"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

22 gen 2018

SWEDISH DEATH METAL STORY - Guida pratica in dieci puntate - Capitolo 7: IL DEATH METAL DIVENTA GRANDE...(Parte I)


Come accadde a livello mondiale per il Death di stampo americano, anche per la sua versione Swedish, il climax si raggiunse, e si superò, nel giro di pochissimo tempo. Come abbiamo potuto vedere dalla nostra compilation dei 10 migliori brani, il meglio di sé, il classico death svedese lo diede tra il 1990 e il 1992. Già dal 1993 la sua spinta innovativa si era fisiologicamente fermata. E questo a causa degli strettissimi spazi di manovra nei quali le death metal band potevano “giostrare” le loro composizioni. 

Ma, ormai assolutamente affermato a livello continentale, il death metal svedese, proprio in concomitanza con la sua parabola discendente, ebbe la forza di esplodere in una infinità di stili e sottogeneri, consentendo alla Svezia di rimanere ai vertici del metal mondiale.

E questo grazie a due principi cardine: evoluzione e contaminazione. Un’evoluzione portata avanti da vecchia e nuova guardia. A partire dagli stessi Entombed, che si sarebbero rimessi in discussione con le contaminazioni rock dando alle stampe i notevoli “Wolverine blues” e “To ride, shoot straight and speak the truth”, per arrivare a tutte le diramazioni melo / goth / prog / technical / blackened / doom e chi più ne ha più ne metta. Evoluzioni intriganti che avrebbero rivitalizzato un genere che rischiava, per sua stessa natura, di rimanere ingessato nei cliché da esso stesso creati.

MM vi farà da bussola nel fitto e oscuro sottobosco dello Swedish Death Metal “da grande” (1993-96). I tempi della Bajsligan erano terminati per sempre. I ragazzi svedesi stavano maturando...e i frutti (maligni) di tale maturazione non tardarono a raccogliersi…

E quindi tenetevi forte…stiamo andando a scandagliare il meglio del meglio del metal svedese post-death. Ci addentreremo negli anni ’90 con un’altra compilation. Altre dieci canzoni imprescindibili, 73’ di pura goduria, capaci di raffigurare le ramificazioni di un genere, lo SDM, che avrebbe ancora sorpreso il mondo intero, catalizzando l’attenzione di pubblico e critica!

1. ENTOMBED – “Eyemaster” da “Wolverine blues” (1993)

Abbiamo finito con loro la nostra precedente classifica e ripartiamo con loro per la nuova. Del resto i Maestri furono quelli che per primi indicarono una possibile via evolutiva per lo SDM. Che questa fosse il death n’ roll però non era una cosa così scontata. Amalgamare i due stili infatti non era semplice ma Andersson e soci vi riuscirono in maniera mirabile. Tornato all’ovile Lars G. Petrov, i Nostri tirano fuori un pot-pourri di metal classico, hard rock, groove metal così come cominciava a essere codificato negli States dai Pantera (ascoltatevi “Contempt” per avere un’idea) e la solita attitudine hardcore in your face. Il risultato furono 10 schegge (più una cover dei punkers nord-irlandesi Stiff Little Fingers) cariche di groove, piene zeppe di soluzioni intelligenti, espresse soprattutto dal rifferrama vario e articolato della coppia Cederlund – Hellid e dai pattern di batteria fantasiosi e immediatamente riconoscibili di Nicke. La produzione grassa e calda di Skogsberg made in Sunlight non tradisce e rende al 100% l’entombed-sound, nonostante la virata stilistica. 
Impossibile scegliere una track rispetto alle altre: l’album è un tutt’uno da mandare giù in un’unica soluzione. Ma, ahimè, ci tocca “estrapolare”, e allora ci indirizziamo sull’opener “Eyemaster” che in 200 secondi tondi esprime in modo perfetto il nuovo corso della band di Stoccolma. Attitudine punk, riffoni death alternati a parti più morbide, continui cambi di ritmo, stop&go che danno libero sfogo ad assoli tra il metal classico e il thrash, un Andersson indemoniato dietro al drum-kit e Petrov in grandissima forma. 

