Ventesima puntata: Nyktalgia - “Nyktalgia” (2004)
Quando abbiamo parlato di "The Funeral of Being" degli Xasthur abbiamo prontamente fatto notare come il logo della band in rosso nella copertina costituisse la prima nota di colore incontrata dopo una spietata sequela di copertine in bianco e nero. I tedeschi Nyktalgia per il loro debutto discografico optano addirittura per tonalità bluastre, ma stiano tranquilli i più impressionabili: 'sta botta di colore in copertina è compensata dal soggetto della stessa, che potremmo descrivere come "tizio che si spara in bocca su allegro sfondo forestale".
La nictalgia, per chi se lo chiedesse, è un dolore del corpo che sopraggiunge la notte...
I primi due brani sono un campionario di belle idee che si susseguono con misurata generosità tanto da far risultare digeribili durate assai pretenziose (rispettivamente undici e dieci minuti). "Misere Nobis” procede per tempi medi che valorizzano la vocazione melodica delle sei corde, fra rancidi arpeggi e temi che si ripetono con squisita ossessività. Anche senza troppa dedizione l’ascoltatore non potrà non far caso a linee melodiche che calamitano l'attenzione in modo prepotente fra crude distorsioni e i colpi secchi di una batteria che supera l’approccio burzumiano quanto a dinamismo e capacità di gestire brani lunghi e ricchi di intuizioni. Quanto alla voce, Skjeld è sintonizzato sulla "modalità cornacchia" e, manco a volerlo far troppo pesare, sembra di sentire il Vikernes ventenne. “Lamento Larmoyant” non si ripete e parte a tutta birra con ritmi sostenuti che trasportano un riffone incalzante anch’esso memore del Burzum più cruento. Ma al di là del bel riff portante, permane la medesima scrittura fantasiosa ed animata costantemente da una ispirazione melodica sopra la media.
Ma quando pensi di aver ormai inquadrato i Nyktalgia, ci pensa una violenta seconda metà dell'album a rimettere tutto in discussione. “Cold Void” (la traccia più breve - "soli" sette minuti e mezzo) si avventa sull’ascoltatore con inaspettata brutalità, picchiando duro e mostrando il lato più ferale della band. Solo in un secondo momento i tempi decelereranno per riportarci verso i lidi più meditativi delle prime due tracce. Quello che poteva essere un episodio isolato (il classico brano "movimentato" che si butta nel mucchio per scuotere dal torpore) è in verità l’introduzione ad una nuova modalità operativa, visto che anche la conclusiva “Exitus Letalis” gioca la carta della velocità (da rimarcare l'intenso incipit del brano che rappresenta uno dei rari momenti in cui si hanno due chitarre in contemporanea a giocare sul contrasto fra un riff selvaggio da un lato ed un sofferente arpeggio dall'altro). Nei dodici minuti che seguono non si rinuncia ad un discreto dinamismo che rende scorrevole anche questo ultimo tour de force depressivo. Da segnalare l’angosciante fase centrale in cui i ritmi calano, anzi, la batteria si eclissa del tutto e sale in cattedra Skjeld con acuti da mal di denti, di quel mal di denti che ti vien voglia di andare in garage, prendere le prime pinze che ti capitano a tiro e togliere molari a caso (come se a Vikernes strizzassero le palle, tanto per rendere l'idea...). Indubbiamente è questo un momento da perfetto manuale del DBM.
I testi, a cura dei fondatori/compositori Malfeitor e Winterheart, potrebbero essere intesi come un lungo soliloquio inteso a descrivere il dolore che comporta il vivere e il conforto che l’idea di togliersi la vita possa dare ad un depresso all’ultimo stadio. Come al solito niente di sconvolgente: come già visto in molti altri casi, il carattere didascalico dei versi (non solo estranei ad ambizioni poetiche, ma anche assai banali) non costituiscono un reale valore aggiunto ad una musica che da sola è in grado di trasmettere vivide emozioni.
I Nyktalgia si scioglieranno qualche anno dopo nonostante il supporto di una etichetta forte sul fronte del metal estremo come la No Colours Records e il rilascio di due promettenti album. Il viaggio della band si sarebbe infatti concluso nel 2008 con la pubblicazione dell'opera seconda “Peisithanatos” (2008). Per chi se lo chiedesse, Peisithanatos (dal greco “Persuadimorte”) era il soprannome del filosofo Egesia di Cirene, eutanasista del quarto secolo avanti Cristo bandito dalla comunità per il suo messaggio nichilista (tanto che diversi suoi discepoli finirono per togliersi la vita): un titolo che andava a confermare la missione artistica della band. Ce ne faremo una ragione.
Ma non si smaterializzeranno nell'oblio i tre componenti: Winterheart e Skjeld proseguiranno il loro cammino negli Heimdalls Wacht, pagan black metal band tutt’oggi attiva, mentre troveremo ancora Winterheart (con Skjeld e Malfeitor a fare da ospiti) nello sconsolatissimo "Dwelling Lifeless" degli Sterbend, altra realtà del DBM degna di attenzione e a cui dedicheremo ovviamente una puntata della nostra rassegna...
Ah, e stanotte non dimenticatevi la tachipirina che poi non dormite, eh?