Per molti la vecchiaia ideale consisterà probabilmente nel dimorare nella classica casa al mare e trascorrere il tempo facendo lunghe passeggiate in spiaggia con il cane. Per il sottoscritto, invece, la vecchiaia ideale vorrebbe coincidere con una casa dignitosa in East London, più precisamente a Dalston (vicino a Hackney) a tre minuti dal Cafe OTO, dove poter trascorrere una sera ogni due.
Il Cafe OTO è una fra le venue più iconiche di Londra, un luogo di culto per ogni appassionato di musica, ma anche di arte in generale: poco più di un baretto (cosa che di fatto è durante il giorno), da sempre il locale è noto per una fitta programmazione di concerti di artisti di nicchia gravitanti principalmente nelle aree del jazz, dell'avanguardia, della modern classical e del cantautorato, senza disdegnare sonorità di altro tipo purché ascrivibili alla categoria della musica colta. Io l'ho sempre corteggiato il Cafe OTO, ci avevo solo preso una birra un pomeriggio, ma vuoi per la distanza da dove abito, vuoi per un cartellone di eventi che, di volta in volta, non mi ha convinto ad attraversare la città un martedì sera qualsiasi (per questo vorrei viverci vicino!), non avevo mai avuto l'occasione di saggiarlo nella pura dimensione del live. E quale occasione migliore per battezzare il Cafe OTO che la Two-Day Residency dei Liturgy?
I blackster newyorkesi hanno fatto gli onori di casa per ben due giorni, domenica 25 e lunedì 26 agosto. Tenendo conto che il 26 è un giorno festivo a Londra, decido di fare un biglietto per il 25, serata che poi andrà sold out. Acquisto l'ingresso quando sono ancora sullo Stansted Express, il treno che dall'aeroporto venerdì 23 mi ha riportato a Londra dopo ben tre settimane di soggiorno italiano: vacanze, le mie, trascorse fra lavoro da remoto, meritato riposo e - mio malgrado - sapori mestamente social popolari. E per sapori mestamente social-popolari intendo dire trap a go go (che mi son dovuto sorbire in ogni bar, stabilimento balnerare, negozio e supermercato) mischiata alla provincialità più meschina (fusti abbronzati e tatuati, auto e moto sgassanti, "Sesso e Samba", "Ricchi e Poveri", sagre estive ecc.). Il tutto, beninteso, mi rende irrequieto e mi spinge ai salotti più radical chic.
Lo dico subito, il concerto dei Liturgy è stato solo un antidoto e l'esibizione in sé sarebbe passata in secondo piano: nelle condizioni psicologiche in cui mi trovavo avrei raggiunto l'orgasmo anche alla sola vista del primo nerd occhialuto, stempiato e tarchiato con una maglietta dei Wolves in the Throne Room. Ma avrei dovuto ingoiare un ultimo amaro boccone di social-popolarità, in quanto domenica 25 si festeggiava anche il Carnevale di Notting Hill, sfarzoso e lussurioso evento di massa dai sapori caraibici che ogni anno richiama orde di festanti energumeni e scosciatissime donzelle da tutta Londra. Quindi gente ovunque, gente molesta, gente ubriaca e rumorosa, trasporti intasati, bus annaspanti nel traffico, treni e metro stracolmi procedenti a rilento, fermate chiuse, deviazioni di tragitto: insomma, non proprio la giornata migliore per attraversare la città!
Arrivo dunque un po' in ritardo rispetto all'apertura delle porte, mi faccio largo fra il capannello di gente che sorseggia con ilarità il proprio drink fuori dal locale, entro nervoso ed anche un po' assetato (di acqua, intendo). Mi reco trafelato al bar ed ordino subito una birra ed un bicchiere d'acqua, ma con gran soddisfazione apprendo dalla barista che in un angolo ci sono bottiglie d'acqua e bicchieri a disposizione per chiunque. Che finezza: questa è civiltà!
Mi guardo intorno e mi trovo immerso in uno strano parterre di intellettualoidi e metallari intellettualoidi su sfondo di librerie, scaffali di vinili e pareti di mattoncini rossastri. Io con la maglietta dei Sunn O))) al Cafe OTO sembro quasi un fan di Gigi D'Alessio: l'impatto è senz'altro positivo, ma ho anche l'impressione che la gente qui non abbia mai ascoltato un album dei Liturgy per intero. Ma del resto chi sono io per giudicare? Io che ho solo il cd di "Aesthethica" e mi fa pure cagare?? Ripeto, son qui principalmente per una questione di igiene mentale, e se anche non scorgo nessuno con la maglietta dei Wolves in the Throne Room, posso dirmi soddisfatto alla vista di una T-shirt fighissima in cui si ritrae un Charlie Brown sconsolatissimo con sotto la scritta: "I still miss Beastie Boys".
