Se c’è un sottogenere metallico
difficile da trattare è il c.d alternative metal. E questo perché le
commistioni che lo caratterizzano sono tante e diverse tra loro; e a volte, nel "potpourri crossoveriano" che si viene a creare, di metal ne rimane davvero poco.
Abbiamo abbozzato il tema con la
nostra classifica sui 10 migliori album delle cult band degli anni 90. E in
quel frangente abbiamo voluto condensare l’alt metal, in maniera consapevolmente
semplicistica, trattando i geniali King's X.
Un’essenziale panoramica dell’alt-metal ce l’ha data invece il nostro infallibile Mementomori nel post sulla
classifica dei 10 album che sconvolsero il metal. In quel frangente potevamo
riscontrare una bella carrellata dei principali gruppi, e delle principali contaminazioni,
che lo caratterizzarono: Pantera, Rage Against The Machine, Ministry, Faith No More, Neurosis,
Tool, Kyuss, Korn, Dillinger Escape Plan.
E quindi: dal rap all’industrial,
dal funk al noise, dall’hard-core al neo-prog fino al post-hardcore. E le
tipologie “alternative” potrebbero continuare.
Se la classifica del collega si
concentrava giustamente dagli anni novanta in poi, posto che veniva preso come
spartiacque l’esplosione grunge del 1991, và detto che le radici del crossover
vanno ricercate qualche anno prima, segnatamente negli ultimi anni ottanta.
Nel 1990 “Strap it on” degli Helmet ebbe un successo enorme, mirabile esempio
di cosa potesse essere inteso come alt-metal. Andando ancora a ritroso possiamo
ritrovare altri dischi già pienamente alternative, creati da band che faranno
la storia del genere. A partire dai Faith
No More, autori di platters alt-metal già dal 1985 (“We care a lot”) e
usciti poi nel 1989 col capolavoro “The
real thing” (per chi scrive album insuperato da Patton e compagni).
L’89 fu anche l’anno di pubblicazione
del debut dei Primus, guidati dal funambolo
Les Claypool. Un debut che non era un disco in studio bensì un…live! (“Suck on this”). Un qualcosa di
assolutamente originale se ci si pensa…debuttare con un album dal vivo!
Ma i Primus non furono gli unici
ad annoverare nella loro carriera questa bizzarria. Ad esordire, e fare il
botto, con un debut live furono anche i Jane’s
Addiction. Metal Mirror vuole soffermarsi su
di loro perché li ritiene troppo importanti nella Storia del rock/metal indipendente.
Per inquadrarli, potremmo
cominciare con questo audace parallelismo: se Lou Reed, John Cale e Sterling
Morrison avessero operato vent’anni dopo, e sulla West Coast anziché a New
York, probabilmente sarebbero stati, anziché i Velvet Underground, i…Jane’s
Addiction (e non a caso la band coverizzerà nei propri live “Rock & roll”
dei Velvet)!
Eccessivi e maleducati, Perry Farrell (leader discusso e
controverso della band) e Dave Navarro
sono due personaggi forti, decisamente sopra le righe. Ma soprattutto scomodi.
Scomodi perché in quegli anni di fine guerra fredda, furono coloro che, con
metodi diversi dai gruppi glam mainstream che andavano per la maggiore,
andarono a tratteggiare una Californiana lontana dalle immagini da copertina; una Los Angeles che non era solo sole, mare e belle ragazze, ma anche dolore,
disagio giovanile, droga, prostituzione. E morte.
Accompagnati da due musicisti di
prim’ordine come Stephen Perkins
alla batteria ed Eric Avery al
basso, Farrell e Navarro furono portatori di uno stile e di una visione della
musica rivoluzionaria e innovativa. Tra tutti i gruppi alt-metal della prima
ondata, probabilmente i J'sA sono quelli maggiormente promiscui, sia
musicalmente che esteticamente. Farrell a molti potrà non piacere, così come
Navarro: molto (troppo?) attenti al look, con un occhio sempre al lato commerciale della propria attività e spesso finiti
sulle prime pagine non per i propri meriti artistici quanto per il gossip e le love story con procaci soubrette (chi ha pensato a Carmen Electra?).
Ma al di là dell’immagine, la
verità è che entrambi i ragazzi, accomunati da un’infanzia e un’adolescenza
tragica, avevano idee da vendere e classe immensa. Farrell in particolare, per
quanto dotato di una voce particolare e che, comprensibilmente, tanta critica
non apprezzava, fu capace di portare avanti una propria visione, artistica e
politica allo stesso tempo, notevolissima che, già nel medio periodo, non riuscì più a
maneggiare, sospesa tra le radici e la vocazione underground e successo e
attenzione mediatica overground.
Come spesso accade, i quattro
ragazzi diedero il meglio con i primi tre dischi pubblicati tra il 1987 e il
1990. Album che sono veri coacervi di spunti geniali, che sapevano miscelare in
un tutt’uno (a volte poco coeso ma sempre trascinante e ispirato) metal, rock,
funky e buone dosi di psichedelia. Il tutto veicolato da un’attitudine
punkettara che ammantava la proposta di immediatezza e coinvolgimento.
Ma soprattutto quelli furono tre
dischi pieni zeppi di canzoni da tramandare ai posteri. E noi di MM siamo qui…a
selezionarvi il meglio del meglio dei
primo trittico di dischi dei Jane’s. Cioè la parte di carriera davvero
indispensabile per ogni rocker che si rispetti…
Buon ascolto con la nostra playlist. Ma soprattutto… buona
dipendenza a tutti! Ispirati dalla musa Jane, abbiamo scelto per voi le seguenti
dieci canzoni. Più una. E cioè lei…
“Jane says” (da “Jane’s Addiction” - 1987)
Ogni band famosa ha la canzone
che la identifica. Quella che conoscono anche i muri…per i J'sA non può che
essere la splendida “Jane says”, riferita alla coinquilina di Perry, Jane
Bainter, ragazza che ha ispirato molto Farrell in quei primi, turbolenti anni
di carriera. E’ basata su un semplice, quanto irresistibile giro di chitarra
acustica (che la guiderà dall’inizio alla fine) su cui la voce di Perry declama
versi che alludono alla dipendenza di Jane e alla sua conseguente perdizione.
Che la stessa Jane non foss’altro che uno specchio in cui il giovane Perry si
rifletteva? Posta a chiusura dei live della band, è, al di là della sua
obiettiva qualità, una hit commovente e sentita. Immortale…
Al prossimo post per la playlist
completa…
A cura di Morningrise