Proseguiamo la nostra Rassegna sul nuovo 'Nuovo Metal' con altre 10 songs che ci possono guidare nel definire le tendenze in divenire del nostro Genere Preferito.
Toh, ancora prog
metal…la band statunitense, salita agli onori della critica con il capolavoro “Colors”
(2007), si approccia, nella scrittura di questo “Come Ecliptic”, con maggiore
sensibilità seventies. Anche qui la bussola è mash-uppare
(chiedo venia per il neologismo orribile) parti rilassate, distese, dilatate a
sfuriate metal-core, squarci di psichedelia all’elettronica, heavy classico a
prog rock d’annata (Rush e Yes su tutti). Al grido di battaglia: "Nel più ci sta...il più!". Inutile girarci attorno: è un casino
disorientante. Ma con sprazzi di classe pura. E “Famine Wolf” vi rientra
(ma non è la sola; si pensi a un brano clamoroso come “The Coma Machine”). Il
mercato Usa incensa (primi e secondi posti a manetta su diverse classifiche
specializzate). In Europa un po’ meno.
Sarà, questa,
una distinzione geografica da tenere in relazione all’apprezzamento di certe
sonorità veicolate dal ‘nuovo’ metal?
8) “Black Silent Piers” (WHITE WARD – “Futility Report”,
2015)
Dopo tanto prog,
rifacciamoci con del sano black! Dalla martoriata Odessa, in terra ucraina,
arrivano i White Ward che, prima di distaccarsi dalla massa grazie al loro experimental
dalle tinte urbane dei successivi “Love Exchange Failure” e “False Light”,
si erano fatti notare per i 40 minuti dello spettacolare debut “Futility
Report” (ma che bel titolo!). Un blackgaze moderno, arioso in cui il sax di Alexey
Iskimzhi tesse mirabili melodie e il blast beat furioso, solcato dallo
screaming espressivo di Andrew Rodin (poi, ahiloro, fuoriuscito dopo questa esperienza), si placa per lasciar
spazio ora ad una quiete sospesa, ora ad arpeggi sublimi, ora ad assoli
ispiratissimi. È come se l’Ihsahn solista stesse allegramente copulando con gli
Ulver più metropolitani e i Der Weg Einer Freiheit. Difficile da immaginare?
Ascoltate “Black Silent Piers” per capire…
Il metal
‘moderno’ parla anche, decisamente, la lingua dell’est Europa (come vedremo
anche poco più avanti…)
9) “Metanoia” (SCHAMMASCH – “Triangle”,
2016)
In ginocchio sui
ceci chi non conosca, e veneri, gli Schammasch! Dalla Svizzera, mai banale
quando si tratta di metal estremo, arriva la miglior-band-black-del-miglior-black-possibile! Frase forte, lo sappiamo,
ma che ha le fondamenta nella conoscenza dell’accoppiata “Triangle” (2016) – “Hearts of No Light” (2019), due album nei quali i Nostri riescono a reinterpretare
mirabilmente le lezioni di un paio di decenni di black d’avanguardia (dai
Deathspell Omega ai Blut Aus Nord ai connazionali Samael) con una tensione
spirituale (espressa nei testi, nei costumi, nei video) vicina, tanto per dare
un’idea, ai Saviour Machine. A ciò si aggiunga, in onore all’onnipresente
mash-up del metal ‘moderno’, l’alternanza tra sfuriate black a suggestivi
momenti riflessivi che pescano dalla drone, dal dark/ambient e dall’industrial.
“Metanoia” è un brano di 8’ che parte a razzo, pregno di cambi di tempo e con
la voce di Christopher Ruf che, ora dolcemente lamentevole ora in un
oscuro recitar-cantando, rimane sottotraccia.
“I feel the void extending / I feel
the self transcending / Dimensions falling down / beneath the open eye”.
Poesia…
10) “The Paradise Gallows” (INTER
ARMA – “Paradise Gallows”, 2016)
Siamo dalle
parti di una delle tante, possibili, variazioni-sul
tema-neurosisiano…gli Inter Arma, pur tenendo ben in considerazione le
lezioni dei padri come quelle dei figli (Isis, Baroness e Mastodon su
tutti), guardano sia indietro che avanti. Mi spiego: la tradizione post-hardcore
è mantenuta grazie ad un sound tellurico, magniloquente, furioso, titanico (a
partire dagli artwork delle loro covers). Ma la svolta intimista e minimalista
realizzata dai padrini Neurosis nel 2001 con “A Sun That Never Sets”, viene
inglobata dagli americani utilizzando la psichedelia pinkfloydiana, lo stoner e
l’ambient. Ne esce fuori un risultato particolare, come si può ascoltare nella title
track qui selezionata. Se poi si ascoltano i dischi interi della band ci si
accorgerà che gli Inter Arma non temono di innervare queste basi con tanto
altro, comprese reminiscenze black, death e doom (ma si, abbondiamo!) in
uno spirito marcatamente progressivo. Il tutto tenuto a bada da una scrittura
sempre ‘a fuoco’ e da personalità e ispirazioni spiccate.