Ad aggiungere boria alla boria apre Sharon Gal, cantante, compositrice, performer, credo britannica, ma non è che vi siano molte informazioni in rete (non che mi sia scapicollato per conoscerla prima di vederla dal vivo, eh - anzi, arrivo proprio digiuno). La Nostra si presenta in kimono, con delle lucine da albero di Natale al collo ed una maschera da gatto. Fra droni ed orchestrazioni in loop, la performer si cimenta in un tetro campionario di sussurri, sibili, ululati e rantoli, il tutto reso più inquietante da pose plateali di grande afflizione fra suggestive luci rosse e blu. Siamo lontani dall'iconoclastia di una Diamanda Galas, ma la maschera da gatto ha occhi penetranti che mettono i brividi. Al termine della mezzora di mortifero saliscendi si ha tuttavia l'impressione che questa sia musica che può fare chiunque purché abbia il tempo per studiare mosse, vesti, versi e coreografie, ed ovviamente saper mettere tutto sotto un ombrello concettuale. Ad ogni modo un aperitivo più che dignitoso per il piatto forte della serata.
Haela Hunt-Hendrix si palesa sul palco in impermeabile e birkenstock. Srotola qualche filo, attacca qualche cavo e poi si eclissa per ripresentarsi in abitino estivo d'un pezzo e birkenstock. Si parte con "Daily Bread", introduzione "a cappella" di pochi minuti a base di voci pulite sovrapposte e manipolazioni: elemento di quiete che verrà riproposto più volte durante il concerto a contrastare l'elettricità, le note dissonanti, i blast-beat. Ma è questo o no black metal?
I blackster ortodossi lo boccerebbero e io stesso sarei tentato di descrivere la musica dei Liturgy più come una forma estrema di math-rock che black metal, considerato per giunta che la band funziona innegabilmente meglio quando il groove finisce per prevalere. I Nostri però picchiano, vanno veloci, procedono per ritmi nervosi, intricate tessiture di chitarre, riff in tremolo ed urla belluine a far da contorno: il linguaggio è quello del black metal, indubbiamente, l'intento è di catturarne l'intensità, ma anche di superarlo attraverso una via intellettuale e ostentatamente "anti-metallica" che si nutre voracemente della musica d'avanguardia.
La scaletta consta di cinque o sei tracce, non di più: leggermente favorito l'ultimo lavoro "93696" dell'anno scorso, con un paio di gradite incursioni dal masterpiece "Aesthethica" e da "H.A.Q.Q." Peccato solamente che stasera la voce passi in secondo piano nell'impasto sonoro, non capisco se per problemi tecnici (ma se così fosse stato, qualcuno avrebbe potuto facilmente risolvere il problema durante il concerto) o se la Hunt-Hendrix fosse quella sera semplicemente giù di voce. Certo, la Nostra non sembra molto interessata alla sua prestazioni canore preferendo lasciarsi andare nelle lunghe fasi strumentali come se fosse in trance, piegata sulla sua chitarra, con movimenti scattosi e mosse tarantolate a secernere riff spigolosi.
Per il resto, il quartetto si presenta in grande forma, tutti gli strumenti sono udibili nitidamente, incluso il basso, con un tasso di precisione tale da rendere giustizia a composizioni intricate ed estremamente cervellotiche. Qualche preziosismo da studio si perde, ovviamente, ma nel complesso il sound non ne risente granché, guadagnando piuttosto in compattezza e forza d'urto. Che i suoni ci raggiungano forti e chiari un po' mi stupisce considerate le dimensioni ridotte e le caratteristiche strutturali del locale, più avvezzo a concerti jazz.
Fra tessiture dissonanti, frenetici stop'n'go e rincorse a mille all'ora, spiccano i ritmi sincopati e montanti della strumentale "Generation", mentre fra le pieghe dei lacrimevoli intrecci di chitarre della conclusiva "93696" vien da pensare che nonostante tutto - che sia questo black metal o no! - senza Burzum questo non sarebbe stato possibile (e mi sorprendo a realizzare che è la seconda volta in un mese che questo pensiero mi si affaccia alla mente durante un concerto).
Il set termina dopo un'ora spaccata: una durata contenuta che diviene comprensibile se si pensa all'ostilità della proposta e al format delle due serate consecutive (c'era la possibilità di fare un abbonamento per entrambi i giorni e forse la band ha suonato due scalette differenti), ma rimane comunque un po' di amaro in bocca considerate le buone sensazioni avute durante l'esibizione e la voglia di averne ancora. Per carità, per 20 sterline va più che bene, nel pacchetto alla fine ci sono rientrati l'esibizione della Gal e pure un selfie con la Hunt-Hendrix che, affabile, alla fine del concerto si è offerta alle chiacchiere ed alle foto dei fan.
Ah, che sublime vecchiaia sarebbe questa...