Oggi
percepite qualcosa di strano nell'aria? Gli uccellini cinguettano e volteggiano
nel cielo terso in modo oltraggioso? La gente vi sorride e tutto vi sembra
contagiato da un'incontenibile quanto stucchevole voglia di vivere? Bene,
allora chiudete gli occhi, lasciate la luce fuori ed immergetevi nel vostro
mondo di oscurità interiore.
Oggi parliamo degli austriaci Dornenreich, che in realtà non sono
"totale oscurità" in quanto il loro black metal arioso ed atmosferico, portatore di intimità e umori
ancestrali, possiede anche risvolti luminosi. Il loro è un black metal di
cuore, e come tutto il black metal di cuore è anche soleggiato, come soleggiata
può essere una gelida mattinata d'inverno. Eppure vederli dal vivo in un set totalmente acustico, sotto le volte
anguste di una piccola chiesa, al chiarore di soli due faretti rossi puntanti
sui volti dei componenti della band, è stata una delle esperienze più oscure e
profonde che abbia vissuto ultimamente a livello musicale. E non solo…
Parto dal presupposto che ho conosciuto la band
direttamente sugli assi del "palcoscenico", attirato solamente dal
nome e dalla location (la suggestiva St Pancras Old Church). Colpito dalla performance tenutasi lo scorso 16 febbraio, di cui poi diremo, mi sono
dunque andato ad ascoltare stralci dalla discografia della band, rimanendo in
realtà un po’ deluso. Ma procediamo con calma.
Alla voce Dornenreich Wikipedia recita:
"Inizialmente dediti al black metal
melodico, sono recentemente passati a sonorità
ambient e neofolk". Nella
sua immediatezza Wikipedia coglie nel segno, sebbene sia doveroso rettificare
che il percorso degli austriaci non è stato lineare (da A a B per intenderci), ma che le due componenti (metal e folk)
hanno da sempre convissuto, integrandosi ed alternandosi, di volta in volta,
nel ruolo di protagonista. Il background paganeggiante e il forte
radicamento nella cultura
tradizionale della propria terra (l'Austria di sponda
tirolese) ha reso coerente ed armonica la compresenza di queste due anime, come
del resto è sempre accaduto nel black metal più ispirato e basato su valori
profondamente sentiti.
Tutto farebbe dunque pensare ad una band
imprescindibile, se vi piace il black metal ovviamente, ma purtroppo non è
così, in quanto i Nostri arrancano ad elevarsi al di sopra di uno status di
realtà di nicchia. Permane infatti un certo alone di cialtroneria in tutti i
loro lavori, una trascuratezza che un po' intacca lo smalto di una musica
sicuramente originale e il più delle volte davvero ispirata. Musica
d'atmosfera, potremmo dire, e se la vogliamo definire ambient non lo è nel
senso canonico del termine, bensì nell'attitudine
contemplativa e "pittorica" di certi passaggi.
Forza e debolezza dei Dornenreich, potremmo
concludere, è una scrittura disordinata,
che porta fascino ma anche irritazione. A salvare i Dornenreich in corner ogni volta è una sorta di irrazionalità compositiva che rende i
brani imprevedibili, in parte sconclusionati, ma anche insaporiti da intuizioni
a tutti gli effetti vincenti e pervasi da un suggestivo velo di introspezione.
Paradossalmente è nei primi album che i Nostri
mostrano maggiore raziocinio: album come "Nicht um zu Sterben" (1997), "Bitter ist's dem Tod zu Dienen" (1999) e soprattutto "Her von Welken Nachten" (2001)
rappresentano una bella progressione stilistica che vede andare a braccetto
potenza e ricerca melodica: l'apporto di tastiere conferisce un alone sinfonico
a brani formalmente ben strutturati e dal piglio progressivo, sempre pervasi da
un sopraffino gusto per le divagazioni folk. Eviga (chitarra, basso, voce), Valnes
(tastiere) e Gilvan (batteria)
mostrano grande impegno e probabilmente l'affinità di intenti con gli Empyrium (altri maestri nel coniugare
black e folk) valse loro il contratto con la prestigiosa Prophecy. Per quanto ci riguarda, il loro approccio era ancora
troppo massimalista per rapirci definitivamente il cuore.
