"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

12 lug 2024

VIAGGIO NEL DEPRESSIVE BLACK METAL: LIFE IS PAIN




Ventisettesima puntata: Life Is Pain - "Bloody Melancholy" (2006) 

Fottiamocene ancora una volta della regola aurea del "trattiamo solo full-lenght" ed andiamo a rispolverare l'unica demo rilasciata dai Life Is Pain: "Bloody Melancholy" è infatti un lavoro che non potevamo assolutamente ignorare nella nostra rassegna sul depressive black metal

Questa release, stampata in sole 500 copie, è divenuta nel tempo un autentico oggetto di culto nonché uno dei titoli favoriti dagli appassionati del depressive. E noi concordiamo alla grande con gli addetti ai lavori, dato che in questi 24 minuti il genere si esprime ad altissimi livelli. 

Anzitutto nei Life Is Pain non ci suona chiunque: si tratta di un progetto formato da due personaggi che sono da indicare fra i più prolifici ed esposti negli ambienti del depressive, e che non a caso ritroveremo più avanti nella nostra rassegna alla guida di diversi progetti. Uno è lo svedese Kim Carlsson, che abbiamo appena conosciuto nella scorsa puntata con i Lifelover e che non ci siamo peritati a definire un genietto del depressive, considerato l'impegno che da sempre profonde per la causa, sia come produttore che come musicista (da segnalare almeno gli Hypothermia di cui parleremo fra qualche puntata). 

Al suo fianco troviamo Trist (un altro che ha un nome che è un programma d'intenti), musicista della repubblica ceca di cui non si sa molto se non che è un polistrumentista dalla grande ispirazione: classe 1988, nome di battesimo (...) Jan, Trist è uno che nella sua breve militanza "nera" ha lasciato indubbiamente il segno. Incontreremo nuovamente costui nella puntata che dedicheremo ai Trist, suo progetto personale. 

Dall'unione di questi due talenti, con Carlsson dietro al microfono e Trist ad occuparsi di tutto il resto (inclusa la stesura di musiche e testi), scaturiranno i tre brani di "Bloody Melancholy", operazione corredata dall'immancabile copertina con braccio tagliuzzato. Musicisti, nome nella band, titolo e copertina: tutto rende iconico ed imprescindibile questa opera. Ad aggiungere gloria alla gloria la leggenda secondo cui i testi sarebbero stati scritti in una struttura psichiatrica ("White rooms and walls, bars in windows, taste for blood, depression, oppressive atmosphere of closed space, tears and despair" recitano i versi iniziali dell'opener "Oppressive Nights in Mental Asylum"), dove, a questo punto, si presuppone vi abbia soggiornato lo stesso Trist, paroliere della band (ma su questo personalmente non darei troppo peso). 

Importante rimarcare che i Life Is Pain non nascevano come side-project di due artisti affermati, in quanto i Nostri all'epoca erano in una fase primordiale della loro carriera, divisi fra diversi progetti che ancora si muovevano nella dimensione della demo. Life Is Pain era una delle tante vie che i due artisti avrebbero potuto percorrere. Di fatto i Lifelover avevano esordito con il mitico "Pulver" solo un mese prima, gli Hipothermia avrebbero dato alle stampe il loro primo full-lenght qualche mese dopo e, sempre nello stesso anno, il 2006, avrebbero esordito discograficamente anche i Trist. Quindi i Life Is Pain c'erano, combattevano ad armi pari con gli altri progetti di Carlsson e Trist; solo si sarebbero estinti sul nascere, coerentemente con lo spirito di auto-annientamento che li aveva generati (ma non avrebbero avuto miglior destino né Lifelover né Trist, che sarebbero andati incontro alla dissoluzione qualche anno dopo, mentre gli Hyphotermia sono teoricamente in vita sebbene siano anni che non si sente parlare di loro).   

Come descrivere, dopo questa lunga premessa, la musica contenuta in "Bloody Melancholy"? Si tratta di un depressive maturo che si distacca dalle radici burzumiane, sebbene quello sia l'evidente punto di partenza. È, in altre parole, un depressive ideal-tipico che viaggia su coordinate assai distanti dalla matrice classica del black metal. È infatti un black intimo, che non va mai veloce, dai contorni cantautoriali (espressione che abbiamo usato in più circostanze nella nostra rassegna), ma anche sfrontato, con quell'attitudine punk che, se accompagnata da una grande ispirazione, fa accadere miracoli. Del depressive, e non del black metal, l'opera incarna infine sia lo spirito che i suoni: confusi, scomposti ed artefatti, carichi di quella follia che è tipica del depressive svedese ed in particolare dei progetti di Carlsson. 

