“Sii come lo scoglio su cui si
infrangono incessantemente i flutti: saldo, immobile e intorno ad esso finisce
per placarsi il ribollire delle acque”. (Marco Aurelio – “Colloqui con se stesso”, 180 d.C.)
Ambient black, blackened doom, black ‘n’ roll,
blackened death, melodic black, symphonic black, atmospheric black, black
industrial, folk black, pagan black, viking black, blackgaze, depressive
black, psychedelic black, National Socialist Black, blackened grind,
avant-garde black. Post-black.
Scusate se me ne sono scordato qualcuno. Di filone del Black, intendo.
Lo abbiamo sostenuto da sempre:
il black è il sottogenere metal che, più di tutti, riesce, con risultati
eccezionali, a fagocitare qualsiasi tipo di altro stilema, metal e non. E
questo senza snaturarsi nella sua essenza metafisico-spirituale.
Ma dopo aver ascoltato loro, o per meglio dire “lui” (posto che si tratta di una one man band) insomma, i cagliaritani Solitvdo, a me è parso che mancasse qualcosa in quell'elenco.
Così
ho coniato una definizione per descrivere un nuovo filone black: quello ‘apocalittico’.
Folgorati. In Redazione siamo
rimasti tutti folgorati dai 27’ di “Hegemonikon”. Un album non solo ispirato ma, credeteci, esaltante.
Perché il black proposto da DM, unico dato in nostro possesso sul
mastermind che sta dietro al progetto sardo nato nel 2011 (e giunto qui già al
quarto full lenght), è un black come non lo avevamo mai sentito prima. Un apocalyptic
black, appunto.
Sono fondamentalmente due i
motivi che mi spingono a questa definizione.
In primis, i temi affrontati nel
disco sono sovrapponibili a quello che il nostro Mementomori, massimo esperto
europeo di folk apocalittico, aveva descritto nell’introduzione alla Rassegna ad esso dedicato sul nostro Blog. Introduzione in cui potevamo leggere: “I temi […] sono escatologici, ovvero
riflettono sulla morte e sulla fine del mondo. Il sapore delle scarne
ballate […] è quello della sconfitta, dell'evocazione di un decadimento inarrestabile ed inevitabile, di cui
si può essere solo testimoni impotenti. Una
fine da affrontare a testa alta, forti della propria integrità, ma anche
consapevoli dell’irreversibilità del processo di disfacimento in atto. Da
qui l'elegia per un mondo che non
c'è più, il culto della morte, l’ultimo canto solitario innanzi
alla disgregazione di simboli e valori della Vecchia Europa”.
In relazione a questa dimensione
concettuale, DM, nei suoi testi, non le manda a dire, enunciando la
poetica che sottende il disco dal primo all’ultimo verso.
Innanzitutto, cos’è l’hegemonikon? In sintesi, potremmo
definirlo, sulla scorta del pensiero stoico greco di quasi 2500 anni fa, come
la parte dell’animo umano più importante
da coltivare; quella che, appunto, deve (dovrebbe) essere 'egemonica' rispetto agli altri sensi e, così,
dirigerli. A tal proposito, in “Hegemonikon I”, folgorante opener dell’album, si
declama: ‘Bastare a se stessi / smetterai di temere se smetterai di sperare /
Risuona così la voce divina dell’uomo / librandosi in alto, suprema attitudine
sovrana”.
Ma è nella sezione centrale del
disco, occupata dalle due parti di “Vita Est Proelium” (La vita è battaglia) che la poetica apocalittica di DM marca con
forza il ruolo, nel quotidiano, dell’Uomo Egemonico. Un Uomo cosciente
del degrado, spirituale e materiale, che lo circonda (“Il corpo non è altro che
materia in putrefazione” e “ciò che afferma la mente è sogno e illusione”).
