Tutto è
niente.
…
Avantgarde?
Avantgarde
black metal?
Come
giustamente disse una volta Ihsahn, “il black metal è
agonia” (peccato però che poi Ihsahn da solista si sia messo a
fare avantgarde...).
(A
proposito di Ihsahn, avete visto il bill di quest'anno del Be
Prog! My Friend 2015? (festival barcellonese davvero bellino
giunto quest'anno alla seconda edizione) C'erano: Ihsahn, Katatonia,
Vincent Cavanagh acustico, Devin Townsend, Leprous, Camel (!!!) e
Meshuggah! E l'anno scorso: Anathema, Pain of Salvation, Opeth, Fish
(!!!), Alcest ed Antimatter. Non so voi, ma io prenoto adesso i
biglietti per il prossimo anno!)
Torniamo
all'avantgarde. Ma cos'è l'avantgarde black metal? Mi viene
in mente roba schizzata, dissonante, isterica, triturante palle e
cervello. Più o meno quello che suonano i Dødheimsgard.
Ora, mi chiedo: posso io alla mia età avere ancora
voglia di avantgarde metal? Guardate un attimo la scaletta delle
tracce di “A Umbra Omega”:
1) The Love Divine (1:03)
2) Aphelion Void (15:14)
3) God Protocol Axiom (13:12)
4) The Unlocking (11:21)
5) Architect of Darkness (11:59)
6) Blue Moon Duel (14:20)
Ripeto dunque la domanda: posso io alla mia età avere
ancora voglia di avantgarde metal?
Mi posi il quesito il giorno stesso che comprai il cd, la sera stessa
prima di inserire il cd nel lettore. Era venerdì sera, ero già un
po' brillo, reduce da un buon aperitivo, e tornai a casa per prendere
un cd da mettere in macchina per sfiaccolare verso una cena. E mi
ricordo che indugiai un paio d’istanti innanzi ad “A Umbra
Omega”, cd ancora intonso, comprato il giorno prima insieme ad
altri. Mi dissi chiaramente: ascolto-lampo per
decisione-lampo, salto l'intro di un minuto, ma se il secondo
pezzo parte subito con una sparata, lo casso seduta stante.
Il secondo pezzo parte con una sparata.
Tutti i pezzi, più o meno, partono con una sparata.
Inutili
sparate di una
trentina
di secondi (peraltro,
ogni cosa dura non più di trenta secondi in
questo disco), inutili perché poi
dopo succede di tutto. Ma non ho ancora risposto alla domanda: posso
io alla mia età ascoltare avantgarde metal?
E poi, per piacere, non fatemi più vedere titoli del tipo
“God Protocol Axiom” o “Blue Moon Duel”, vi
prego!
Il fatto è che ovunque mi fossi imbattuto in “A Umbra Omega”
erano lodi sperticate, non-recensioni di parole a caso scritte
a mo’ di poesia futurista (sarò stato in qualche maniera
influenzato da tutto ciò, visto che sto adottando la formula
“pensieri a cazzo”?), non-recensioni, dicevo,
sonetti scritti male che più o meno ripetevano “grandioso”,
“immenso”, “fantastico” e cose di questo tipo. Senza
ovviamente spiegare un cazzo. Voti: fra il 9,5 e il 10. Micacazzi.
“Grandioso”, “immenso”, “fantastico”, ma (attenzione)
“non di agile fruizione”. Sono i ferrei
automatismi del metallaro, per il
quale un album difficile è necessariamente un album bello (vi capita
mai di leggere “faticherete molto all’inizio, ma poi, dopo
svariati ascolti, verrete ricompensati”? Ma perché, dico io,
bisogna per forza soffrire? Ma quali sensi di colpa ha il metallaro
da dover espiare?).
Gli album avvolti da isterico entusiasmo però mi
insospettiscono.
Per questo, prima di procedere con l'acquisto, andai a sondare la
situazione su youtube, imbattendomi in una canzone che però mi
sembrava abbastanza una stronzata: veloce/medio/lento/veloce,
fuoriosi blast-beat, arpeggioni distorti, chitarre dissonanti,
continui cambi di tempo, addirittura sprazzi di pianoforte jazzato e
sax strizzato (ma ben coperto) come accade nella migliore tradizione
avantgarde (appunto). E sopra un ornitorinco fautore di un
growl & screaming teatrale che, fra declamazioni e moine, singulti e grida, frizzi e lazzi, si ripercuote incessantemente sulle nostre orecchie.
Insomma: quanto di più lontano ci possa essere da ciò che ascolto
oggi.
Poi sai come va: ti rechi dal tuo negoziante di fiducia, chiacchieri,
di sera campioni di mattina coglioni, ordini cd e già che ci
sei ordini anche l'ultimo dei Dødheimsgard (il cui nome, per
inciso, ti dovevi essere scritto su un foglietto perché sennò era
impossibile che ti ordinassero il cd giusto, e dunque la cosa un po'
premeditata era, un po' colpevole sei...).
