La vita, dopo il trauma della nascita, è una fame; una fame di vita. E la vita che l'uomo avrà per sfamarsi coincide con un processo di morte. La vita è la celebrazione del proprio funerale.
La liturgia del funerale è l'allegoria della vita, e non della sua conclusione. Il funerale inizia quando il cuore inizia a battere.
In questo caso i Marduk si allineano con la tradizione del pensiero sulla morte, il topos del memento-mori, ovvero quelle forme di espressione pittorica, grafica e poetica che esaltano la consapevolezza della morte come antidoto all'attaccamento alla caducità della vita. A differenza del retroterra cristiano che solitamente sta dietro il monito del “ricorda che devi morire”, i Marduk invece propongono un credo nichilista, a-teistico: il nostro Dio è la morte, la nostra fede il funerale.
"Memento Mori" è un concept album che illustra sarcasticamente il destino di mortalità dell'uomo come unica “promessa” di un qualsiasi Dio pensabile. La mortalità e la vitalità umana sono la stessa cosa, e il funerale diviene il percorso di vita stesso, con tutta la sua anticipazione di caducità e decomposizione finale. Il funerale è un corpo, articolato in un organo centrale, un cuore che lo alimenta, un fluido che lo pervade e lo anima.
Il Memento è rivolto, parallelamente, all'uomo consapevole e a quello credente, che i Marduk maltrattano in veste di profeti di una contro-rivelazione, quella dell'assenza di Dio.
Sulla copertina campeggia una figura portatrice di morte, una “falciatrice”, che però coincide con la figura di un profeta alato. Solitamente, nell'iconografia del Memento-mori si distinguono le figure divine (come gli angioletti) e la morte, quasi una divinità del non-divino, fatta di ossa, simulacro della vita a cui i mortali sono così inutilmente affezionati. La separazione però ricorda la presenza di un aldilà dopo lo svolgimento della vita, per cui – tolta l'apparente crudeltà della morte, che semplicemente è crudele in quanto esiste, ed è crudele per chi non crede – nel momento in cui la vita si disfa, emerge la promessa della vita eterna. Non per i Marduk, e per il death in generale.
La struttura del disco inizia subito dal “cuore” del funerale, e dal sangue, cioè il corpo (il pane e il vino dell'eucarestia, che soddisfano la fame e la sete di funerale). Quindi si passa al luogo che accoglierà il corpo in trasmutazione, la bara, e ai suoi abitanti, i vermi, che simboleggiano il trionfo della vita, poiché nuove forme che traggono nutrimento da quella morta. L'epilogo con il post-mortem surreale della marcia trionfale delle ossa, e la trasfigurazione della vita-funerale del singolo individuo in una visione globale della vita-funerale dell'umanità intera ("Red Tree of Blood"). In mezzo il brano rivelatore del significato anti-religioso, e cioè "Charlatan".
Il mistero funebre indica che la vita finisce quando finisce il tempo della sua forma e l'unica religione è quindi quella della continuità della materia, attraverso il disfacimento della sua forma più recente. Il paesaggio funebre è umanizzato, compresi gli elementi inanimati, come la bara e la tomba. La tomba è la lingua, una bocca aperta che scandisce un messaggio universale tra morti e vivi “Noi fummo quel che voi siete; voi sarete quel che noi siamo”.
In un impeto anti-religioso e quindi anche anti-specista, il mondo non è il pianeta donato all'uomo, ma un “globo di mosche, trono di topi”, in cui la vita prende forma umana come forma di vermi, senza mostrare di prediligere la prima.
L'intero “corpo funebre” è allargato dall'individuo alla visione di un corpo dell'umanità, e della storia dell'umanità, l'Albero di Sangue (ramificato in orizzontale e in verticale, nello spazio e nel tempo); da albero intero di vasi sanguigni da cui pendono le membra e gli organi, ad un albero “esternalizzato” alla cui linfa attingono avidamente i poveri mortali illusi di poter sfuggire alla morte. La descrizione di questi uomini-sanguisuga è uno dei momenti più disturbanti dell'intero testo: la morte falcia via gli arti agli uomini mentre succhiano il sangue della vita per il tempo che è loro concesso, impegnati nella loro vana opera di raggiungere scopi grandi, o lasciare il segno nella storia. Gli uomini possono sfogarsi nell'“intagliare i loro simboli nel libro dei ventri, e scrivere i loro nomi sugli alberi delle vene”, finché la falce interromperà la loro linea incompiuta. In altre parole, gli uomini si illudano pure che la loro nascita sia un segno importante per qualcosa o qualcuno (il libro dei ventri, cioè delle nascite), e che il loro nome sia dato a qualche opera importante (l'albero delle vene, dove in realtà si disperde nel flusso del sangue).
