In una recente intervista a proposito del loro ultimo lavoro, David De Feis commenta l'evoluzione dei Virgin Steele con il solito argomento “non possiamo rimanere ancorati alle prove del passato” e precisa che i fans non possono aspettarsi sempre un altro “Age of Consent”.
Viene decisamente da sorridere al pensiero che ogni epoca ha i suoi miti: ai tempi in cui fu pubblicato, "Age of Consent" fu quasi stroncato senza appello e criticato come il disco del tradimento commerciale, uno di quegli esperimenti di commercializzazione che mirava a catturare il pubblico dell'hard melodico, sia per le sonorità (tastierose) che per i temi trattati (non mitologia guerriera, ma mitologia da adolescenti in cerca di topa con risultati alterni).
Sul piano lirico "Age of Consent" è un'altalena fra episodi ruggenti ed altri melliflui, o meglio
melensi, visto il piglio poco dignitoso risultante da una miscela di
autocommiserazione corretta con un dito di onnipotenza frustrata. Il
solito paradosso dell'amore metallaro: Lei mi ha lasciato ma andrò a
liberarla dal mago cattivo che la tiene prigioniera dell'incantesimo. E che nel frattempo probabilmente la tromba...
Va dato atto che i Virgin Steele tentano di dare una pennellata di erotismo al tutto, con la
goffaggine tipica del metallaro medio, che millanta prestazioni da
urlo proponendo metafore a base di cavalli che galoppano, fuochi che
si levano nell'aria e spade sguainate. Musicalmente parlando il
lavoro non è disprezzabile, molto “glassato” a causa delle
tastiere a tappeto e di sonorità chitarristiche abbastanza
“soffici”. Sui testi invece si tocca un fondo irrecuperabile.
Dovessimo ricostruire una
linea narrativa, che probabilmente non c'è, potrebbe essere la
seguente (ci riferiamo naturalmente alla tracklist originale, e non a
quella della riedizione del 1997): lui conosce una e trombano (chi
sia lei è totalmente irrilevante: è una che gliel'ha data e questo
basta per innescare l'epica della topa perduta), anche se lui rischia
una denuncia per corruzione di minorenne (lei ha diciassette anni, un cuore
d'angelo, ma è sufficientemente zoccola, per cui il nostro si sente
ampiamente giustificato ad arrembare). Un pezzo intero, che dà il
nome al disco, è dedicato al bruciante tema dell'abbassamento del
limite per la maggiore età dai diciotto anni ai diciassette: tema per cui -va dato atto-
nessun altro gruppo si è speso in maniera così drammatica.
La famiglia di lei non è d'accordo e la banalità del tutto viene gonfiata per ottenere un effetto-ribellione: “E ti dicono che sono uno poco affidabile, che sono un demonio e chi ti farò soffrire, dicono che sei troppo giovane per avere sentimenti e che il mio amore è una menzogna”. Ma anche e soprattutto per arrivare al dunque: “Ma non sanno che stupenda sensazione mi dà averti tra le mie braccia, ti introdurrò ai piaceri proibiti della vita, farò di te una donna, ti farò cavalcare sulle ali della notte, so che è quello che vuoi”.
La famiglia di lei non è d'accordo e la banalità del tutto viene gonfiata per ottenere un effetto-ribellione: “E ti dicono che sono uno poco affidabile, che sono un demonio e chi ti farò soffrire, dicono che sei troppo giovane per avere sentimenti e che il mio amore è una menzogna”. Ma anche e soprattutto per arrivare al dunque: “Ma non sanno che stupenda sensazione mi dà averti tra le mie braccia, ti introdurrò ai piaceri proibiti della vita, farò di te una donna, ti farò cavalcare sulle ali della notte, so che è quello che vuoi”.
Naturalmente poi il sogno
finisce ("Tragedy") perché lei lo lascia (o come icasticamente
suggerito dall'espressione toscana per indicare questa circostanza, "lo càa"). Rimanendo dentro la metafora, l'eroe ferito se ne resta
proprio come uno stronzo, senz'arte né parte, collocato dietro a un
cespuglio per pura comodità, aggredito dalle mosche, e non si fa
una ragione della propria mutata condizione. Si continua a chiedere
“Chi ha ucciso il nostro amore?” e si risponde in maniera
abbastanza chiara “Quando trombi con lui pensi a me? Mi
somiglia, ti fa le cose che ti faccio io? Un bicchiere rotto, una
rosa stracciata, il sangue sgorga dal mio animo, tu ferisci, ma non mi
uccidi mai”.
A livello testuale stiamo veramente toccando il fondo, sia dal punto di vista letterario che dal punto di vista del messaggio, diseducativo per la gioventù metallara. Già dai tempi di Battisti/Mogol si sapeva che quando la ragazzina diventa donna, sfugge di mano: “Cosa vuol dir “sono una donna ormai”, ma quante braccia ti hanno stretto tu lo sai, per diventar quel che sei.....io non conosco quel sorriso sicuro che hai, non so chi sei, non so più chi sei mi fai paura oramai, purtroppo”. Morale: la generazione dei nostri genitori o nonni, educata da Battisti, era già molto più avanti di noi che stiamo a guardare a questi bamboccioni borchiati.
