Trentunesima puntata: Austere – “Withering Illusions and Desolation” (2007)
Quando si parla di depressive black metal australiano i primi nomi che vengono in mente sono gli Abyssic Hate e i Woods of Desolation: due pesi massimi del sottogenere, in particolare i primi, da indicare fra gli iniziatori del movimento suicidal.
Alla lista dei "meritevoli australiani", vanno aggiunti anche gli Austere, peraltro tornati alla ribalta di recente con un paio di album che nessuno si aspettava più da loro, "Corrosion of Hearts" del 2023 e "Beneath the Threshold" del 2024. Ma non sono questi gli Austere di cui parleremo oggi, bensì quelli che, più di dieci anni prima dalla loro inaspettata reunion, furono autori di un paio di perlette di black metal molto ispirato: “Withering Illusions and Desolation” (2007) e “To Lay Like Old Ashes” (2009). Due lavori uguali e diversi, il primo più radicato nelle ambientazioni depressive, il secondo invece più spostato verso sonorità post-black metal, ma entrambi solidi nell’esprimere la cifra stilistica della band.
Gli Austere, anzitutto, sono un duo compatto, una squadra affiatata, potremmo dire. Desolate (all’anagrafe Mitchell Keepin) è il cuore melodico del duo, occupandosi di chitarra, basso, tastiere e voce. Sorrow (Tim Yatras) ne è invece il motore ritmico, sedendo alla batteria e prestando la sua voce all’occorrenza. E’ curioso notare, sul conto di quest’ultimo, che egli sia in realtà un polistrumentista ed anche un cantante molto dotato tecnicamente, spaziando dal metal al rock al pop attraverso altri progetti. Entrambi sono poi coinvolti nelle esperienze musicali più disparate, perché ovviamente con gli Austere non si campa. Lo dimostra il fatto che la band, nonostante l'approvazione da parte della critica, si sia sciolta nel 2010 per poi, come già detto, riformarsi recentemente.
La nostra attenzione si concentra oggi sul debut “Withering Illusions and Desolation” sia perché le sonorità in esso esplorate sono più pertinenti all’oggetto della nostra rassegna sia perché lo preferiamo di gran lunga. Premere play dà quasi un senso di conforto: con lo scorrere dei diversi brani si odorano gli aromi della vecchia scuola del depressive, leggasi Burzum, Forgotten Woods e I Shalt Become. Che è come dire: chitarre rarefatte, melodie ricorsive, tempi generalmente cadenzati, grida strazianti.
Come è valso per i tedeschi Wedard, qui, più che l’originalità prevale l’ispirazione, e più che l’introduzione di stilemi innovativi, l’interpretazione di quelli classici. Un batterista in carne d’ossa, rispetto ad una drum-machine, fa la differenza, conferendo umanità allo sviluppo ritmico dei brani. Non che uno si debba aspettare chissà quali virtuosismi, figuriamoci, ma anche una lieve accelerazione, pur in un contesto di tempi lenti o medi, aggiunge molto allo spessore ed alla dinamica delle composizioni. In esse non accade molto, questo sia ben chiaro, ma la sinergia fra il riffing ispirato e melodico di Desolate e il pulsare coinvolgente delle pelli di Sorrow ci basta ed avanza affinché band ed album trovino un posto nella nostra rassegna.
I primi quattro dei cinque brani si muovono lungo il format del DMB di ispirazione burzumiana, in durate che oscillano fra otto e dieci minuti. A colpire duramente è la voce, impostata su uno screaming settato in modalità “aquila”. Se da un lato questo porta monotonia sul fronte delle linee vocali, dall’altro non si può negare che le grida strazianti di Desolate si integrino alla perfezione nella matassa sonora, ben ammaestrata dal buon Sorrow, adesso cadenzato, ora incalzante, ora nuovamente spossato, sospeso in un solido equilibrio fra ritmiche lineari e continui cambi di registro.
Dopo le due ottime ed equipollenti “Unending Night” e “...Memories”, tocca alla terza traccia “The Dawn Remains Silent” ad alzare la posta in gioco, dischiudendosi in un improvviso blast-beat che a quel punto non ci saremmo aspettati e che costituisce un unicum all'interno dell'album, visto che la title-track riporterà il mood respirato con le prime due tracce. I testi, malinconici e nell’ambizione poetici, non scadono mai nel triviale, si mantengono saldi su un piano contemplativo ed ovviamente passano in rassegna i temi della solitudine, della perdita, della depressione, ma mai tirano in ballo in modo esplicito quello del suicidio.
Ah, mi ero scordato di aggiungere che i primi quattro brani occupano il lato A del disco, mentre il lato B è interamente dedicato a “Coma”, una strumentale di 18 minuti. La traccia si basa sulla reiterazione del medesimo riff arricchito da posati tocchi di tastiera e lievi variazioni, ora melodiche, ora ritmiche: un esperimento che riprende certe intuizioni black-ambient già espresse da Burzum e che non avrebbe sfigurato al termine di un album come “Filosofem”. Anche in questa circostanza, tuttavia, il duo non delude, in quanto - ignoro per quale strana ragione - il brano non annoia, ma anzi, dopo un po’ porta con sé un senso di ipnosi che ho trovato gradevole (ammesso che si faccia qualcosa durante l’ascolto, eh).
Chi fosse intimorito dall'idea di intraprendere una esperienza uditiva di questo tipo, ahimè non troverà scampo e conforto nell’opera seconda “To Lay like Old Ashes”, in quanto i Nostri avranno la bella pensata di concludere il tutto con niente meno che un'altra strumentale di 20 minuti, guarda caso di nome “Coma II”. Qui però la scelta colpisce più duramente in quanto l’album (con i suoi quattro brani + intro) aveva mostrato fino a quel momento una più convinta volontà di intrattenere l'ascoltatore, offrendo una maggiore varietà di soluzioni, fra inserti di chitarra acustica (totalmente assente nel debutto), significativi tappeti di tastiere (il cui utilizzo era stato ridotto al minimo in precedenza), un flavour melodico che si avvicina a certo blackgaze e, last but not the least, la bella voce pulita di Sorrow, protagonista in un paio di tracce.
Con l’opera seconda, da molti vista come quella della maturità, gli Austere hanno gettato indubbiamente più carne al fuoco, giovandosi del supporto di esponenti di primario livello della scena metal australiana come D. dei Woods of Desolation al basso e Tim Ian Grose (alias Lord Team – direttamente dalla power metal band Lord) a mixer e tastiere. Ma nonostante una maggior cura di suoni ed arrangiamenti, e forse anche un songwriting più adulto, continuiamo a preferire il debutto “Withering Illusions and Desolation”: un diamante grezzo che trova chiara collocazione nei ranghi di un DBM che per una volta tanto non necessita dell'aggiunta della S di suicidal...