La bara è il luogo che accoglie la morte, dove “la fame del funerale e la sete del funerale si incontrano”. La tomba è il ventre del funerale, dove la vita ha avuto origine e dove ritorna, e il frutto del ventre suo è la bara. Il frutto della tomba, la bara, dà origine alla vita, in un ciclo eterno: il nettare della morte, ricavato dal frutto del funerale (la bara), scorre e dà vita: esso unisce la terra da cui deriva il frutto all'uomo, che sulla terra vive (ovvero muore). La morte è partorita come un figlio dalla campagna che suona a morto, paragonata ad un “utero gonfio pronto a dare alla luce”. La morte di ogni uomo non si limita a generare un frutto, che a sua volta darà nutrimento ad altri, ma essa stessa è paragonata alla luce di una torcia che è inclinata verso il basso per accendere una lanterna, “la lanterna sepolcrale del mio cuore”.
"Charlatan" è un attacco frontale contro la figura del profeta e del credente, unite in un'unica malattia spirituale. Abramo è indicato come l'arci-serpente, radice velenosa, il verbo divino come “bocca piena di sporco”, gli angeli sono messaggeri infidi di bugie. Se la morte taglia la linea della vita, che l'uomo traccia come se non dovesse aver fine, è anche vero che taglia contestualmente anche la linea delle bugie e il laccio che lega l'uomo alla superstizione del “Dio della polvere” e della sua teoria di profeti eredi di Abramo. La pala che copre di terra la bara “batte” lo scettro, nel duplice significato di vanità umana (lo scettro del re) e di bugia di Dio (lo scettro del profeta). L'unica “promessa” che Dio può fare all'uomo è la stessa che ha fatto a suo figlio in croce, cioè una tomba. La vera morte spirituale non risiede nella naturale, e quindi sacra, ciclicità della vita nella trasmutazione della sua forma, fuori da ogni centralità dell'uomo e delle sue vicende; ma nell'illusione della promessa divina. Chi vive della promessa divina non celebra il proprio funerale, ovvero la propria vita. La figura in copertina riassume questa scelta, laddove indica da una parte l'albero secco (la non-vita) e dall'altra quello pregno di sangue (la vita, il sangue del funerale). Il paragone tra i due non indica la differenza tra vita e morte (assenza o presenza di sangue) come potrebbe apparire, ma tra due vite: quella dell'anti-religioso che “è” essa stessa il sangue; e quella del religioso che invece si abbuffa di sangue o cerca di non usarlo (che è la stessa cosa), ossessionata dall'idea della morte che verrà, mentre cerca di contenere questa paura tramite una fede in un altro mondo.
Come esempio storico della deriva spirituale, i Marduk rievocano la storia di Cristina di Svezia (1626-1689), in “Year of the Maggot”. Alla morte del padre, a 6 anni di età (1632), la regina degli sciocchi inizia ufficialmente il suo regno che finisce prematuramente a seguito anche della sua conversione al cattolicesimo. Conversione che la porta fino a Roma, con tanto di onorificenze e scritta commemorativa del suo ingresso in Vaticano alla Porta del Popolo. Il cardinale citato nel testo è probabilmente quello con cui la regina si alleò in Italia per trame di tipo politico (Decio Azzolino). Citata la data della sua morte (1689). Rimane oscuro almeno a me, totalmente impreparato sulla storia della Svezia, perché i Marduk isolino soltanto questa finestra storica di cattolicesimo in una Svezia comunque protestante, e quindi non laica, come fonte di rovina spirituale. L'ex regina fu sepolta in tre bare (di piombo, di cipresso e di quercia), agghindata in maniera terrificante: maschera d'argento, mantello e...lo scettro. Un chiaro segno di come alla fine l'Alfiera della Fede sia semplicemente un simbolo di esorcismo della morte che è nascosta all'occhio degli altri, nell'isteria di non ammettere la morte di una donna ricca, potente e ammirata (oltre che con alcuni meriti oggettivi). Le tre bare a moltiplicare le opzioni che nella morte sono una sola, i vestiti a mascherare le ossa e i vermi, lo scettro che dovrebbe vincere sulla pala del becchino.
A cura del Dottore
Post-scriptum. Al di là della grande varietà di metafore e immagini intorno al tema della morte e della decadenza, il tema generale dell'anti-teismo non inizia con questo disco ma può contare su numerosi artisti che si sono espressi in maniera consapevole e sistematica sulla questione, dai Decide agli MGLA. (per approfondimenti, https://www.amazon.com/Creature-del-niente-filosofia-negativa/dp/B099BZ7B1Y).