Ventinovesima puntata: Ea – “Ea” (2012)
E’ strano pensare che al mondo ci siano persone che venderebbero l’anima per dieci minuti di notorietà ed altre invece che trincerano il loro operato dietro al più assoluto anonimato. Quest'ultimo è il caso degli
Ea, di cui non si sa nulla, nemmeno da dove provengano. Si ipotizza Russia, Stati Uniti, persino Antartide (così riporta
Metal Archives), ma a parte quest'ultima cazzata, l'
endorsement della
Solitude Productions (nota etichetta russa che assiste principalmente band russe nell'esprimere la propria vocazione per il
funeral doom) farebbe pensare che questi oscuri figuri siano proprio di nazionalità russa.
L'origine e la collocazione geografica, in verità, non sono l'unico elemento di mistero che avvolge gli Ea, in quanto anche per tutto il resto le informazioni sul loro conto e sui loro album sono assai vaghe: booklet privi di note accompagnano i loro lavori, i testi sono ignoti e pare che persino la lingua utilizzata sia di loro invenzione, sebbene, sempre secondo Metal Archives, i testi dovrebbero essere redatti in una lingua morta ricostruita attraverso accorte metodologie archeologiche. Aspetto, questo, che non turba certo i nostri sonni: se anche fossero stati scritti in italiano dall'Accademia della Crusca stessa non ci avremmo comunque capito una mazza...
Con “Ea”, quarto album in studio, i Nostri toccano l’apice del loro ermetismo, rinunciando persino a brani e titoli e presentandosi con un'unica composizione di quarantasette minuti che porta semplicemente il nome della band. Quanto a noi, siamo ben lieti almeno per una volta di non dover stare a trascrivere nomi di musicisti e titoli, ma siamo anche consapevoli che tutto questo nel suo insieme (funeral doom, lingue inventate, brani di quasi un’ora di durata ecc.) possa spaventare chi si dovesse approcciare alla band per la prima volta...