Signori, ecco a voi un nuovo stile: il death n’ roll!

2. EUCHARIST – “March of Insurrection” da “A velvet creation” (1993)

Se gli At the Gates sono i papà di Dark Tanquillity e In Flames, allora gli Eucharist possiamo considerarli come i loro zii. Gruppo decisivo per il melo-death, pionieri a tutti gli effetti  (assieme ai già trattati Ceremonial Oath, sorta di “band embrione” degli stessi In Flames) di questa incestuosa unione di death e heavy classico conosciuto da tutti come Goteborg-style, gli Eucharist non ottennero il successo dei nipotini più blasonati. Questo “A velvet creation” però, che segue una già ottima demo pubblicata l’anno prima, è un disco senza cedimenti, dalla grande inventiva. Per molti addetti ai lavori uno dei dischi migliori del genere. Otto tracce in cui il drumming fantasioso di Daniel Erlandsson (fratellino di Adrian e futuro In Flames e Arch Enemy) e il riffing cangiante di Markus Johnsson (anche cantante, dal growling molto espressivo) stregano l’ascoltatore dall’inizio alla fine. 
Scegliamo “March of Insurrection” (ma che bel titolo!) essenzialmente per mere valutazioni soggettive: sarà per il riff iniziale, grasso e marziale, o quello stacco da pelle d’oca dopo 50” che fa da preludio a un furioso blast beat. O ancora per l’atipica parte centrale tra rallentamenti doom, solo-riff melodiosi e stacchi obliqui di batteria. Fino ad arrivare all’ultimo minuto di devastante accelerazione death/thrash. 

Cult album di una cult band...

3. DISSECTION – “Black horizons” da “The somberlain” (1993)

Per chi scrive, il debut album più impressionante del metal svedese tutto. Jon Nödtveidt entra in campo a 18 anni e inventa un genere. Blackened death, lo chiameranno. A noi poco importa delle etichette e ci soffermiamo sulla musica: maestosa, epica, ricca di inventiva, piena zeppa di soluzioni mai sentite, in particolare negli schemi delle canzoni. L’opener “Black horizons”, nei suoi 8 minuti di saliscendi emozionali, mette in evidenza tutta la magniloquenza del dissection sound (supportato dalla produzione agli Unisound di Swanö), fregiandosi di parti rallentate, assoli classic metal di grande gusto, arpeggi in minore elettrificati, screaming in falsetto e molto altro. Tantissima carne al fuoco che Jon sapeva già all’epoca maneggiare e rendere in un tutt’uno coerente e che perfezionerà ancora in quel disco epocale che risponde al nome di “Storm of the light’s bane”.

I Dissection erano uguali solo a se stessi. Genio assoluto…

4. KATATONIA – “Gatesway of Bereavement” da “Dance of december souls” (1993)

Ancora Unisound studios e ancora Swanö dietro al mixer per l’esordio dei Katatonia di Blackheim. Album splendido, portatore di un death che del death come lo avevamo conosciuto fino a quel momento in Svezia aveva ben poco, se non la voce di Renske. Un death/doom dalle forti tinte dark quello proposto in "Dance Of December Souls", disco che metteva già in evidenza la profonda vena malinconica che caratterizzerà l’intera carriera dei Nostri. “Gatesway of Bereavement” è praticamente l’opener dell’album (se escludiamo l’intro) e nei suoi oltre 8’ tra riff pachidermici, solo-riff struggenti, inserti da pelle d’oca della tastiera, note di violino, e parti più sinuosamente atmosferiche, è un ottimo compendio per chi li avesse conosciuti, ahilui, solo dal best seller “Discouraged Ones” in poi. 
Con DODS i Katatonia prendono la rincorsa verso quello che sarà il loro capolavoro della prima parte di carriera (“Brave murder day”) pagando pegno a Celtic Frost e compagnia proto-black, ma mettendo in mostra idee e personalità da vendere.

Del resto quando uno ha la stoffa innata, si vede da subito...

A cura di Morningrise

(la classifica continua e finisce domani)