Carlsson. Il suo canto, acuminato e lamentoso, è carico di una angoscia che a tratti mette i brividi, se non malumore e disagio: aspetto che lo rende indubbiamente un cantante sopra le righe, ma anche uno dei migliori interpreti del settore. Intorno, Trist gli ritaglia un involucro perfetto, fatto di arpeggi dolenti, riff ossessivi e melodie di grande impatto emotivo, il tutto però reso con quella sensazione da "buona la prima", quel piglio situazionista, improvvisatore ed estemporaneo che rende magiche le soluzioni apparentemente più semplici del mondo. 

L'opera potrebbe essere vista come una lunga suite divisa in tre movimenti, ognuna con la sua identità ma tutte e tre discendenti lungo i contorni della medesima spirale che sprofonda e poi risale. Un'opera simmetrica, che si apre come si chiude, dopo aver attraversato gli abissi della title-track. Difficile spiegarlo a parole, ma i brani sembrano godere del contrasto di due dinamiche contrastanti: un moto ricorsivo, che ci riporta ogni volta dannatamente da  capo, ed un moto verticale, che a tratti scavalca, ma non sconfigge, l'Eterno Ritorno di cui i brani sembrano essere imbevuti. Un modus operandi che gioca su due direttrici: l'ossessività dei riff (imponente, dominante) e le ritmiche, paranoiche anch'esse, ma capaci di quelle variazioni che, solo alla fine, ti fanno capire che sei tornato al punto di partenza. Il tutto all'insegna del minimalismo più esasperato: pochi riff ripetuti allo sfinimento, variazioni ritmiche ridotte all'osso. 

Il supplizio ha inizio con la già citata "Oppressive Nights in Mental Asylum", un primo girone infernale di otto minuti che introduce l'ascoltatore nelle stanze e nei corridoi di una vita insensata: tempi lenti e chitarre blueseggianti sferzano in una danza ipnotica che non annoia un istante ed esalta laddove timide variazioni vengono centellinate per massimizzare la resa. La title-track è una ballad elettrica per sole chitarre e voce in cui il medesimo tema melodico viene ripetuto per sei infiniti minuti mentre gli ululati di Carlsson slabbrano e decompongono il lamento vikernesiano. Il brano è un inno alla resa, i toni lascivi e dimessi accompagnano un testo che nella sua semplicità è devastante: 

"I can't face to solar world, I'm too weak, melancholy buried the will. 
Razors balance my swings, blood takes away the weight of existence.
Depressive emotions, anxiety, negativism, a time to mourning and bleeding arrived. 
Heart groans, life is pain. I fell into the sadness, without strength. 
Scars stay as a silent remembrance, as a picture of my painful soul". 

"Negativity", nel corso dei suoi dolenti dieci minuti, ci riporta alle dinamiche del primo brano, forse con maggiore decisione, sfoderando tempi più sostenuti e rifrangendosi ai limiti della darkwave e del blackgaze: ambientazioni tanto care al buon Trist solista, ma di certo nemmeno sgradite a Carlsson, i cui progetti più conosciuti hanno spesso dimostrato una certa insofferenza per gli schemi del black metal, sforando volentieri oltre i confini del post-rock e del post-punk. 

"No way out, solitude showed the direction, monotonous paths toward death and nothingness, funeral came with birth" sono gli ultimi fatali versi, quelli con cui si conclude questo breve ma significativo libello di arte "depressiva": ai Life Is Pain sono bastati 24 minuti per entrare nella storia del genere, peccato solo che il duo non sia arrivato a confezionare un album vero e proprio. Poco dopo la registrazione della demo, infatti, Carlsson avrebbe deciso di chiudere quell'esperienza per potersi dedicare a tempo pieno ai Lifelover. 

Ma chissà, forse è meglio così: come i Sex Pistols sono andati incontro alla loro fine precoce tenendo fede nei fatti al loro messaggio nichilista, anche la follia autodistruttiva di questa musica ha trovato la sublimazione definitiva in un'unica violenta fiammata, per poi rimanere un accenno incompiuto, ma dalla grande eco...