"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

14 ott 2021

ODE AD ASTAROTH - I BLACK WIDOW E IL LORO POSTO NELLA STORIA DELL' H.M.

 

Uno degli aspetti maggiormente gratificanti dell'aver realizzato sul nostro Blog la Rassegna sul Cinquantennale del Metal è stato quello di aver colmato lacune nelle nostre conoscenze musicali, di aver conosciuto album fondamentali nell’evoluzione del nostro Genere Preferito con cui non eravamo mai entrati in contatto.

Personalmente, pronti-e-via e la nostra Lista mi ha messo davanti un album di una band che conoscevo solo di nome e soltanto perché uno dei negozi di dischi rock/metal della mia città cui mi rifornivo da ragazzo, e che è anche sede dell’omonima etichetta, si chiama proprio “Black Widow”.

Nello stilare la lista dei 500 album “eletti”, “Sacrifice”, rilasciato appena un mese dopo “Black Sabbath”, il nostro Numero 0, era annoverato come tra i più influenti per tutto il proto-metal oscuro che si sarebbe sviluppato nelle decadi successive.

Inutile dire che me lo sono presto procurato, intrigato dall’oscura copertina, raffigurante un’immagine che trasuda morbosa malvagità, dai titoli delle songs, maggiormente dark ed esoterici di quelli dei coevi Sabbath, e da una generale aura malefica che il dischetto emanava.

In base a tutte queste premesse, schiaccio il tasto play e rimango totalmente spiazzato. Quello che mi aspettavo, in tutta onestà, era una proposta pesante, doomica, in stile sabbathiano.

Ecco, manco per il cazzo.

I sei ragazzi di Leicester ci riservano un piatto molto vicino al prog rock dell’epoca (Led Zeppelin, King Crimson, Van Der Graaf Generator), condito da influenze folk e jazz. Pianoforte e organo (Zoot Taylor) la fanno da padrone, la voce di Kip Trevor è dolce e morbida, raramente aggressiva, le chitarre di Jim Gannon, spesso acustiche, hanno un ruolo secondario (quando non assenti del tutto, come in “Conjuration”), e questo nonostante Jim sia il principale compositore della band; mentre uno spazio molto più importante lo detengono, oltre al basso di Bob Bond, i fiati di Clive Jones (flauto, sassofono e persino clarinetto!).

Stando così le cose, e dopo un paio di ascolti che non mi riservano emozioni di rilievo al mio metal heart, comincio a pensare che abbiamo toppato ad inserirli proprio come primo album della nostra Rassegna…

Ma non mi arrendo.

E così la perseveranza paga e, dopo giorni e giorni di ascolti indefessi, capisco che sono di fronte a un album fantastico, unico. Capace davvero di veicolare tutta quella malvagia oscurità attraverso una musica solare, a tratti melliflua, ma in grado di sconvolgerti nei momenti in cui meno te lo aspetti e insinuarti un senso di disagio sottopelle davvero notevole.

Se l’opener “In ancient days” è il brano maggiormente trascinante, tra gli apici compositivi del disco, “Come to the sabbat” è l’inno, il brano per il quale i Black Widow verranno ricordati per sempre. Un brano che, da solo, giustifica la presenza degli inglesi nella nostra Rassegna. "Come to the sabbat", oggettivamente, merita un approfondimento, pur non essendo minimamente una metal song. I primi 90” sono costituiti da un mantra: cori rituali su sottofondo ritmico di tamburi che paiono provenire direttamente da una tribù blasfema perduta in qualche recondita foresta mai entrata in contatto con la civiltà; poi partono basso e flauto per accompagnare le strofe con un danzereccio ritmo folk; strofe che, al posto di un “normale” chorus, lasciano il posto ad una singola nota di basso che accompagna il coro di apertura del Sabba (Come, come, come to the sabbat, Satan’s there!), un crescendo parossistico di rara demonicità che ci porta direttamente all’invocazione del Principe dell’Inferno, “capo degli spiriti impuri perturbatori di anime” (sic!): Astaroth! Storia...

Ma la canzone forse più spiazzante per le nostre orecchie è “Seduction”: musicalmente un brano da anni sessanta, un jazz/rock per organo e clarinetto pacato, dolce, che flirta con la fusion prima della chiusura folkeggiante. Poi, se vai a leggerti il testo, beh…roba da far impallidire i Cradle of Filth per la sua lascivia e audacia hard (sessualmente parlando)!

Nota di merito per la conclusiva title track, 11’ di sperimentazione fusion in cui tutti gli strumenti si ritagliano un ruolo importante, con il consueto testo grandguignolesco e una coda hard rock (finalmente!) che spinge l’ascoltatore all’headbanging!

Seppur non tutto fili alla perfezione, e vi siano un paio di momenti deboli, arrivo alla conclusione che la grandezza di “Sacrifice” è probabilmente questa: l’aver accostato suoni “colti”, puliti, a tratti persino retrò, ad un’audacia testuale horror/dark mai vista fino ad allora.

I maestri Black Sabbath avevano, già dagli esordi, degni adepti che li seguivano sul sentiero che stavano tracciando

Help me in search for knowledge / I must learn the secret art / Who dares to help me raise the one / Whose very name sears my heart…ASTAROTH!

Voto: 8

Canzone top: “Sacrifice”

Momento top: la centrale sezione strumentale di “Seduction”

Canzone flop: nessuna

Etichetta: CBS

Dati: 7 canzoni, 42’

A cura di Morningrise