“Cosa resta, ordunque, che dia
protezione?”, visto che “la vita è in rotta e viaggia in terra straniera”, si
chiede il Nostro? Nella sua risposta non c’è spazio, nonostante questo quadro
poco allegro, per la rassegnazione. Con una forza lessicale davvero
impressionante, i Solitvdo danno la loro chiave di lettura sul ruolo dell’Uomo
che si eleva sopra al “belare del gregge”: “Un atleta in lotta nella più nobile
gara / contro vizi e passioni / invitto dalle incertezze […]. “Oggi è da andare
in battaglia / che domani non si sarà più / non vi sia tregua contro la grande Armata
della Morte / Lottare con ardore è già scopo della vita, affrontare il divenire
e la morte dovuta per sorte a ciascuno.”
Il lento incedere della
conclusiva “Hegemonikon II”, caratterizzata da un crescendo sinfonico nella
sua seconda parte (forse il momento più intenso del disco), l’uomo che riesce a
farsi guidare da questo superiore principio direttivo, l’hegemonikon appunto, sarà capace di rigettare passioni, impulsi e
desideri, (manifestazioni spregiate da DM in quanto “gesti vili e privi di
eleganza”) e si ritroverà oltre le linee
nemiche della Morte. Alzando ancora il registro linguistico, DM ribadisce,
in questa memorabile traccia conclusiva, il concetto: “Assurgere hegemonikon, fortezza interiore dell’essere, che da
nessuna mano umana potrà essere assediato o conquistato / come cardine fermo quando tutto intorno trema / scoglio su cui infuria le onde del caos
scatenato.”
Quest’ultimo verso fa il paio con quanto riportato in epigrafe: un pensiero di Marco Aurelio, filosofo stoico e scrittore, ancor prima che Imperatore di Roma. Uno stralcio citato tal quale dai Solitvdo in “Vita Est Proelium I”. Un atteggiamento che DM ritiene ancora oggi, dopo migliaia di anni, valido ad affrontare il malessere che quotidianamente ci assale.
L’idea che sta dietro a tutto il concept e, a detta stessa della band, al progetto dei Solitvdo stessi, è quindi proprio l’hegemonikon, principio
direttivo che incanala la nostra vita, la dota di senso, e la fa fluire con
salutare potenza.
Quanto è, obiettivamente, apocalittico tutto ciò?!
Ma passiamo, ora, all’aspetto
sonoro. Mementomori descriveva il folk apocalittico, in termini ridotti
all’osso, con queste lungimiranti parole: “Se
dovessi spiegare ad un bambino cosa è il folk apocalittico, con tutte le
semplificazioni di questo mondo, direi: immaginati un cantautore con la
chitarra in mano, che indossa una maschera beffarda ed una pesante tuta
mimetica. La sua voce è greve e declamatoria, la sua musica è struggente,
profonda, benché semplicissima: accordi elementari di chitarra acustica,
campionamenti industriali a delineare
nel sottofondo scenari apocalittici”.
Se spogliamo la proposta dei Solitvdo dalla componente black, (peraltro un black elegante e dalla linee melodiche ispiratissime), lo scheletro rimanente del sound. che alterna sapientemente parti bellicose (d'attacco) e altre più ariose e cadenzate (di quiete) è costituito da un accompagnamento di tastiere, atte a creare un fondale musicale epico e tragico, su cui si innestano semplici e lunghe note di un synth che campiona strumenti a fiato che riescono, nella loro tragicità emotiva, a costruire proprio quegli scenari apocalittici di cui sopra. Si veda, a titolo esemplicificativo, lo splendido finale di “Vita est proelium II”, in cui una dolce tromba segna da sola la fine dell’Uomo in battaglia.
Una morte che, come detto sopra, non equivale alla sconfitta. In quanto nella battaglia della Vita, per i Solitvdo, non si tratta di vincere o perdere ma di accettare la propria sorte, lottando e valorizzando esistenzialmente l'atto del combattere nel quotidiano.
Marzialità, asciuttezza, tensione emotiva, austerità, essenzialità.
Leggasi: apocalyptic black metal!
A cura di Morningrise