PERCHÉ
ODIARE? MA SOPRATTUTTO, PERCHÈ ODIARE UN PERSONAGGIO INUTILE COME IL
CHITARRISTA DEGLI HAMMERFALL?
MM è
amore, MM ama tutti, ma a volte MM s'indigna. E come spesso capita agli scemi
che fanno la fila alle poste, che si spazientiscono, e sbuffano, e strepitano,
e dicono cose a caso contro persone o situazioni che c'entrano poco o nulla,
oggi ci arrabbiamo con Oscar Dronjak, chitarrista e membro storico degli
svedesi HammerFall.
Cosa
avrà mai combinato lo smilzo figuro? Sì, quell'attaccapanni con appesi sopra un
chiodo ed una chitarra; quello che se lo incontravi al liceo ti faceva talmente
pietà che non lo prendevi nemmeno a calci in culo. Proprio lui. Cosa avrà mai
combinato?
Avrà
forse sbagliato un disco? E che ne so, nemmeno li ascolto io gli HammerFall. A
parte “Glory to the Brave” non ho mai sentito altro. Il power-metal
viveva nel 1997 (anno di uscita di “Glory to the Brave”) il suo momento di
massima popolarità. Big come Gamma Ray, Stratovarius e Blind
Guardian avevano strutturato il percorso e proprio in quel periodo stavano
raggiungendo la definitiva consacrazione (mentre qualcuno già sentiva puzza di
fregatura). Irruppero dunque gli HammerFall: “Glory to the Brave” era il
classico album giusto al momento giusto. Ma per quanto riguarda la scrittura,
gli svedesi erano nella media; quanto ad innovazione, essi si rivelarono
addirittura doppiamente reazionari. Già di per sé il power-metal degli
anni novanta (dopo lo tsunami grunge) incarnava lo Spirito della
Restaurazione, facendo rientrare dalla finestra quello che si era fatto
uscire dalla porta: ossia l'heavy metal classico degli anni ottanta.
Riverniciato a nuovo, in turchino e lillà. Gli HammerFall, dal canto loro,
ignoravano persino le rilevanti novità introdotte dalle band sopra citate. Niente
partiture neoclassiche, niente derive prog, niente suite, niente strutture
complesse, niente folk: gli Hammerfall suonavano freschi, ma non erano altro
che i nipoti sempliciotti degli Helloween che guardavano ostinatamente
indietro e che ripescavano dal calderone delle rimembranze vecchie cariatidi
tipo Warlord (coverizzati con “Child of the Damned”). Evidentemente
erano quello che ci voleva, quello di cui la gente aveva bisogno: portavano
sicurezze. Ma se essi meritarono un minuto della mia attenzione, fu soltanto
perché nel primo disco ci suonava Jesper Stromblad degli In Flames,
che in precedenza aveva militato nella death-metal band Ceremonial Oath,
proprio con l’amico Oscar Dronjak.
L’Oscar
Dronjak che a metà febbraio (sempre tempestivo MM!) rilascia dichiarazioni
sull'industria musicale che mi sento oggi di commentare (leggi qui
l’intervento integrale).
Tralasciamo
la solita tiritera del quanto si stava bene ai tempi in cui si vendevano i
dischi, mentre adesso c'è Spotify, c'è la crisi, il carovita e bla bla
bla. Tutto vero, sacrosanto, ma adesso basta, non se ne può più (i
Metallica già quindici anni fa fecero la loro buona crociata contro Napster -
perdendola). Ma a parte questo e premesso che non mi piacciono i vittimisti e i
piagnistei, discorsi del genere me li posso oggi aspettare dal bottegaio sotto
casa mia che si lamenta del fatto che ci sono troppe tasse (e magari non ti fa
nemmeno lo scontrino), ma non da uno che ha scelto di vivere
“spericolatamente”, assecondando la sua passione, imboccando la via del rocker.
Un “rocker”, peraltro, con la spada in mano e che suona la chitarra in una band
che ci canta di onore e battaglie. Tutto questo stona, non trovate? Il fatto è
che sono discorsi superati, a questo punto della storia dell’Occidente uno si aspetterebbe
un approccio diverso, perché guardare indietro è la Fine: quel bel mondo non
tornerà mai più. Se non reggi lo stress, allora cambia mestiere, Oscar, ce
ne faremo una ragione.
“Io non so come
l'industria musicale potrà sopravvivere nei prossimi anni. Probabilmente stiamo
andando incontro allo scenario peggiore, con persone che semplicemente fanno
musica senza anima, perché è il modo più economico per farla. La passione sarà
andata perduta”.
Vedi
Oscar (e te lo dice uno che compra un centinaio di cd all'anno e che usa il pc
come se fosse una macchina da scrivere), il mondo cambia; l'uomo, la società
cambiano. Gli spazzacamini, nonostante il loro momento di gloria grazie a Mary
Poppins, si sono estinti da un bel pezzo. I negozi di dischi chiudono, il
videonoleggio si è smaterializzato dall’oggi al domani, internet permette di
scaricare film, dischi, addirittura libri, e si sostituisce ad un numero
incredibile di servizi (ne sanno qualcosa le agenzie di viaggio). Anche le
aziende produttrici di macchine fotografiche digitali avranno subito un brusco
calo di fatturato dopo l'avvento degli smart-phone. Vedi, Oscar, niente è per
sempre (nemmeno i diamanti), la cieca brutalità dell'esistenza contempla
continuamente la morte: la morte di qualcuno che lascia lo spazio a qualcun
altro, ed è proprio grazie a questo riciclo che il mondo va avanti. Se poi in
questo gioco al massacro, scompariranno anche gli HammerFall, beh, parafrasando
Clark Gable: “Francamente non me ne frega una sega”.
Capitolo
merchandising. In Italia il 40% dell'incasso per la vendita di magliette ed
accessori spetta a non-si-sa-chi. E poi il tema ossessivo de “la-torta-che-si-è-ristretta-e-che-non-basta-per-tutti”,
le tasse che sono troppo alte in Italia, la burocrazia che è allucinante in
Italia, e la corruzione che c’è in Italia... Tant'è che (attenzione
attenzione) il nostro Oscar minaccia che gli HammerFall potrebbero non
essere più disposti a fare tour in Italia. AIUTO! AIUTO! PAURA! Gli
HammerFall non verranno più in Italia! Mi sto cagando sotto dalla
disperazione!
Punto
primo: ma chissene…
Punto
secondo: Oscar mio, ma di cosa ti lamenti? In Svezia vi danno persino i soldi
per tirare su un gruppo heavy-metal (le famigerate sovvenzioni statali per la
cultura), come mai tutta questa angoscia? Si è rotto il giochetto? Se hai paura
di non portare la pagnotta a casa, vai al Centro per l’Impiego di Mölndal, che
magari lì ti trovano qualcosa per davvero, ma non fare il rocker, Oscar. Pensa
a chi si fa il culo il doppio e raccoglie la metà (anzi niente)!
Il
metal, l'arte in generale, Oscar mio, dovrebbero essere altro. Guarda Quorton,
per esempio, che era svedese come te e registrava i dischi in garage. E non ha
fatto un concerto in vita sua! E poi cosa credi, Oscar, che i Judas Priest,
quando cantavano “Victim of Changes” si riferissero ai tassi di cambio?
O che gli Iron di “2 Minutes to Midnight” avevano paura che gli
scadesse il parcheggio?
Potrei
a questo punto chiudere intonando con il mio raggelante falsetto il ritornello
di “Penny for a Poor Man” degli amati Warlord, ma preferisco parafrasare il Monnezza:
“A Oscar, ma te la vai a pija ner culo…”.