Più che ‘nuovo’
metal, una sorta di auspicio che queste sonorità lo possano rappresentare per
gli anni a venire…
11) “Portrait of a Headless Man”
(SEPTICFLESH – “Codex Omega”, 2017)
Il death metal,
da genere con ristrettissimi spazi di manovra, si è dimostrato capace, con il
passare delle decadi, di rinnovarsi dall’interno, dando vita a ibridi di
notevole fascino. Anche in Italia abbiamo esempi notevoli in tal senso
(Fleshgod Apocalypse, Hour of Penance su tutti) ma qui vogliamo premiare gli
ellenici Septicflesh, capaci, sin dagli anni ’90 (si pensi a un “A Fallen
Temple” del 1998), di saper contaminare la loro base death pescando dal gothic,
dal folk e, come anche in questo “Codex Omega”, dai sinfonismi orchestrali. Il
tutto calato in tematiche che rimandano alla mitologia d’Oriente. Ne risulta un
mix dai contorni esoterici, oscuri. Fortemente epici. Siamo a uno step
diverso da quello cui ci avevano abituati soluzioni simili in passato (penso
ovviamente ai Therion) in quanto traslati su piani più estremi e meno legati al
metal classico. Le chitarrone ipercompresse, le batterie a ‘pala di elicottero’
e le super-produzioni attente al mixaggio e alla pulizia dei suoni fanno il
resto. Per un prodotto sicuramente ‘sopra le righe’ ma che, così pare, fa
parecchi proseliti tra le giovani schiere di metalheads nate nel Terzo
Millennio…
12) “Fire, Walk With Me” (HARAKIRI FOR THE SKY – “Arson”, 2018)
Come fanno a non piacere gli Harakiri For The Sky?!? Bisognerebbe avere un cuore di ghiaccio per non farseli piacere…Perché?!? Allora, andando in ordine: un monicker stra-evocativo, dalla tipica lunghezza post-rock; copertine ‘naturalistiche’ che rubano subito l’occhio; un cantato intelligibile, né scream né growl; testi dallo spleen depressivo-ma-incazzato (I wish I was kerosene, just to set myself on fire / I wish I was kerosene, I'd burn all we've edified; oppure: Someone I loved once gave me a box full of darkness / It took me years to understand that this too, was a gift) e un sound aggressivo ma non ‘respingente’. Insomma, ‘tosti’ ma iper-melodici, con un bel piano lacrimevole o un arpeggio acustico a fare spesso da intro o da colonna portante del sound; brani lunghi ma ben distinguibili e memorizzabili, dai titoli azzeccatissimi (ad esempio questo Fuoco, cammina con me di lynchiana memoria, dai…quant’è bello!?). Insomma, vi basta per farveli piacere o no?!?
È, in fin dei conti, il metal che si post-rockizza? (O il post-rock che si metallizza?).
Quindi,
prevediamo un gran futuro, più che meritato, per gli HFTS, tra gli alfieri del
‘nuovo’ metal. Anche se è un metal che ti lascia un retrogusto piacevole, che non
fa male e che queste sonorità di stampo post-black, anche se meno levigate,
ma anche meno ‘accomodanti’, aveva già espresso con giganti come Alcest e
Agalloch. E in quelle occasioni si che facevano male all’anima…ma tanto tanto…
13) “Mortification of the Vulgar Sun” (OBSCURA - “Diluvium”, 2018)
Vi ho già detto che Sebastian Lanser è il batterista moderno definitivo? No?!? Ecco, Lanser è il batterista moderno definitivo (per me, insidiato solo da Jamie Saint-Merat degli Ulcerate). E già che ci siamo, affermiamo pure che gli Obscura sono quanto di meglio il death tecnico possa oggi esprimere a livello compositivo ed esecutivo. Certo, arrivare in fondo a un loro disco non è una passeggiata, travolti come si è da una cascata di note sparatissime inframmezzate da stacchi fusion, assoli di heavy classico e ripartenze al fulmicotone. Steffen Kummerer è un chitarrista sensazionale (meno come cantante…) capace, in fase di scrittura, di recuperare tutta la tradizione thrash/death teutonica (Mekong Delta in primis) per incrociarla con l’avant-death di Cynic/Atheist/Pestilence e con le imprescindibili lezioni schuldiner-iane e dei Gorguts di Luc Lemay (che, giusto giusto vent'anni prima, nel 1998 pubblicavano il loro capolavoro..."Obscura", toh!) A dare a Kummerer una grossa mano vi è poi l’altro fenomeno della line-up, quel Linus Klausenitzer al basso che si lancia in arabeschi sinuosi da far cadere la mandibola. Lo stile degli Obscura, replicabile, ha già diversi adepti contemporanei. A partire dai connazionali Alkaloid, messisi in luce quest'anno con l'ottimo "Numen".
