Doom al femminile. Non che la cosa sia una novità, per carità, sono molti anni oramai che il sottobosco psycho/doom metallico è infestato da oscure signore, ma è un dato di fatto che il trend si sia rinvigorito in tempi recenti: ce ne eravamo accorti con Ruby the Hatchet, The Oath, Lucifer, King Witch, e poi ne abbiamo avuto conferma con splendide realtà come Blood Ceremony e Messa. Chissà, forse questa riscossa del gentil sesso è stata incoraggiata dall'interesse crescente che si è generato negli ultimi anni intorno a nomi di brillanti interpreti femminili come Chelsea Wolfe, Anna Von Hausswolff ed Emma Ruth Rundle, ma in molti casi i modelli di riferimento sono ancora da rinvenire nel calderone degli anni sessanta e settanta. Un discorso che non si ferma ai Black Sabbath, come dimostrano proprio gli ultimi lavori dei sopra citati Blood Ceremony e Messa, sempre più convintamente lontani da sonorità metal e maggiormente interessati ad esplorare scenari progressivi e psichedelici.
Proprio a cavallo fra gli anni sessanta e settanta, in un crocevia che vedeva incontrarsi psichedelia, progressive rock, hard sounds di vario tipo ed oscuro folclore, prendevano corpo diverse pulsioni difficilmente classificabili che poi, in un momento successivo, sarebbero confluite in quello che avremmo definito metal. Fra le tendenze del periodo c'era anche una branca di artisti particolarmente interessati ai temi dell'occultismo, poi messi sotto l'ombrello omnicomprensivo dell'occult rock (termine vago che raccoglieva un gruppo assai eterogeneo di nomi accomunati più da intenti concettuali che stilistici). Fra questi c'erano gli americani Coven, capitanati dalla fatale Jinx Dawson, destinata a divenire un punto di riferimento imprescindibile per tutte le dark-lady che sarebbero venute dopo.
Nella nostra classifica dei 500 migliori album metal abbiamo per convenzione fatto iniziare l'epopea del metal nel 1970 con l'uscita del primo album dei Black Sabbath, pur avendo ben presente che negli anni appena precedenti il rock fosse già una nebulosa in cui le sonorità più dure si erano fatte strada con nomi come Steppenwolf, Iron Butterfly, Blue Cheer, Cream, Led Zeppelin, High Tide, The Stooges e MC5. I Coven, originari di Chicago, si inseriscono in quel periodo in modo anomalo, soprattutto se si pensa al contesto del rock statunitense: debuttavano così nel 1969 con il seminale "Witchcraft Destroys Minds & Reaps Souls", indicato da molti come la fonte battesimale dell'occult rock.
I titoli di certi brani ("Black Sabbath", "Pact with Lucifer", "Dignitaries of Hell", "Satanic Mass") facevano presagire foschi scenari, congreghe di streghe che si riunivano in notte fatali e riti satanici consumati in antri oscuri. Non solo: aprendo la confezione originale del vinile si poteva ammirare la cantante Jinx Dawson completamente nuda (pardon, con un teschio elegantemente riposto sulle parti intime) distesa su un altare pronta per essere sacrificata dagli altri membri della band che peraltro fanno con le mani il caratteristico segno delle corna per la prima volta nella storia del rock, ancora prima che quel gesto venisse, anni dopo, sdoganato nel metal da Ronnie James Dio.
Quell'album suggellava un percorso che era nato con esibizioni dal vivo scioccanti per l'epoca: i Nostri si facevano portare sul palco all'interno di bare e suonavano incappucciati con teschi e croci a fare loro da scenografia (il tutto in supporto di nomi di rilievo come Yardbirds, Fudge Tunnel ed Alice Cooper). La cosa aveva attirato l'attenzione del produttore Bill Traut, che vide nei Coven il classico cavallo su cui puntare: un supporto, quello del produttore, che fu fondamentale per il lancio del nome della band, ma che fece dei Coven anche un fenomeno mezzo costruito a tavolino (fondamentale fu l'apporto di Traut nel concepimento e realizzazione del primo album).
Sia quel che sia, i Nostri furono la band giusta al momento giusto, indubbiamente abili a calamitare un discreto interesse intorno a loro, tanto che lo stesso guru satanico Anton La Vay li avrebbe invitati a partecipare al "Black Arts Festival". L'evento non ebbe mai luogo, ma già l'invito di per sé diede ulteriore lustro alla band che iniziava a godere di una posizione solida nell'immaginario del "rock oscuro" che all'epoca non contava ancora molti adepti. Lo dimostra il curioso fatto che un giornalista in occasione dell'uscita del primo album dei Black Sabbath, avrebbe definito Ozzy Osbourne e soci come la risposta inglese ai Coven.
