Come una squadra di calcio il cui
bomber, dagli spogliatoi, entra in campo sempre per ultimo, eccoci alla nostra undicesima
e ultima (?) puntata sul tema del Metal ai tempi del Coronavirus.
E, per quanto detto sopra, non potevamo che
chiudere con i Pestilence che, non foss’altro che per il monicker,
rappresentano inevitabilmente la punta di diamante del nostro Team di band che,
nella loro carriera, hanno trattato i temi delle pandemie dovute alle più
svariate forme di infezioni virali.
Ai Pestilence tutti noi in
redazione vogliamo un gran bene. Foddis e Mameli sono due icone di un certo
modo di fare death; un death che, per visione evolutiva, capacità tecniche e
ispirazione compositiva, è sempre stato un passettino avanti rispetto alla
maggior parte della concorrenza.
Se gli italo-olandesi sono per lo
più ricordati nell’immaginario collettivo metallico per i due loro grandi
capolavori “Testimony of the Ancients” (1991) e “Spheres” (1993), i Nostri si
seppero imporre tra gli acts più validi in ambito death classico già con la
loro “prima” fase di carriera nella quale spicca il qui presente “Consuming impulse”. Nonostante il
platter si collochi, appunto, in un alveo di death tritatutto e molto serrato
(ma mai “monocorde”, e vi basti ascoltare l’opener “Dehydrated” per capirlo),
nondimeno faceva intravedere già delle divagazioni “illuminanti” (nelle
ritmiche, negli assoli, in qualche sporadico e azzeccatissimo uso di tastiere,
come ad esempio in “Suspended animation”) che saranno poi trademark della band.
Ma non siamo qui per lodare la
musica dei Pestilence, quanto per sottolineare come nella song prescelta per la
nostra rassegna, “Chronic infection” si annidi il grande timore che,
sottopelle, sta attraversando tutti noi dall’inizio dell’emergenza Sars-CoV-2
(che, ricordiamo, qui in italia è iniziata già da giovedi 20 febbraio). E cioè:
quando torneremo alla normalità? Quando potremo di nuovo tornare alle nostre
vite, lavorative e sociali? L’infezione finirà? Il caldo estivo ci aiuterà a
debellarla? E, se si, non è che col tornare dei primi freddi autunnali il virus
tornerà a colpirci fino a farci ripiombare nell’incubo odierno? L’infezione, e
con essa la precarietà delle nostre esistenze, non si cronicizzerà?
Le liriche di “Chronic
infection”, tutta farina del sacco di Marco Foddis, riescono a compenetrare
efficacemente sia la parte “fisico-anatomica” dell’infezione (rientrando in
questo contesto nei cliché lirici del death; in tal senso la copertina
dell’album è programmatica) sia la parte più squisitamente simbolica, quella
che va a toccare temi che potremmo definire sociali in senso lato.
Leggiamo insieme:
Eruzione respiratoria della pelle
/ essi vedono con occhi sporgenti / come le caratteristiche facciali marciscano
/ […] Epidemia, destino fatale / uno schifoso odore delle parti in cancrena /
saranno malati incurabili
Le conseguenze di ciò, saranno
definitive e ineluttabili:
Rimarranno dolore e sofferenza /
i corpi lentamente marciranno / incapaci di ricevere una cura / morte
improvvisa, stato patologico / […] i cadaveri imputridiscono orribilmente
In questa situazione
irrimediabile e “pandemica”, l’uomo tenta una via di fuga (“People escaped this
unpredictable reality”) e, questo atteggiamento, apre le porte per le
considerazioni finali di Foddis:
Lo smarrimento degli uomini
accelera / la laicizzazione della società / i corpi dei morti si decompongono
dove hanno esalato l’ultimo respiro / […] migliaia di uomini messi in
isolamento / SUBISCONO L’INFEZIONE CRONICA (vi dice niente questa "immagine"?)
Ci rimane il dubbio su quella
“laicizzazione della società”, forse riferita al fatto che, poco più avanti
Foddis inserisca il verso “Filled with fear, death is near”, quasi a voler
sottolineare che, nel momento in cui la morte è lì fuori dalle nostre quattro
mura di casa, dominatrice, pronta a ghermirci, la paura ci attanaglia andando a
colpire anche i rapporti di solidarietà tra simili (e l’acrimonia, il giudizio
livoroso e malevolo che molti esprimono sui social in queste settimane contro chi porta a
spasso il cane o chi prende una boccata d’aria, anche da solo e mantenendo il
distanziamento sociale, potrebbe essere un esempio prodromico dell’eredità futura da Covid-19).
I Pestilence, quindi,
plasticamente, ci rimandano attraverso “Consuming impulse”, e in particolare
“Chronic infection” la dicotomia, assolutamente inscindibile, che è al centro
delle elucubrazioni di molti sociologi e filosofi in queste settimane e che,
anche noi nel nostro piccolo, abbiamo provato a tratteggiare con la nostra
Rassegna. E cioè quella tra emergenza sanitaria ed emergenza sociale, tra paura
della morte fisiologica e sospetto verso il prossimo. In definitiva, tra dolore fisico e
inaridimento dell’anima.
Il tempo ci dirà se sapremo
riusciti a rimanere umani…
(Vedi il resto della Rassegna)
A cura di Morningrise