Tornando a “Diluvium”, scegliamo il singolo “Mortification of the Vulgar Sun” perchè emblematica di quanto su descritto e perché qui si affacciano pure graditi risvolti opethiani a rendere più vario l’amalgama.
Ma poi, che bel titolo è la Mortificazione del Sole volgare?!?
14) “Spaghetti Forever” (IGORRR – “Savage
Sinusoid”, 2019)
Genialata
o cagata immonda? Provocazione artistica o cialtronata
senza pari? Mr. Gautier Serre è, ad oggi, forse l’avanguardia più
estrema di quel mash-up di cui vi ho ammorbato gli occhi in questa rassegna…personaggio
oltremodo divisivo, il buon Gautier, attivo da quasi 20 anni, fa il salto con
questo “Savage Sinusoid” edito dai lungimiranti tizi della Metal Blade. Bisserà
tre anni dopo con “Spirituality and
Distortion”. Il Nostro, brutalmente, butta assieme death metal ed
elettronica spinta, trip hop e musica barocca, la c.d. breakcore con la jungle,
umori orientaleggianti e la drum ‘n’ bass. Il tutto in un contesto di nonsense provocatorio a livello lirico.
Un marasma rivoltoso, per molti (tra cui il sottoscritto) che però, per chi ha
avuto modo di vederli live, ha il suo fascino. “Spaghetti Forever”, con i suoi
intro e outro arpeggiati, è un valido esempio di quanto su descritto. E non
stupitevi se, ad ascoltarla, comincerete a muovere le chiappe…
Dio ce ne
scampi, ma è possibile che il ‘nuovo’ metal passi anche dalle
sperimentazioni di tanti Igorrr…
15) “Perennial” (JINJER – “Micro”, 2019)
Dopo i White
Ward, ancora Ucraina con una band che ormai ha fatto il botto a livello
planetario. Lo diciamo subito: ‘Tati’ Shmailyuk è un fenomeno di cantante,
capace nel volgere di un millisecondo di passare da un fry scream
brutalissimo a un clean molto espressivo. Era dai tempi di Karin Crisis
dei Crisis che non sentivamo delle doti canore simili in una gentil pulzella. Ma
non si pensi che la band di Donetsk sia salita agli onori della cronaca
solo per la presenza scenica della sua frontwoman classe ‘87 (la quale non
lesina vistosi tatuaggi, anelli al naso, trucco pesantissimo e piercing alla
lingua). No: il giovane quartetto ucraino ha saputo, nel breve volgere di un
lustro, rivisitare la lezione panterosa novantiana alla luce dei loro
figliocci più dotati (su tutti i Lamb of God) e innestare, su questa base
ritmica, un bel po’ di roba (a lode del solito Sacro Mash-Up): djent,
rhythm and blues, elettronica, funk, neo-prog.
“Perennial” è
uno dei loro brani più riusciti, espressione plastica di una delle tendenze di
questo maledetto ‘nuovo’ metal destinate a durare …per i vecchi defenders,
girare alla larga…
16) “Martyrs”
(SOEN – “Lotus”, 2019)
Si canta in camicia
e giacca elegante con i Soen. Joel Ekelöf è il perfetto singer che
può piacere a tutti: dotato, dall’inflessione malinconica, composto nelle movenze,
sguardo da intellettuale. La proposta degli svedesi è altrettanto attrattiva
nei confronti di quella larga fetta di ascoltatori che dal metal sono titillate
ma che ancora non ne masticano i frutti più oscuri ed estremi. Una
spruzzata di metalcore, linee melodiche quasi sempre ficcanti, le lezioni
‘intelligenti’ degli Opeth traslate da un piano metal a uno prettamente rock.
Con un occhiolino ai Pink Floyd così come a un certo metal radiofonico
americano. La Warner (!) se ne avvede e se li accaparra.
“Martyrs”, dal
loro acclamato “Lotus”, è un compendio di piacevolezze di immediata presa. Come
lo sarà, quasi pedissequamente, l’”Antagonist” del successivo “Imperial”
(2021).
Sono musicisti con le palle, i Soen; presenzia pure Martin Mendez, l’ex-Opeth, che dietro alle pelli guida la truppa a mo’ di cane pastore, donando vivacità al tutto. Insomma, i Soen sanno come catturare cuore e menti di un pubblico vasto che, sicuramente, esula dai sempre più estesi confini del Reame Metallico. Anzi, il loro successo è proprio una testimonianza che il ‘nuovo’ metal ha i propri recinti e steccati molto, ma molto distanti dal centro. Quasi da pensare che non sussistano più…
To be continued...
A cura di Morningrise