A livello testuale stiamo veramente toccando il fondo, sia dal punto di vista letterario che dal punto di vista del messaggio, diseducativo per la gioventù metallara. Già dai tempi di Battisti/Mogol si sapeva che quando la ragazzina diventa donna, sfugge di mano: “Cosa vuol dir “sono una donna ormai”, ma quante braccia ti hanno stretto tu lo sai, per diventar quel che sei.....io non conosco quel sorriso sicuro che hai, non so chi sei, non so più chi sei mi fai paura oramai, purtroppo”. Morale: la generazione dei nostri genitori o nonni, educata da Battisti, era già molto più avanti di noi che stiamo a guardare a questi bamboccioni borchiati.
Migliori i momenti più
epici. L'eroe sente ancor ancora viva la passione come un leone in inverno che corre contro il destino ed è ancora costretto e
pungolato dalle catene infuocate dell'amore ("Chains of Fire"), buon
ossimoro che rende bene la forza e la schiavitù regalata/imposta dalle
passioni amorose. In mezzo a questa valle di lacrime il metallaro
combattente si concede una parentesi di sofferenza più nobile e
versa qualche calda lacrima anche per l'Incendio di Roma, narrato con
epico slancio. Alibi penoso: il tutto è solo un delirio escatologico
in cui il nostro immagina se stesso morire nell'incendio tra le
braccia della compagna incinta, con la consolazione che il loro
figlio proseguirà la sua stirpe. DeFeis si (e ci) commuove per tutto
il pezzo circa la sorte di Roma che brucia in un grande Incendio
(supponiamo quello famoso attribuito volgarmente a Nerone), per poi
chiudere invitandoci a “piangere per Pompei” (e la cosa è più
che voluta visto che il titolo è "The Burning of Rome" – sottotitolo
“Cry for Pompeii”). Una delle più belle canzoni del metal epico
rovinata da questo tragico sfondone che confonde i sette colli con il
Vesuvio. O forse la frase di chiusura va intesa come “piangiamo per
l'Incendio di Roma, e già che ci siamo, a proposito di incendi e
simili, toh, ci dispiace anche per Pompei”.
Di ritorno da questa
febbre delirante, si piomba presto di nuovo nello sconforto totale e
indecoroso ("Cry Forever"). Ed è questa canzone che prendiamo a
simbolo dell'intera storia, un fondo toccato ampiamente...
Avrei dovuto imparare
a non guardarti negli occhi
perché in questo modo
non posso evitare di pensare all'amore che abbiamo condiviso
La tua magia vivrà
per sempre, mi hai rapito il cuore
Come potrei
dimenticare te, e le nostre trombate
Sembra solo ieri
quando ti stringevo tra le braccia, e tu mi sussurravi dolcemente
“non ti lascerò mai”
Piangerò per sempre,
per i sogni che avevamo
dov'è finito il
nostro amore, mi pensi qualche volta ?
Piangerò per sempre,
per i sogni che non avremo mai più
Mi hai fatto
innamorare, e poi mi hai voltato le spalle
Ricordo che eravamo
stesi uno accanto all'altro
Il tuo cuore batteva
piano, dolcemente insieme al mio
La tua faccia come
quella di un angelo, che mi sorrideva
La smania e la
passione, il nostro amore non aveva freni
Ora il ticchettio
dell'orologio rimbomba in questa stanza vuota
Le immagini mi
perseguitano come una candela nel buio
Ti ho sognata ieri, e l'immagine era così chiara
di me e te insieme, senza dolore lacrime o bugie
Ti ho sognata ieri, e l'immagine era così chiara
di me e te insieme, senza dolore lacrime o bugie
Mi sono svegliato
stamattina, e ti avevo ancora in testa
Avrei giurato che tu
fossi con me, ero ancora indietro nel tempo
Immagini di questa notte,
non riesco a sopportare la luce del giorno
Ho bisogno di qualcuno
che stia al mio fianco, che non mi abbandoni mai
L'unica dignità di testi
come questo, come già dicevamo per le altre canzoni, è il fatto che
riproducono fedelmente un fenomeno tipico della psicologia amorosa
maschile, e cioè l'incapacità di andare oltre. Per capire meglio
ricordiamo ancora un famoso testo di Mogol, quello di “Mi ritorni
in mente”, che diceva: “Mi ritorni in mente, bella come sei,
forse ancor di più”. Anche lì si parlava di una che se n'era
andata con un altro e che nei sogni del protagonista diventava, non
potendo esserlo nella realtà (in cui era una troia), un angelo
caduto in volo: più bella nell'immaginazione che nella realtà,
cosicché l'amore rimaneva vivo nonostante i fatti. Non potendo
eliminare l'immagina della persona amata, perché questo
significherebbe rinunciare all'amore perduto, l'innamorato tradito o
abbandonato finisce per angelicare una che l'ha già incornato. Una
variante degenerata del dolce stil novo, in cui la donna angelicata
era perlomeno quella sognata, ma ancora non posseduta, e che si poteva
almeno supporre “onesta”.
Il delirio termina come
al solito con la prospettiva impossibile dei due che vivranno in
eterno giovani e forti ("We Are Immortal"), a dispetto di una realtà
che si è definita diversi brani prima come un due di picche secco e
indiscutibile. A costo di improbabili deliri, se l'amore è finito
non si va avanti e la fine non è accettabile. E per ora, all'ottava
posizione, questo è assodato.