I 10 MIGLIORI ALBUM GLAM METAL
CAPITOLO 9: “L.A. GUNS” (04/01/1988)
Nel suo splendido post sui Jesu,
il nostro Mementomori aveva correttamente scritto che quando con un disco
totalmente innovativo viene inventato uno stile musicale, esso diventa “genere”
solo quando la sua formula diviene replicabile.
Se partiamo da quest’assunto,
allora possiamo valutare davvero “Appetite For Destruction” dei Guns n’ Roses
il primo disco Sleaze Metal della
Storia.
Sleaze Metal che, per le caratteristiche intrinseche che abbiamo già
evidenziato nel nostro precedente post, può essere legittimamente considerato
un sotto-genere del Glam Metal.
Se lo stile era quindi stato
lanciato, è altrettanto vero che il genere non si affermò con la seconda uscita
della band di Axl&Slash. Infatti “Lies”, la loro seconda release in studio,
venne pubblicato solo a fine novembre 1988 e in realtà non era un full-lenght
vero e proprio, dato che la prima metà del disco (quella delle “Pistole”, la
parte dura) era una ripresa di
vecchie canzoni apparse nell’EP Live “Like a suicide” (licenziato in vinile
prima di AFD, a fine 1986); mentre la seconda parte (quella delle “Rose”, la
parte morbida) era composta
esclusivamente da pezzi acustici.
Ecco perchè il disco della
consacrazione dello Street/Sleaze Metal
va ricercato altrove.
E lo possiamo trovare nella
discografia di quella che si può a buon diritto etichettare come l’altra metà dei Guns n’Roses, e cioè i L.A. Guns
del chitarrista Tracii Guns, col
quale Axl stesso collaborò sia nei primi mesi di vita della prima incarnazione
della band californiana (stavolta sì, Tracii era nato proprio a Los Angeles!),
sia successivamente quando entrambi decisero di lanciarsi nell’avventura Guns
n’ Roses (il cui monicker derivò proprio dalla fusione dei nomi degli L.A. Guns e degli Hollywood Rose, la prima band creata nel 1984 da Axl) e dai quali Guns fuoriuscì dopo appena un paio di mesi dopo esservi entrato.
Breve ma importante divagazione: tutta
la critica musicale considera come co-progenitrice del sottogenere un’altra
band losangeliana dell’epoca, i Faster
Pussycat, che con il loro omonimo debut album, pubblicato in contemporanea
ad AFD (luglio 1987), riscossero un enorme successo.
Io non sono del tutto
d’accordo con questo parere. Se da un lato la band di quel pazzoide di Taime Downe aveva molti punti di
contatto con i Gn'R, sia nella musica che nel look, dall’altro “Faster Pussycat”
è sì un ottimo album, carico, dinamico, tagliente e trascinante, ma a
differenza dei debutti delle due band “gemelle” (GNR e L.A. Guns appunto) era ancora
troppo legato sia all’onnipresente eredità degli Aerosmith, che, soprattutto,
al “classico” Glam metal portato in auge dalle top band della decade (Motley Crue, W.A.S.P. e Poison su tutti).
E, come detto proprio alla fine del post sui Poison, nella nostra analisi del Glam
Metal ottantiano stiamo cercando di analizzare ulteriori aspetti musicali del
Movimento, sottolineando linee evolutive diverse e aspetti originali innestati
sulla canonica base glam.
Proprio “L.A Guns”, a differenza di "Faster Pussycat", è un album che risponde perfettamente ai requisiti da noi
ricercati.
Certo, le similitudini con AFD
sono tante, a partire da un approccio ruvido, “sporco” e maleducato, molto street, appunto. E del resto non avremmo
parlato all’inizio del post di “affermazione del genere” e di “replicabilità
della formula” se tali similitudini non ci fossero state.
Ma la band di Tracii Guns va un
po’ oltre, o per meglio dire, va un po’…indietro! E cioè riporta al centro
delle composizioni una minimalità e un’essenzialità che nei Guns, ad esempio,
si era vista solo a tratti (prediligendo questi ultimi canzoni più curate,
elaborate e variegate).
