Il 2016
non passerà certo alla storia come l'anno più significativo dell'heavy metal,
nonostante il suo "aspetto numerico" che poteva far presagire magiche
ricorrenze.
Nell'anno appena trascorso le celebrazioni si sono infatti inseguite famelicamente: abbiamo salutato i
quarant'anni dall'uscita di album epocali come "Rising" dei Rainbow
e "Sad Wings of Destiny" dei Judas Priest, pubblicati
nel 1976, anno da molti visto come fondamentale per l'evoluzione del
metal nelle sue forme classiche. Si è festeggiato i trent'anni di "Master
of Puppets" e "Reign in Blood": era il 1986, l'anno d'oro del thrash.
E vent'anni tondi tondi ci hanno separato da "Roots" dei Sepultura,
una delle opere più significative di quel metal "moderno" che
intendeva emanciparsi con forza dalle sonorità classiche: un movimento ben
rappresentato anche da "Aenima" dei Tool, "Through
Silver in Blood" dei Neurosis e "Filosofem" di
Burzum, che, sempre nel 1996, avrebbero aperto le porte rispettivamente
a post-metal, post-hardcore e post-black.
1976,
1986,
1996: tre snodi nevralgici collocati a scadenza
rigorosamente decennale lungo il cammino evolutivo del metal. E se il
2006,
nel suo piccolo, aveva contribuito alla “causa” con ottimi esemplari in cui le
sonorità post, avviate dieci anni prima, avevano raggiunto la piena maturità (“
Blood
Mountain” dei
Mastodon, “
Ashes Against the Grain” degli
Agalloch,
“
In the Absence of Truth” degli
Isis, “
Ruun” degli
Enslaved,
“
Diadem of 12 Stars” dei
Wolves in the Throne Room, “
Silver”
dei
Jesu, “
Altar” di
Sunn O))) &
Boris), il
2016 a parere del sottoscritto,
che nutre ben poche illusioni in merito al
futuro del metal, ha saputo offrire poco
o nulla da tramandare ai posteri.