Con l'accoppiata "Hexenwind" (2005) e "Durch
den Traum" (2006), i miei preferiti, si compie un passo in avanti ed al
tempo stesso uno indietro: da un lato viene intrapreso un percorso di ricerca
identitaria che avrebbe epurato il sound dei
Nostri dalle pacchianerie sinfoniche che ancora infestavano gli album
precedenti, accantonando definitivamente un piglio teatrale spesso fuori luogo
e i leziosi passaggi che guardavano ancora alle architetture imbastite nei
primi lavori degli Opeth. Con questa
nuova fase i Nostri preferirono concentrarsi sull'espressione pura, senza
sovrastrutture, di emozioni fortemente sentite, che poi, a guardar bene, è la
cosa più importante, nella musica e nell'arte in generale. Dall'altro,
tuttavia, è come se il trio avesse smarrito la bussola, seminando a caso idee
in brani dispersivi e privi di struttura, fatti di pieni e di vuoti, riff in tremolo ed arpeggi, voci pulite
e screaming, metal, folk, darkwave ed
ambient senza logica apparente.
Può capitare infatti che un brano, per esempio,
possa partire bene, con arpeggi evocativi ed una suggestiva voce sussurrante;
poi però ecco che subentrano sparate di chitarra al limite del flamenco, oppure
è la noia ad intervenire, visto che non è infrequente che un brano si protragga
per nove minuti senza che accada niente di rilevante, magari con quello stesso
sussurro trascinato stucchevolmente fino alla fine. Le parti folk, in
particolare, risentono dell'influsso tirolese, con momenti concitati e vivaci
che a tratti fanno molto “sagra di paese” (siamo comunque lontani da certo folk
da osteria che va per la maggiore nel nord Europa). Prendere o lasciare: io prendo, in quanto fra questi solchi ho
ritrovato amichevoli sensazioni ed una genuinità che mi hanno riportato alla mente gli Agalloch dei primi album.
Se dovessi tuttavia instradare un neofita sulla
via che conduce ai Dornenreich suggerirei piuttosto gli ultimi lavori. Per
quanto riguarda il fronte acustico citerei sicuramente "In Luft Geritzt", del 2008, primo
esperimento interamente folk che vide la formazione ristretta a due soli membri:
Eviga (chitarra e voce) e Inve (violino, collaboratore della band
fin dal 2006). Un album con i suoi limiti e sicuramente discutibile in certe scelte
(per esempio l’utilizzo dello screaming
sul tessuto acustico), ma che ad oggi costituisce il parto più brillante della
band per quanto riguarda il lato folk. Migliore dunque dell’analogo esperimento
compiuto con "Freiheit",
del 2014, e di "Du Wilde Liebe Sei",
che deve ancora uscire (il mio giudizio su di esso si basa sul materiale che ho
avuto modo di sentire in anteprima dal vivo e tramite il teaser disponibile in rete).
Sul versante elettrico, invece, caldeggerei
l'ascolto di "Flammentriebe"
(del 2011), che vede il ritorno dietro alle pelli dal batterista storico Gilvan: un album violentissimo,
tostissimo e supportato finalmente da suoni adeguati, rischiarato sovente dal
violino (ormai elemento indispensabile nel Dornenreich
sound) e dalle inevitabili chitarre acustiche. C’è da dire che le cose qui migliorano
notevolmente, soprattutto quando i nostri suonano battaglieri ed implacabili,
ricordando (a noi della vecchia scuola) la ruvida epicità dei primi Enslaved e certe prelibatezze invernali
degli Immortal.
Insomma, nel complesso i Dornenreich non ci
dispiacciono, dimostrando onestà e continua voglia di sperimentare, ma dal
vivo, personalmente parlando, è tutta un'altra storia....