Trentaduesima puntata: Trist – “Zrcadlenì Melancholie” (2007)
Non facciamo in tempo a bearci delle trame malinconiche degli Austere, dei loro soffusi paesaggi dell'anima, che subito ci ritroviamo davanti ad un braccio dilaniato su sfondo di lavandino insanguinato: un nefasto scatto fotografico che preannuncia un tonfo sordo negli abissi del più lercio suicidal black metal!
Ci spostiamo in Repubblica Ceca ed andiamo a conoscere Trist..., altro nome, stesso programma...
L’attitudine è più underground ed indipendente che non si può ma, signore e signori, se volete assaporare del true suicidal black metal, non avete altro che da pescare a caso in questa vasta discografia fatta di frammenti di dischi che una mente maggiormente oculata avrebbe raccolto ed ordinato in operazioni più corpose e sensate. E’ la classica incontinenza del depressive black metaller che registra alla cazzo tutto quello che gli passa per la testa e per le mani, senza farsi troppi problemi ed ovviamente fregandosene dell’ascoltatore.
Ho tuttavia l’impressione che ovunque si vada a pescare con Trist si caschi bene. “Zrcadlenì Melancholie”, quarto ed ultimo full-lenght rilasciato nel 2007 (curioso osservare che i quattro album sono stati pubblicati tutti in un ristrettissimo lasso di tempo fra il 2006 e il 2007), è indubbiamente un bel modo per conoscere l’artista ceco.
Anzitutto la durata del platter è clemente, per grazia ricevuta soli 37 minuti, ma aspettate a fare i salti di gioia, non è la classica compilation di hit estive, poiché si tratta di sole due tracce, rispettivamente di 23 e 14 minuti. La descrizione del materiale in questione è presto fatta: soliti suoni fangosi, soliti riff ossessivi e reiterati, solito screaming da misantropo sull'orlo di una crisi di nervi. Così detto il DSBM targato Trist sembrerebbe non dissimile da molte altre pubblicazioni del settore; a delinearne la cifra stilistica è semmai il modo di interpretare quegli stilemi. Anzitutto l'attitudine, molto punk e sbrigativa, della serie: buona la prima!, cosa che scongiura quelle ingessature che sono invece tipiche dell’approccio pragmatico di certo depressive più aderente agli stilemi del metallo.
I brani sembrano improvvisati e registrati live in presa diretta con l'aiuto del batterista P. (alias Pestkrist alias Pavel Vojáček, drummer, anche, dei Silva Nigra). Il Nostro picchia come un fabbro, il suo drumming è implacabile, estremamente grezzo ed efficace e punta tutto sul fattore resistenza (si badi bene che non si va mai oltre il mid-tempo). Trist alla chitarra è un fiume in piena, i suoi riff si susseguono, si ripetono, cambiano e tornano a ripetersi per minuti e minuti e minuti. Se il linguaggio è indubbiamente burzumiano, lo spirito è a metà strada fra Cure e Velvet Underground.
Dico una cazzata se l’opener “Poslední Cesta” è la “Sister Ray” del DSBM?
Probabilmente sì, e dovrei essere scorticato a rasoiate solo per averlo pensato ma l'effetto di stordimento con il trascorre dei minuti, sotto i colpi della batteria battente, non può non ricordare almeno un poco il celeberrimo tour de force elettrico di Lou Reed, John Cale e soci.
Dopo lo scricchiolio di un jack che viene inserito nell’amplificatore, il brano parte in modo cadenzato, con tempi mesti e altrettanto mesti giri di chitarra: una scorza di catrame che viene squarciata dalle vocalità sgraziate dello stesso Trist, la cui voce è una via di mezzo fra una brusca frenata sull'asfalto e le grida di qualcuno nella stanza accanto a cui stanno togliendo un dente senza anestesia.
Passano i minuti, riff zanzarosi si alternano a power chords sfilacciati mentre il drumming procede senza remore sospinto dalle rullate e dagli schiaffi violenti ai piatti che ricordano il tronfio marciare delle sinfonie burzumiane.
Ma ecco che verso l’undicesimo minuto si manifesta il cambio di mood che vi farà innamorare dei Trist: la batteria già da un minuto aveva accelerato lievemente la sua corsa, la chitarra si tuffa invece in svisate blackgaze che a quel punto non ci saremmo aspettati. Da quel momento il brano muta volto e pur mantenendo lo schema in cui riff melodici si alternano a ritmiche più corpose, finisce per ammantarsi dello spleen struggente di una cavalcata darkwave (avete presente una "One Hundred Years" o una "Last Exit for the Lost"?). Ovviamente il brano non porta a nulla, sarebbe potuto continuare per altri dieci minuti come terminare cinque prima.
Stupiscono in positivo i testi: redatti in ceco, sembrerebbero avere delle velleità poetiche. Poi, nel migliore dei casi, sono frasi disconnesse gettate a caso, elementi di suggestione disseminati lungo la folle marcia di brani che potevano benissimo essere strumentali. Ma almeno non ci imbatteremo in ingenuità del tipo "stop with this shitty life" o "you suck, kill yourself". E comunque, ma di che cazzo stiamo parlando? Se anche il Nostro avesse avuto le qualità di Dante Alighieri, non ce ne potremmo rendere conto considerato che la voce non sembra manco una voce...
La successiva "Trnový Labyrint" si muove entro le stesse coordinate, forse con un pizzico di mordente in meno. Ripeto: se non si esce pienamente soddisfatti dall'ascolto non abbiamo altro che da pescare a caso nella discografia del Nostro (per esempio l'EP "Nostalgie" del 2012 è un'altra superba cavalcata elettrica di 13 minuti, mentre se si vogliono saggiare gli estremi opposti del progetto si può tentare con il puro dark-ambient di "Slunce v Snovém Kraji, Rozplývání, Echa..." oppure con il black metal selvaggio di "Sebevražední Andělé").
Del resto questi non sono opere che sono concepite e realizzate per essere dei capolavori e Trist non mi pare uno che si perda in perfezionismi. E' questo lo spirito più genuino di un genere come il DBM che proprio nelle estrinsecazioni underground (e ve ne sono milioni di milioni disseminate per il mondo) trova l'espressione formale più congeniale al proprio messaggio lirico ed agli umori che intende mettere in scena...
"Zrcadlenì Melancholie" è indubbiamente un bel tuffo nel depressive più rancido, tirato via e privo di compromessi, ma con quello strano quid che lo rende un prodotto interessante e che in questa rassegna va a rappresentare una sotto-branca molto diffusa, si pensi a monicker come Unjoy e And End..., giusto per fare due nomi minori ma significativi.