Dopo l'ascolto dell'album, tuttavia, ci rendiamo facilmente conto di come la musica non sappia tenere il passo con l'immaginario evocato. I Coven, da un punto di vista strettamente musicale, non erano altro che una delle tante band dedite al rock psichedelico del periodo, con The Doors e Jefferson Airplane a figurare come imprescindibili modelli di riferimento. Delle premesse gettate da copertina, titoli ed immaginario ritroviamo solo dei timidi spunti nei brani, come nella opener "Black Sabbath", forte di un ritornello che sembra una filastrocca morbosa e della performance stregonesca della Dawson, con tanto di risata malefica nel finale. O come nel ritornello di "Coven in Charing Cross" dove cori maschili alimentano umori da rituale satanico. E poi sì, ci sono i tredici minuti di "Satanic Mass" che ricalcano i riti e le formule di una messa nera, ma lo fanno in modo anche troppo didascalico, senza pathos ed atmosfera, e soprattutto costituendo un esperimento che non ha niente di musicale (ci si tolga subito dalla testa la "Black Mass" dei Death SS). I testi se non altro denotano una certa padronanza di tematiche occulte,
ma non bastano a risollevare più di tanto un involucro fatto di un rock
sì godibile, ma dove chitarre e riff non risaltano più di tanto.
L'elemento più convincente del pacchetto rimane la voce magnetica e potente della Dawson, non solo bella ma anche brava, capace di gettare fuoco su brani tutto sommato nella media. Si pensi ad un pezzo energico e diretto come "Wicked Woman", indubbiamente il miglior episodio del platter, dove la Nostra sembra una Ozzy alle prese con la sua "Paranoid". Non facciamo fatica a comprendere come la biondissima e carismatica cantante abbia fatto presto a divenire l'anti-Grace Slick (la mitica cantante dei Jefferson Airplane, icona indiscussa del rock al femminile di quegli anni).
I Coven sarebbero dunque stati una falsa promessa per il rock più oscuro e pesante? Ni, perché se da un lato i Nostri sono stati incontestabilmente i primi a fare certe cose (soprattutto a livello di immagine), dall'altro, musicalmente parlando, non possono essere certo definiti gli iniziatori di alcunché, tanto meno dell'heavy metal. L'impressione è piuttosto che essi siano finiti per sbaglio nella rete degli appassionati di "musica oscura" (in senso ampio), lo dimostra l'inconsistenza dei lavori successivi e la mancanza di un percorso artistico coerente. A loro parziale giustificazione dobbiamo ricordare che si veniva da un periodo in cui si erano compiute le malefatte della Manson Family, cosa che aveva fatto grande scalpore in America, mobilitava organizzazioni religiose pronte al boicottaggio e creava problemi concreti ad artisti che avevano a che fare esplicitamente con tematiche e pratiche esoteriche (e i Coven erano ovviamente nella black list). Comprensibile che i Nostri cercassero di smarcarsi da un certo tipo di immaginario.
Stenderei un velo pietoso su "Coven" del 1971: ascoltandolo in rete mi sono inizialmente dovuto accertare che non si trattasse di una band omonima dedita al più mieloso pop/rock. Gli ultimi scampoli orrorifici qui spariscono del tutto, lasciando spazio a brani orecchiabili e dal piglio radiofonico: "Coven", in definitiva, è il classico album che insegue in modo spudorato il successo (traguardo che verrà raggiunto con l'imbarazzante singolo "One Thin Soldier", in verità divenuto popolare perché parte della colonna sonora del film "Billy Jack").
Le cose in parte miglioreranno con il terzo "Blood on the Snow" del 1974 che cerca di riguadagnare terreno rimettendo il diavolo in copertina e con brani più duri ed inspirati. A parte qualcosa nei testi, di "occulto" non vi è più nulla, ma almeno si apprezzano episodi come "Lost Without a Trace", "Easy Evil" e la title-track. Ma è chiaro come alla band non interessasse portare avanti, non dico una ricerca esoterica, ma nemmeno un certo tipo di atmosfera. Logico che i Coven sarebbero stati presto dimenticati, travolti dagli eccelsi lavori dei vari Black Widow, Comus, Black Sabbath e Blue Oyster Cult.
Il progetto sarebbe poi definitivamente naufragato nel 1975 con lo scioglimento della band per via dei crescenti impegni della Dawson come attrice e modella. Il nome dei Coven sarebbe stato riesumato in anni più recenti (nel 2007 per l'esattezza) con una reunion volta a sfruttare l'immagine mitologica che nel frattempo la Dawson aveva acquisito nell'immaginario collettivo, tanto da meritare l'appellativo di Metal Goth Queen (così si intitolava la raccolta con cui la band tornava sul mercato nel 2008). Una reunion, tuttavia, che non ha certo spostato l'inclinazione dell'asse terrestre.
Lo scavo nel passato, questa volta, si è rivelato per noi un buco nell'acqua, perché l'ascolto del magro repertorio dei Coven si rivelerà per molti metallari una perdita di tempo, salvo qualche buona suggestione emanata dal pur valido debutto. Il metal sarebbe passato da altre strade, e noi, se vogliamo qualcosa di davvero "oscuro, ci teniamo ben stretti i dischi di Death SS, Paul Chain ed Antonius Rex...