E
quindi lo ordini, con la speranza che il tuo negoziante non te lo
trovi...ed infatti non te lo trova, per mesi, fin quanto un giorno ti
dicono che sono arrivati i Dødheimsgard
(azz!).
E quindi, se ce l'hai, l'ascolti.
Punto primo: l'album non è affatto male.
Punto secondo: Che belli però i Ved Buens Ende.....
Punto terzo: l'album è per proprio ganzo. Non ne capisci il motivo,
perché alla fine sono tracce di più di dieci minuti l'una, tutti
uguali, in cui accade di tutto, ma è come se non succedesse niente.
Però ogni tanto spuntano i Ved Buens Ende..... (che belli i Ved
Buens Ende.....), perché (ma questo lo sapete) il leader
della banda, Vicotnik (uno non proprio simpatico, o meglio,
uno simpatico come la merda, simpatico come il padre che, il giorno
del compleanno di suo figlio, si presenta dal figlio che si aspetta
un regalo dal padre e gli spiega che il regalo è il suo nuovo taglio
di capelli, “bello, eh?”), suonava la chitarra anche là, insieme
a quei matti di Skoll (Ulver ed Arcturus) e Carl-Michael
Eide (Aura Noir), bel trio di matti che seppero dare alla luce
l'ottimo “Written in Waters”, cd che in gioventù ho
letteralmente consumato.
I Dødheimsgard no, non li ho mai considerati (non si può ascoltare
tutto). Strano, perché ci cantava Aldrahn, che ai tempi
era un po' come il prezzemolo, te lo ritrovavi dappertutto (Zyklon-B,
Old Man's Child, Thorns e pure qualche strusciata d'ugola in Isengard
e Dimmu Borgir). Gente insomma che mi sta simpatica. E dunque perché
non rifarsi nell'anno 2015, con il ritorno in pompa magna
della band dopo otto anni di silenzio, con tanto di figliol prodigo
Aldrahn, co-fondatore della band, sparito da un po' di album a questa
parte? (Mi chiedo sempre con che spirito certa persone, magari padri
di famiglia, magazzinieri o impiegati delle Poste Norvegesi, tornino
in studio e, come se niente fosse, si rimettono a suonare evvimedal).
Insomma, dai, ci può stare: gruppo seminale imperdonabilmente
trascurato, ritorno bomba con disco bomba e formazione bomba,
occasione più unica che rara per recuperare: potevo non comprarlo?
Il disco dunque è ganzo, non è ostico (già dal primo ascolto si fa
piacere e può essere colto nell'essenziale) e vale sicuramente la
regola: tira e tira i sassi, e vedi che prima o poi il barattolo
lo cogli. Il fatto è che i Dødheimsgard ne lanciano
tantissimi di sassi e, incredibilmente, quasi tutti vanno a colpire
il barattolo. Paura che un disco con canzoni di un quarto d'ora l'una
possa tediare? Naaaaaaa. Paura che un disco con canzoni di un
quarto d'ora l'una possa risultare dispersivo? Seeeeeeeeee. “A
Umbra Omega” è un album tosto, tonico, denso di contenuti,
sfavillante di spunti ed idee stuzzicanti, in pratica non ti annoia
mai e paradossalmente sono i momenti black a non convincere. E' un
grottesco insieme di note e vocalizzi, un lavoro deforme,
intrinsecamente schizofrenico, ma di quella schizofrenia che a volte
diverte, non in modo volontario ovviamente. Prendete la voce di
Aldrahn il declamatore, dedito ad un incessante spoken-word
a metà strada fra il cinghiale infuriato e l'invasato arringatore,
una voce che ha volte sortisce effettata con quegli effetti tipo
fantasma di “Ghostbusters”, più ridicolo che spaventevole, ma
azzeccatissimo per la musica incasinata dei Dødheimsgard.
Sorta di Arcturus-non-sinfonici, i Dødheimsgard sono
gente che sa suonare, che fa musica un po' sopra le righe, ma che nel
complesso ci sta dentro. Folli però no (a meno che per folli
intendiate quelle ragazze perfettamente sane di mente, forse un po'
sceme, che al liceo dicevano di esser matte, ed iniziavano
autonomamente ed improvvisamente a sbellicarsi dalle risate non si
capiva mai per quale motivo), no, i Dødheimsgard non sono folli,
almeno non sono affetti da quella follia visionaria che può ispirare
l'arte di un Vikernes. Sono sani esemplari della vecchia ed onesta
Vecchia Scuola, che, nonostante il trascorrere degli anni, suona
abbastanza fresca.
A colpire, più che altro, è a) l'ispirazione che pervade
tutto il lavoro di chitarra e circa il 70% dei frammenti buttati nel
calderone, b) e la bravura dei quattro nel saper incollare un
miliardo di pezzetti senza mai dare la percezione che si stia
ascoltando un miliardo di pezzetti. Ecco: “A Umbra Omega” è un
bel collage con dei momenti davvero notevoli.
Del resto, nel più ci sta il meno.
E
niente è tutto.
Disco
dell'anno.