a loro volta erano ruffiani
quanto i Beatles. Io sono quindi un po’ bello come i Metallica e un po’ stronzo
come i Megadeth. Forse, un po’ più Megadeth…