Pareva che il black metal, mutazione dopo mutazione, avesse toccato l’apice della propria auto-negazione fondendosi con il gospel dei neri d’America: il genere oscuro per eccellenza che si era perfezionato nelle fredde lande scandinave, auto-proclamandosi élite ed inneggiando ad una purezza stilistica e concettuale, sfiorando peraltro l’arianesimo, veniva dirottato e ricondotto nei campi di cotone o nei cantieri delle linee ferroviarie dove gli schiavi in catene, fra polvere e sudore, si spezzavano la schiena, tessendo sotto il sole cocente canti di disperazione.
Erano gli Zeal & Ardor del loro brillante debutto “Devil is Fine”, con il quale avevamo significativamente concluso la nostra rassegna sulle sonorità post-black metal, ma ecco che ad "illuminare" la notte tragica dell'anno 2020 arriva questa one-man band polacca, i Biesy, ad aggiungere un altro tassello non preventivato alla storia del black metal, introducendo il concetto di satanismo transessuale: doppio smacco, dunque, per la cattolica e bigotta Polonia!
PR, da solo alla guida del progetto, si sceglie per l’occasione uno pseudonimo che è tutto un programma, Faustyna IHS Moreau, tre parole che evocano mondi contrastanti: il mito di Faust, la cultura cristiana (IHS è un noto cristogramma – ossia una combinazione di lettere che formano una abbreviazione del nome di Gesù Cristo) e (voglio azzardare un’ipotesi) l’immaginario di un regista dichiaratamente omosessuale come Rainer Werner Fassbinder (l’attrice Jeanne Moreau era la musa che animava il capolavoro “Querelle”).
Il minuto e trentanove secondi del singolo di lancio “Nowa Transylwania” colpisce nel segno, sia musicalmente, fra lo sconquasso delle percussioni industriali e vocalità artefatte, che visivamente, con forti richiami alla cultura queer: nel video, e in tutto lo shooting fotografico di promozione, PR (ammesso che sia lui e non un figurante) si presenta vestito da donna in sgargianti vesti rosse e vistosa chioma blu: gli stessi colori accesi della curiosa copertina, che attira ulteriore attenzione su un progetto che debuttava senza clamore nel 2017 con l'anonimo black/death di “Noc Lekkich Obyczajow” e che oggi trova la quadratura del cerchio con il riuscito “Transsatanizm”.
Coerentemente i testi mischiano scene apocalittiche, tipiche per il genere, con richiami inediti all’universo LGBTQ. La notte è sempre protagonista, ma qui si parla di notti di lussuria, notti dominate dal sesso, a volte anche violento. Allusioni sessuali e simbologie falliche si sprecano, la scrittura disconnessa e delirante non si presta alla facile traduzione in italiano dal polacco, e dire di averne colto il senso è azzardato, fra danze fecali, tendaggi a forma di cazzo, spade in gola e croci cromate in acciaio inossidabile e facilmente lavabili (...).
“La Dolce Instant”, per esempio, descrive il Diavolo intento a baciare ragazzi sulle labbra in una notte luminosa ed "appiccicosa", costellata di glitter, paillettes e “piogge dorate”; gli hastag sostituiscono le croci, Instagram dispensa rivelazioni alla stregua delle Sacre Scritture e l’unica “santa” tirata in ballo è Madonna, icona per eccellenza della cultura homosex.
In “Karolina23” si dice con voce esasperata: “Sono quello che ti meriti, legato con un cavo di ricarica stai teso come un palo senza tensione, il tuo silenzio diventa rosso come una fodera per divano, trattieniti in modo che non ci siano tracce, sei troppo basso e strabico, su questo rosa c'è una mappa, sotto gli occhi, sui polsi, tutto oro, il blu non si riflette a differenza di un livido”, o anche “Mi piace rimanere deluso su Tinder, cosa fai stasera, come posso molestarti, hai sentito qualcun altro? Non ero io”.
In “Karolina23” si dice con voce esasperata: “Sono quello che ti meriti, legato con un cavo di ricarica stai teso come un palo senza tensione, il tuo silenzio diventa rosso come una fodera per divano, trattieniti in modo che non ci siano tracce, sei troppo basso e strabico, su questo rosa c'è una mappa, sotto gli occhi, sui polsi, tutto oro, il blu non si riflette a differenza di un livido”, o anche “Mi piace rimanere deluso su Tinder, cosa fai stasera, come posso molestarti, hai sentito qualcun altro? Non ero io”.
Insomma, un affastellarsi di scene e immagini che ritraggono improvvidi incontri notturni, dove il pulsare delle luci da discoteca, a momenti alterni, svelano torbide scene di sesso e prevaricazione, ma dove pare vi sia un lieto fine, come potrebbero suggerire, forse, le ultime enigmatiche parole del brano conclusivo “Uwaga: Swiat”: “Non ci saranno più tramonti, ci saranno solo trattamenti di Sole”.
C'è da sottolineare che, al di fuori di letture superficiali, il tema del sesso promiscuo viene maneggiato con neutralità, il mondo LGBTQ viene esplorato dall'interno, senza scivoloni nei territori della facile ironia né offensive associazioni con la sfera della perversione. Certo, nei testi si parla anche di violenza e il senso di eccesso si respira ad ogni piè sospinto, ma il tutto emerge più che altro come uno slancio iperbolico volta a ritrarre, con vivide metafore, un mondo impazzito, isterico, cannibale di emozioni, oscillante fra desiderio di affetto e vuoto interiore, necessità di brillare e repressione di basiche pulsioni.
Lo screaming filtrato di PR, fra tonanti declamazioni e morbosi singulti, è il medium perfetto per esprimere i contenuti dei testi; la musica, al netto della malata prova vocale, non rispecchia fino in fondo il carattere delirante delle parole, e forse è un bene: la proposta, infatti, si assesta sui canoni di un black sì ardito, ma che non scavalca quanto già mirabilmente prodotto dai vari Dodheimsgard, Blut Aus Nord, Death-Spell Omega (ma io menzionerei anche i Satyricon di “Rebel Extravaganza” e “Volcano”).
L’assalto horror-techno di “Nowa Transylwania” era stato dunque un falso allarme: la componente industriale è infatti un elemento di contorno che non snatura l’essenza di un black metal robusto, forte di chitarre corpose, drum-machine programmate al millimetro, un bel basso in evidenza e persino passaggi melodici! Non mancano gli slanci progressivi, che spesso sono accompagnati da freddi sintetizzatori che arricchiscono la tavolozza di colori a disposizione del bravo PR (che si fa carico di tutti gli strumenti) e rendono brani medio-lunghi (fra i sei e gli otto minuti) sempre godibili, scorrevoli ed animati da quella freschezza che deve avere il black metal di ultima generazione.
Musicalmente parlando, dunque, non ci troviamo innanzi ad una espressione "transgender" del verbo estremo (ci vengono in mente i folli Gnaw Their Tongues), e se non gridiamo al miracolo, ci sono comunque tutti gli elementi per annotarsi il titolo dell’album e tenerselo in serbo per le classifiche di fine anno.