La rabbia e la cattiveria espressa da AFD, su LAG viene
riproposta in una forma più scarna e volgare ma, se possibile, con un’essenza più
feroce, sanguigna, “lurida”.
Ma andiamo in ordine: una
copertina meravigliosa fa da presentazione a uno scrigno contenente gli 11
pezzi del platter, che si aprono con un trittico da infarto: “No mercy” (un
titolo, un programma…), la sensazionale “Sex action” e “One more reason”. In tutto dieci minuti scarsi di esplosione
metallica, essenziali e annichilenti; probabilmente quanto di più pericoloso il
Glam potesse ancora esprimere alla fine di questa magica decade. Una
pericolosità che si basava su una violenza post-punk raramente riscontrata in
precedenza e in cui le caratteristiche tematiche glam (alcool, sesso, droga)
sono buttate in faccia all’ascoltatore in modo duro e crudo.
A questo punto non posso non
soffermarmi su Phil Lewis, cantante londinese già frontman dei Girl (seminale band britannica che a inizi anni
ottanta trapiantò il glam metal in terra d’Albione, nell'ambito della NWOBHM, e che verrà omaggiata su LAG con
la cover della trascinante “Hollywood tease”). Il timbro di Lewis, che per tutta
la durata dell’album non si risparmia scorticandosi l’ugola a più non posso con
risultati davvero egregi, è particolarmente efficace e
graffiante, donando al sound, come si denota già da questi primi brani, un mood ancora più cattivo e ruvido.
Ma un'altra delle frecce migliori
all’arco di questo disco è la varietà. A Tracii e soci infatti piace spiazzare
l’ascoltatore e già nei brani centrali del disco si trova un po’ di tutto: dalla
sgusciante “Electric gypsy” (con un riff portante strepitoso e un assolo
centrale da urlo), brano accompagnato da un simpatico video in cui viene riproposto il topos glam dei bikers on the road); ai rimandi agli Hanoi Rocks in “Nothing to lose”, con
l’utilizzo appropriato di parti di sax; all’amara dolcezza dell’accoppiata “Cry
no more”+”One way ticket”, geniali nell’alleviare la tensione e a rilassare l’ascoltatore
prima del gran finale costituito dal pezzo più heavy dell’album, quella “Shoot
for thrills” composta dal bassista della band Kelly Nickels e che era stata già edita nel 1985 dai Sweet Pain (band nella quale lo stesso Nickels aveva militato); fino a giungere alla conclusiva “Down in the city”, scanzonato
up tempo blues n’ rock, intervallata nel chorus da un roccioso riffone heavy.
Tirando le somme, l’album nei
suoi 36 minuti e 36 secondi scorre che è un piacere, in modo rapido ma mai
banale, riuscendo a scuotere le viscere in profondità grazie al suo eccezionale dinamismo. Ancora una volta,
scusate se mi ripeto ma è inevitabile, l’insegnamento dei New York Dolls è
evidente. I germi del punk, presi in prestito in modo robusto dalla lezione
impartita dalle Bambole della Grande Mela,
vengono iniettati in maniera del tutto violenta nel sound degli L.A. Guns,
scardinando e stravolgendo gli altri tipici stilemi glam.
Insomma, chi, dopo tanti anni di
Glam Metal, desiderava dal genere un po’ di violenza in più, nel giro di appena
sei mesi, con “Appetite For Desctruction” prima e “L.A. Guns” dopo, venne
ampiamente accontentato. Col primo, come detto, si inventava lo stile
Street/Sleaze. E col secondo si affermava il genere.
L’evoluzione del Glam da genere
prettamente hard and heavy, ad Heavy Metal vero e proprio doveva ancora
essere compiuto. E il salto al di là del
fosso non venne effettuato come magari ci si sarebbe potuto aspettare da dei ragazzi
californiani, visto che la California è la patria putativa del Glam; ma invece da una band guidata da un
chitarrista nato dalla porta opposta degli States, in New Jersey.
Un paradosso?
Può essere, ma del resto forse è giusto che si finisca, con il nostro decimo e ultimo
capitolo, proprio sulla East Coast: là dove con "New York Dolls" nel 1973 tutto
era nato...